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Viaggio in Libya. Miriam Back home

La Ballata dei Lenna affronta la memoria individuale e collettiva con Libya. Back home. Al Romaeuropa Festival 2019 per la rassegna Anni Luce. Recensione

Foto di Andrea Macchia

C’è una soffitta, in casa d’altri o nella propria, in mezzo alla polvere e vecchi atti notarili, giochi di bambini di un’epoca lontana, ora che bambino in casa non è più nessuno, cianfrusaglie e pacchi di cartoline archiviate, di viaggi da cui tutti, o quasi, sono tornati. Quando in mezzo al caos immobile di una soffitta buia spunta fuori un libro mai pubblicato di un tempo precedente al nostro, ma che sembra a tutti gli effetti parlare di noi, il desiderio e la necessità di indagarlo a fondo si mescolano in un solo unico sentimento, per comprendere magari alla fine come, oltre il limite della memoria, c’è la memoria degli altri. È questo che accade a Miriam Selima Fieno, attrice sulla scena di Libya. Back home, tramite tra la rappresentazione e l’esperienza umana, al debutto con La Ballata dei Lenna per la rassegna Anni Luce a Romaeuropa Festival 2019.

Foto di Andrea Macchia

La scena ha un’oscurità che sembra replicare quella delle informazioni nascoste e ora da rivelare attraverso il contatto tra la volontà e la ricerca; Miriam – ordinata dalla sapiente regia di Paola Di Mitri che si pone al servizio di un corpo esigente, pulsante di domande – ha coraggio nell’affondare dentro la propria storia personale, per scoprire i caratteri di una vicenda collettiva, in grado di rendere in luce gli eventi che affollano gravemente oggi le cronache internazionali; si fida pertanto di quel desiderio e fruga dove non aveva mai messo le mani: intervista suo padre, rintraccia e studia documenti, rimugina ricordi, chiede a chi può, guarda le foto di nonna Uorda, entra in contatto con la Libia di oggi, qualche parente lontano e altre voci trovate un po’ per caso o per necessità (tra i quali il corrispondente di Internazionale Khalifa Abo Khraisse), ognuna delle quali si fa testimone di un cambiamento cruciale all’interno della storia. È così che dal primo nucleo poetico la trasformazione della drammaturgia sviluppa un forte, decisivo connotato politico; Miriam ne è come smarrita, ma il suo viaggio non può più fermarsi, dichiara fin dall’inizio: «ho sempre desiderato essere un po’ più straniera di quello che sono» e allora le origini non bastano più, la necessità si fa profonda e non è più come guardare le foto d’infanzia insieme a quelle di un’infanzia che non si è vissuta, ma si carica di una pulsazione battente a ritmo vorticoso, qualcosa che non può più tenere assopita. È allora che lo spettacolo, prima docile tra le maglie dei ricordi, si fa sirena urlante nelle coscienze di ognuno, tra gli spettatori che non possono dirsi al sicuro, nella propria memoria occidentalizzata, nessuno assolto dal tribunale della Storia.

Foto di Andrea Macchia

La qualità evocativa del racconto monologante, capace di far apparire con facilità di descrizione ambientale la Tripoli di ieri in trasparenza di quella attuale, si avvale da un lato di una attrice in crescita sorprendente che sfrutta la ricchezza della voce e la presenza ineludibile del proprio corpo, sui tratti del quale la drammaturgia si sostanzia, dall’altro impiega supporti di altri linguaggi, dal montaggio video di Davide Crudetti alla fotografia, dalla musica di Teho Teardo alla luce disegnata da Davide Rigodanza: ognuno degli elementi, nella scena equilibrata e calda di Paola Villani, ha come obiettivo di guidare il viaggio di Miriam, metro dopo metro, emozione dopo emozione, svelarlo o forse ancora coprirlo da una coltre di inattuabile risoluzione. Già, perché questa è una storia che non conclude, Miriam cerca un contatto impossibile con il mondo appena dall’altra parte del mare, dove la storia coloniale d’Occidente ha ben più di una colpa, dove tuttavia l’evoluzione degli eventi ha compiuto un ormai incomprensibile disegno aggrovigliato, che non pare offrire una via d’uscita allo sguardo che osserva: Tripoli bombardata, Tripoli infiammata da una guerra civile, da un potere soverchiante e dai continui blackout che impediscono o ritardano, offuscano in ogni caso, la comunicazione, è una città che sembra inarrivabile e lontanissima, per la quale poco può fare una donna che mette ogni sua energia nel farsi teatro, nel mettere in discussione sé stessa e le proprie radici, quella domanda originaria e pura che abita in ognuno di noi.

Foto di Andrea Macchia

Al trio de La Ballata dei Lenna (con il co-fondatore Nicola Di Chio, qui collaboratore artistico) va il merito di aver composto uno spettacolo dal profumo europeo, perché di Europa parla sia nello stile che nei contenuti, ostile e inabissata nel proprio convincimento di alterità rispetto all’altra parte del Mediterraneo. Perché inarrivabile conquista è questo desiderio di familiarità con ciò che non può esserlo, tradito da una distanza ineludibile tra due mondi che si vorrebbero vicini ma non lo sono. In un punto preciso Haidar, che è fuoriuscito dal Mosul e vive da sequestrato in Libia, chiede a Miriam se fosse mai stata in Libia, il «No» pronunciato dalla giovane donna, ingenuo e futile allo stesso tempo, riesuma in un’eco profonda e contrita quella sensazione diffusa in ogni angolo d’Occidente. Ma tale disarmante acquisizione, dentro cui si comprime l’animo dello spettatore, si scioglie tra i titoli di coda, l’emozione si dilata e vi si raccoglie una declamazione insieme d’amore e di dolore, di distanza e paternità.

Simone Nebbia

Mattatoio, Romaeuropa Festival 2019 – Ottobre 2019

LIBYA. BACK HOME

Ideazione e regia: Paola Di Mitri
Con: Miriam Selima Fieno
Drammaturgia: Paola Di Mitri
Collaborazione alla drammaturgia: Davide Crudetti
Testi: Khalifa Abo Khraisse, Giancarlo Fieno, Miriam Selima Fieno
Assistenza artistica: Nicola Di Chio
Regia documentaria e montaggio: Davide Crudetti
Archivio anni ’90 e Super8 famiglia Fieno
Riprese in Italia: Miriam Selima Fieno
Riprese in Libia: Khalifa Abo Khraisse
Musiche originali: Teho Teardo
Progettazione e realizzazione scene: Paola Villani
Disegno luci: Davide Rigodanza

Assistente di produzione: Sara Consoli | Consulenza sulle tematiche: Andrea Segre (ZaLab), Stefania Mascetti, Chiara Nielsen (Internazionale) | Produzione: La Ballata dei Lenna | Produzione esecutiva: ACTI Teatri Indipendenti | Con il sostegno di Festival delle Colline Torinesi, TPE/ Teatro Piemonte Europa | con il contributo del Centro di Residenza dell Emilia Romagna “L’arboreto – Teatro Dimora | La Corte
Ospitale vincitore Premio Scintille018 realizzato con il sostegno del Bando Ora! della Compagnia di San Paolo

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Simone Nebbia
Simone Nebbia
Professore di scuola media e scrittore. Animatore di Teatro e Critica fin dai primi mesi, collabora con Radio Onda Rossa e ha fatto parte parte della redazione de "I Quaderni del Teatro di Roma", periodico mensile diretto da Attilio Scarpellini. Nel 2013 è co-autore del volume "Il declino del teatro di regia" (Editoria & Spettacolo, di Franco Cordelli, a cura di Andrea Cortellessa); ha collaborato con il programma di "Rai Scuola Terza Pagina". Uscito a dicembre 2013 per l'editore Titivillus il volume "Teatro Studio Krypton. Trent'anni di solitudine". Suoi testi sono apparsi su numerosi periodici e raccolte saggistiche. È, quando può, un cantautore. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo Rosso Antico (Giulio Perrone Editore)

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