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Accabadora. Il peso, la fine e il suo tempo

Accabadora, l’acclamato romanzo di Michela Murgia andato in scena al Teatro Eliseo nell’adattamento di Veronica Cruciani con Anna Della Rosa. Recensione

Foto di Marina Alessi

Una stanza, una donna, due vite, la propria e quella consegnata a colei che di mestiere deve portarla a termine: la femmina accabadora, derivazione sarda per definire ritualmente “colei che finisce”. Sul palco, quella stanza assume i contorni tangibili, e allo stesso tempo mentali, di una pedana rialzata che è sia gabbia che isola, distaccata e fluttuante in assenza di legami. Una dimensione che mantiene distante la storia, e colei che la agisce, dal pubblico che ha riempito durante la lunga tenitura – registrando il sold out – il Teatro Eliseo per le ultime repliche dell’anno di Accabadora, adattamento del romanzo di Michela Murgia (Premio Campiello 2010) diretto da Veronica Cruciani, e in attesa di riprendere la tournée a partire da febbraio 2020.

Foto di Marina Alessi

Dopo la prima messinscena pensata ed elaborata all’incirca un anno fa con Monica Piseddu, questa volta è Anna Della Rosa a incarnare, come riportato dalle note di regia, «la figlia e il suo genitore interiore […] la parte rimasta bambina e la parte che deve diventare adulta». Nella figura esile e slanciata, tesa e compunta in una posa che si vuole educata all’apparenza e rimasta però scalpitante nell’intimità, l’attrice lavora su due piani recitativi agiti parallelamente: quello della figlia Maria e quello della madre adottiva, la tzia Bonaria Urrai. I movimenti sono netti, a segmentare lo spazio come direttrici severe di un ricordo che vorrebbe trovare conforto nella morbidezza dell’infanzia ma si fa invece spigoloso nella durezza dell’età adulta: di spalle, diagonalmente, prima avanti poi indietro, seduta con le mani in grembo, distesa, o rannicchiata in posizione fetale. Sono traiettorie di esperienze, attitudini, costruzioni identitarie, quelle percorse da Anna Della Rosa, camminamenti puntuali a centrarsi in una propria maturità di donna. Gestualità alternata alle proiezioni del volto dell’attrice (Lorenzo Letizia), quasi fossero dei soliloqui videografici, che però risultano disorganici alla figura minuta e discreta di Maria e sembrano tanto ingombrare la scena minimalista (Antonio Belardi) che disturbare il racconto.

Foto di Marina Alessi

Sono gli Anni Cinquanta di una ragazza che è partita per lavorare e costruirsi un futuro lontano da quella terra che l’ha voluta, prima, ultima figlia naturale non gradita, e poi l’ha fatta sentire amata dalla donna che ora è in punto di morte e che lei decide di andare ad accudire, lasciando la fredda Torino per tornare a Soreni, piccolo paese della Sardegna. La drammaturgia di Carlotta Corradi rende il romanzo di Murgia un monologo per sola attrice e inizia proprio dal ritorno di Maria sul letto di morte di sua tzia. Una contingenza personale che porta la ragazza a dover pesare la gravità del mestiere di Bonaria Urrai, costringendosi prima a comprenderlo e poi a rifiutarlo, sempre però con la consapevolezza tragica datale dal bene che la lega alla donna, a colei che sì “acaba” le vite altrui ma che è stata anche capace di dare la propria a Maria, a quella bambina dispettosa dalla tasca del vestito bianco macchiata di rosso per l’ingenuità di un furto di ciliegie. Nella scrittura di Corradi il legame morboso tra le due figure si diluisce fondendosi in un’unica complementare immagine amorosa nella quale si rispecchiano le due donne, come a voler approfondire la costruzione testuale di una dimensione femminile ed esclusiva, trafitta dalla confidenza dell’amico della ragazza, Andrìa, che una notte aveva sorpreso l’accabadora nell’atto di compiere la sua caritatevole opera sul fratello. Adesso Maria sottopone la vita della donna ormai morente a processo, e nel farlo processa a sua volta se stessa in vista della scelta, l’ultima e definitiva, che è chiamata dalla tzia a compiere. Ma è un’analisi/confessione che seppur condivisa con il pubblico che ascolta, resta interna e intima al dramma di Maria, non coinvolge, rimane sul palcoscenico, appunto distante e rialzato, in un tempo altrove. Oltre a quella narrativa, si stratifica nell’ascolto degli spettatori la struttura di una regia illuminotecnica (Gianni Staropoli) nella quale il corpo di Della Rosa si staglia come segno scenico: una silhouette rigida e piegata dal dolore che si concede a slanci impulsivi all’interno di una scatola ottica luminosa di giallo, poi calda di rosso e algida e isolata di blu. Uno sfondo figurativo all’interno del quale il tessuto emotivo del racconto trova organica armonizzazione nelle campiture musicali di Hubert Westkemper.

Foto di Marina Alessi

Nonostante la scrittura scenica abbia la valenza di un «ampliamento» del romanzo, come definito dalla stessa autrice Michela Murgia, Carlotta Corradi «ha fatto un lavoro di tessitura, utilizzando tutte parole mie, ma in un modo in cui io non le ho usate. C’è un’originalità anche autoriale in questo testo». È il passare del tempo che sembra tuttavia gravare sullo spettacolo ed è proprio con il tempo che la regia deve confrontarsi. Per quanto il lindore recitativo di Anna Della Rosa sia funzionale a rendere una regia d’attrice autonoma, questa purtroppo non si affranca da uno spettacolo che deve fare i conti con una scena del presente che oggi corre diversamente. Soprattutto per quanto riguarda l’immaginario femminile, ora decostruito, liquido e strenuamente convinto ad emanciparsi da qualsiasi legame che possa essere sessuale, filiale e territoriale. Sia il personaggio di Maria che quello di Bonaria restano legate infatti, e vive, nel tempo letterario del romanzo, non trovando della loro storia una precipua urgenza in quello teatrale, il cui linguaggio potrebbe attualizzare il segno del romanzo e farlo dialogare con maggiore incisività autoriale con il dibattito politico religioso odierno.

Lucia Medri

Teatro Eliseo, Roma – novembre 2019

ACCABADORA

dal romanzo di Michela Murgia

edito da Giulio Einaudi Editore

Drammaturgia Carlotta Corradi

Con

Anna Della Rosa

Scene Antonio Belardi

Costumi Anna Coluccia

Luci Gianni Staropoli e Raffaella Vitiello

Suono Hubert Westkemper
Musiche a cura di John Cascone

Video Lorenzo Letizia

Regia Veronica Cruciani

Produzione COMPAGNIA VERONICA CRUCIANI, TEATRO DONIZETTI DI BERGAMO, TPE – TEATRO PIEMONTE EUROPA, CRANPI CON IL CONTRIBUTO DI REGIONE LAZIO – DIREZIONE REGIONALE CULTURA E POLITICHE GIOVANILI – AREA SPETTACOLO DAL VIVO

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Lucia Medri
Lucia Medri
Giornalista pubblicista iscritta all'ODG della Regione Lazio, laureata al DAMS presso l’Università degli Studi di Roma Tre con una tesi magistrale in Antropologia Sociale. Dopo la formazione editoriale in contesti quali agenzie letterarie e case editrici (Einaudi) si specializza in web editing e social media management svolgendo come freelance attività di redazione, ghostwriting e consulenza presso agenzie di comunicazione, testate giornalistiche, e per realtà promotrici in ambito culturale (Fondazione Cinema per Roma). Nel 2018, vince il Premio Nico Garrone come "critica sensibile al teatro che muta".

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