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Maturità di Verdi. L’Aida di Denis Krief

Nuovo inusuale allestimento di Aida per il regista Denis Krief, sulla scena del Teatro dell’Opera di Roma, alle Terme di Caracalla. Recensione.

foto di Yasuko Kageyama

Due grandi tronchi di piramide praticabili restituiscono con la loro superficie metallizzata le ombre distorte dei personaggi, puntualmente sotto l’occhio del seguipersone, e le aure sfocate dei costumi sgargianti, stranianti. Verde, rosa e blu violaceo sono simbolicamente mescolati nelle tuniche del coro femminile; il contrasto tra bianco e nero domina sugli altri personaggi. Sul fondo una piramide.
Il nuovo allestimento di Aida di Giuseppe Verdi, curato dal regista Denis Krief per il Teatro dell’Opera di Roma, cerca di mettere in luce gli aspetti più teatralmente moderni di quella che è l’opera cardine della maturità verdiana. Sotto la patina del fasto e dell’esotismo egitto-maniaco tipici del periodo, cui Aida deve il titolo di primo grand-opéra italiano, si cela una profondità musicale e psicologica sorprendente per l’opera fin-de-siècle.

foto di Yasuko Kageyama

Un’opera ambigua dal punto di vista storico-tematico: seppur commissionata a simbolo di potenza per l’inaugurazione del nuovo Teatro d’Opera del Cairo (1869), essa sembra parteggiare per il popolo etiope: il progresso è rappresentato dalla coppia Aida-Radames, il cui amore riesce, complice il padre di lei, a superare le convenzioni sociali e politiche. Il potere del Faraone è debole e, per quanto egli sia disposto a liberare i prigionieri ed evitare l’ennesimo conflitto, si piega senza resistenze prima al volere dei sacerdoti, poi ai capricci della figlia Amneris. Il potere spirituale prevarica le ragioni del cuore così come quelle di Stato. Come in un’Antigone “alla rovescia”.

foto di Yasuko Kageyama

Nella partitura di Verdi, il preludio si schiude nel tema dell’amore, o di Aida (Vittoria Yeo): il ruolo di eroina perseguitata dalla sorte, pronta a difendere i propri sentimenti perfino a scapito dei propri valori, è descritto da un andamento melodico ascendente, dolce, a cui risponde il tono lamentoso e straziante dell’oboe; a esso si intreccia il tema del sacerdote Ramfis: discendente, affidato agli elementi più bassi dell’orchestra, così come a un uso “selvaggio” delle percussioni. L’orchestrazione sottolinea il contrasto tra i due mondi: se all’Etiopia corrisponde una ritmica più flessibile e morbida, densa dei passaggi lirici e armonicamente ambigui di archi e legni, l’Egitto risuona in frasi melodiche plasticamente scolpite, in forme contrappuntistiche e classiche: sono soprattutto gli ottoni a definire iconicamente le funzioni del potere (basti pensare agli otto trombettisti in scena per la monolitica marcia trionfale).

foto di Yasuko Kageyama

La cornice esotica immaginata da Krief ospita danze e cori: ora grandiosi e solenni per le scene celebrative, ora soffusi, fuori scena, distanti e rarefatti nei momenti di preghiera, scandiscono l’evolversi dell’azione (normalmente affidata all’uso del recitativo, quasi completamente assente in Aida), portando ora la voce popolare del perdono, ora quella severa dei sacerdoti. Per la Celebrazione (finale, II atto) il trono del faraone ricorda un palchetto reale: insieme ai fondali dipinti che si alternano in un grande cubo di legno e a una platea di poltrone rosse per il coro, va a delineare l’ambiente di un teatro all’italiana. Oltre a richiamare la fastosità e l’ambiguità estetica del grand-opéra, questa scelta sembra richiamare, con la metaforica contrapposizione di teatro vecchio e nuovo, l’antagonismo tra una concezione sociale arcaica e una progressista. Tuttavia, qui le intenzioni registiche risultano poco chiare: i grandi praticabili, così differenti per materiali e funzioni, restituiscono una scena incoerente, probabilmente anche a causa della difficoltà di separare “buoni e cattivi” con una contrapposizione scenografica così violenta.

foto di Yasuko Kageyama

A potenziare la staticità propria delle opere verdiane, i personaggi appaiono sempre prossemicamente rinchiusi nonostante l’ampiezza dello spazio scenico. I cantanti ora vengono confinati al proscenio, ora costretti in ambiti piccoli, claustrofobici: nel cubo di legno è allestita la riva del Nilo, tra le cui piante intravediamo la circospezione dei personaggi, il loro rincorrersi, il corpo morto di Amonasro. Così Amneris assisterà impotente alla condanna di Radames dalle sbarre di uno dei praticabili.
Il corpo di orchestra e coristi si conferma una garanzia: l’esecuzione diretta da Jordi Barnàcer non si risparmia nell’impeto dell’orchestrazione più audace, il rapporto con i cantanti è stretto e preciso, il tutto valorizzato dall’acustica perfetta del palco di Caracalla.

foto di Yasuko Kageyama

Da menzionare la magistrale interpretazione del mezzosoprano Judit Kutasi (Amneris), la quale ha saputo rendere con incisiva eleganza un personaggio dalla complessità psicologica e scenica eccezionali: la verdiana figura femminile carismatica trova nel ruolo opposto e complementare della principessa la propria massima evoluzione. Costretta a costruirsi negli spiragli di duetti e concertati, essa rivela tutta la propria profondità d’animo nell’incredibile intervento che Verdi le concede nella scena finale: mentre Aida e Radames attendono una morte serena e liberatrice, accasciata sul dorso della tomba si strugge e implora la pace per coloro che ha contribuito, vittima di rabbia e gelosia, a condannare. A ripresa della compresenza scenica con cui i protagonisti esordiscono all’inizio dell’opera, abbiamo qui un finale “a tre” in grado di restituirci un personaggio non più antagonista, bensì umano, la cui tragedia strugge lo spettatore tanto quanto (se non di più) quella dei due innamorati.

La regia di Denis Krief sa proporci un’interpretazione non usuale, scenicamente spoglia, del Verdi musicalmente maturo, già evoluto nel segno di una cultura europea e moderna. Al di là di un repertorio ormai cristallizzato alle opere giovanili, al di là del frequente relegare l’opera del compositore ai suoi esiti patriottici e nazionalistici, troviamo qui tutta l’arte dell’uomo che, nonostante i limiti, pur rimanendo negli schemi più convenzionali, seppe tradurre l’opera italiana verso il futuro della modernità.

Angela Forti

Teatro dell’Opera – Terme di Caracalla, Roma – Luglio 2019

AIDA

Musica di Giuseppe Verdi
Opera in quattro atti
Libretto di Antonio Ghislanzoni

Prima rappresentazione assoluta
Teatro dell’Opera del Cairo, 24 dicembre 1871

Durata: 3h circa – atto I e atto II 85′ – intervallo 30′ – atto III e atto IV 65′
Direttore Jordi Bernàcer
Regia, scene, costumi e luci Denis Krief

Maestro del Coro Roberto Gabbiani
Coreografia Giorgio Mancini

Il Re Gabriele Sagona
Amneris Judit Kutasi / Silvia Beltrami 5, 7, 13, 18, 24, 31 luglio e 3 agosto
Aida Vittoria Yeo / Serena Farnocchia 5, 7, 13, 31 luglio e 3 agosto
Radamès Alfred Kim / Diego Cavazzin 5, 7, 13, 24, 31 luglio e 3 agosto
Amonasro Marco Caria / Andrii Ganchuk* 5, 7 luglio
Ramfis Adrian Sâmpetrean / Alessio Cacciamani 5, 13, 18, 24, 31 luglio e 3 agosto
Un messaggero Domingo Pellicola*
La Gran Sacerdotessa Rafaela Albuquerque*

* dal progetto “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma

ORCHESTRA CORO E CORPO DI BALLO DEL TEATRO DELL’OPERA DI ROMA
Nuovo allestimento

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Angela Forti
Angela Forti
Angela Forti, di La Spezia, 1998. Nel 2021 si laurea in Arti e Scienze dello Spettacolo presso La Sapienza Università di Roma, con un percorso di studi incentrato sulle arti performative contemporanee. Frequenta il master in Innovation and Organization of Culture and the Arts all’università di Bologna. Nel 2019 consegue il diploma Animateria, corso di formazione per operatore esperto nelle tecniche e nei linguaggi del teatro di figura. Studia pianoforte e teoria musicale, prima al Conservatorio G. Puccini di La Spezia, poi al Santa Cecilia di Roma. Inizia a occuparsi di critica musicale per il Conservatorio Puccini, con il Maestro Giovanni Tasso; all'università inizia il percorso nella critica teatrale con i laboratori tenuti da Sergio Lo Gatto e Simone Nebbia e scrivendo, poi, per le riviste Paneacquaculture, Le Nottole di Minerva, Animatazine, La Falena. Scrive per Teatro e Critica da luglio 2019. Fa parte della compagnia Hombre Collettivo, che si occupa di teatro visuale e teatro d’oggetti/di figura (Casa Nostra 2021, Alle Armi 2023).

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