Abbiamo intervistato Maurizio Sguotti, direttore artistico di Kronoteatro, la compagnia che ha ideato e ogni anno organizza, ad Albenga, Terreni Creativi
Tra le serre di un florido territorio, quello che si estende nei pressi di Albenga, si tiene Terreni Creativi. Giunto alle 10a edizione, il festival organizzato dalla compagnia Kronoteatro, rappresenta un unicum nel panorama teatrale italiano proprio per la fruttuosa collaborazione con l’imprenditoria locale: aziende agricole che attraverso un apporto economico e logistico di fatti configurano gran parte dell’esperienza del festival. Il pubblico entra nei capannoni, segue il percorso predisposto tra lunghe file di piante aromatiche e prende posto di fronte a palcoscenici che quest’anno hanno ospitato artisti molto diversi tra loro: da Fanny & Alexander alla danzatrice Francesca Foscarini, dagli stessi Kronoteatro a Salvo Lombardo, passando per Marco Cacciola, Quotidiana.com, Marco D’Agostin, fino ad Antonio Rezza. Abbiamo raggiunto Maurizio Sguotti per farci raccontare le peculiarità di Terreni Creativi cercando di capire cosa connette le arti performative con la comunità locale e il tessuto imprenditoriale.
All’assolo di Francesca Foscarini, Animale, uno dei primi spettacoli del festival di questo anno, performance di danza contemporanea tutt’altro che di facile lettura, quante persone c’erano? Duecento forse? Sul piazzale antistante un capannone… come ci siete riusciti?
C’erano 230 persone, che sono diventate 300 nell’arco della serata. In questi dieci anni abbiamo lavorato a costruire una comunità attorno ai nostri eventi, e in particolare modo a Terreni Creativi. La manifestazione è molto amata e partecipata, il pubblico si fida di noi e delle nostre scelte. Il clima che si respira nelle serate della manifestazione e la nostra onestà intellettuale credo aiutino ad accettare anche le scelte artistiche più “difficili”. Non dimenticherei inoltre il grande lavoro che ha svolto Kronoteatro sul territorio in questi dieci anni. La stagione teatrale invernale e i laboratori offerti a varie fasce di età della popolazione ingauna, hanno portato a far crescere e a far diventare attiva la comunità di spettatori che sostiene e partecipa ai nostri progetti artistici.
La peculiarità di Terreni Creativi è anche in questa relazione con le aziende del territorio. Nel vostro caso dunque il privato ha un ruolo fondamentale. Il capitalismo che finanzia il teatro: perché lo fanno e come li avete convinti?
Abbiamo avuto la fortuna di incontrare degli imprenditori illuminati che volevano investire in cultura, nessuno di loro ha un ritorno pubblicitario da poter sfruttare nelle loro attività. Sono aziende agricole che esportano piante aromatiche essenzialmente verso i paesi del nord Europa. Avevamo e abbiamo un obiettivo comune: operare per la comunità e il territorio di appartenenza. La nostra idea era quella di portare le arti performative fuori dagli spazi tradizionali, volevamo allestire un festival che parlasse al nostro territorio, fatto per gli spettatori e abbiamo pensato che i capannoni delle eccellenze industriali albenganesi fossero i luoghi adatti dove portare le eccellenze delle arti contemporanee. L’apporto delle aziende agricole, sia tecnico-logistico che finanziario, è fondamentale per la riuscita del festival.
A un certo punto spettatori, artisti e giornalisti cominciano a occupare e lunghe tavolate per la cena. Teatro e cibo hanno in comune la capacità di fare comunità. Come avete capito che anche questo era un momento imprescindibile dell’esperienza?
Riunire pubblico, artisti e operatori nel rito collettivo del cenare assieme ci sembrava un modo per creare una relazione tra le persone che si sganciasse dal “momento teatrale” e che potesse diventare qualcosa di più intimo, più legato al senso di appartenenza, anche effimero, per il tempo di una serata, ad una comunità, che si riconoscesse come tale non solo nel piacere intellettuale o culturale dell’assistere ad uno spettacolo, ma anche in un piacere più fisiologico e biologico, quello del cibo. Abbiamo ritenuto che dare un contributo di relazione interpersonale in più alla serata, potesse essere il valore aggiunto di un’esperienza che impegna lo spettatore dal tardo pomeriggio a notte fonda. Ci piace pensare che in quelle molte ore in cui gli spettatori vivono il festival si possano creare relazioni e rapporti che prescindono dall’evento e che siano inaspettati e fruttiferi. Quest’ultimo aspetto, quello temporale, propone un altro punto di vista. Il pubblico è chiamato a trascorrere alcune ore negli spazi del festival; dar loro la possibilità di non doversi preoccupare di sfamarsi, crediamo, contribuisca al piacere di essere lì. È un modo ulteriore per prenderci cura del fruitore, che, speriamo, si senta coinvolto tanto sul piano intellettuale ed emotivo quanto su quello gustativo.
Terreni Creativi ha tagliato il traguardo dei dici anni di vita: come è cambiato in questa decade il panorama dei festival teatrali in Italia?
In questi dieci anni a cambiare il volto del sistema festival italiano è stata la riduzione sistematica e progressiva delle economie in campo. Questo ha creato una contrazione nel potere di programmazione, ma ha anche dato lo slancio alla realizzazione di festival magari più “piccoli”, ma con fisionomie rigenerate dalle contingenze e perciò più legati al territorio di appartenenza, più delicati nella loro struttura, ma temerari. Per quel che riguarda invece il tipo di programmazione, troviamo che abbia resistito il bilanciamento tra spettacoli “di drammaturgia” e produzioni più performative. Crediamo che il compito di un festival sia quello di dare un panorama il più ampio possibile di quello che sono i diversi linguaggi della scena contemporanea e ci pare che questo aspetto, salvo le eccezioni dei festival con un indirizzo semantico definito, stia arricchendo la proposta.
Festival come il vostro si reggono anche sul lavoro dei volontari, ho visto a Terreni Creativi questo numero crescere negli anni. Come si coniuga l’importanza di queste figure con il rispetto di un approccio etico nei confronti del lavoro non pagato?
I nostri volontari sono i primi promotori dell’evento. Vengono raccolti tra le fila di quella comunità che Kronoteatro con le sue diverse attività sul territorio è riuscita a creare. Al volontario di Terreni Creativi viene chiesto di mettere a disposizione il tempo che può, non ci sono orari definiti “dall’alto”, ci sono indicazioni di necessità organizzative e gestionali che vengono soddisfatte in maniera eccellente da chi si sente in prima persona responsabile della buona riuscita del festival. Cerchiamo di creare un’atmosfera conviviale ed armonica, cerchiamo di fare in modo che il duro lavoro che si trovano a svolgere, sia immerso in una situazione piacevole e soddisfacente in modo che ci si senta tutti motivati al raggiungimento di un unico obbiettivo. Sono volontari, è vero, ma durante i giorni di festival sono innanzitutto tifosi, amici, supporter e familiari. L’artigianalità rivendicata di Terreni Creativi, non sarebbe così prolifica e fertile se non ci fosse un gruppo di amici/volontari che ci sostiene con forze e proposte.
Se dovessi cominciare ora ideeresti un festival dedicato alle arti performative? Cosa consigli ai giovani che volessero provarci?
Terreni Creativi, ci ha dato molte soddisfazioni. È un festival unico, sia per la sua collocazione geografica e logistica, sia perché è popolare è nato per il pubblico. In tutti questi anni abbiamo lottato e faticato per realizzarlo, ogni anno è una dura lotta. I finanziamenti sono magrissimi, le Istituzioni locali investono pochissimo sulla nostra manifestazione, tutti gli anni siamo costretti a programmare all’ultimo minuto perché non c’è mai la certezza di riuscire a mettere insieme il budget. Queste problematiche sono immediatamente dimenticate nel momento in cui inizia la manifestazione e vedi frotte di persone che fanno la fila davanti ai capannoni per assistere agli spettacoli. Quindi rispondo che sì, lo rifarei, anche se non nascondo una certa insofferenza per la poca considerazione che Terreni Creativi ha, da parte di alcune Istituzioni locali e di certa intellighenzia che ci considera un po’ “provincialotti”; provincialismo e marginalità che rivendichiamo e che negli anni è stata la nostra cifra distintiva portando ad ottimi ed evidenti risultati.
Cosa consiglierei ai giovani che volessero provarci? Per uno come me che con i giovanissimi ha iniziato l’avventura di Kronoteatro, non posso che rispondere: provateci sempre, se c’è l’idea forte e la necessità, lottate per realizzare i vostri progetti.
Andrea Pocosgnich
Leggi anche Terreni creativi e fertili per la distopia comica di Maniaci d’Amore