Dopo il debutto a Contemporanea 18, Cristina Kristal Rizzo porta in scena ULTRAS Sleeping Dances durante la quarantanovesima edizione di Santarcangelo Festival appena conclusasi, l’ultima diretta da Eva Neklyaeva e Lisa Gilardino. Intervista e confronto sul percorso di ricerca e la partecipazione al festival.
ULTRAS Sleeping Dances (qui la recensione firmata da Marinella Guatterini) potrebbe configurarsi come una summa della tua pratica di lavoro, cosa sedimenta e cosa invece lascia emergere per il futuro?
Il mio è stato un processo di generazione che mi ha permesso, ancora una volta, di andare a fondo nelle modalità di incontro col corpo. Ciò che mi interessa è inventare pratiche corporee funzionali a costituire una danza che definirei di tipo materico. ULTRAS è una fusione di quattro danze distinte: danza del peso, danza delle braccia, danza del pianto e danza della testa. Il principio che le accomuna è quello della semplicità: solo in un segno essenziale credo si possa ricercare la complessità del gesto. La coreografia determina un’espressione energetica variabile che spinge i corpi a incontrarsi, a tendere verso l’altro. Tale processo ha fatto emergere una dimensione intima, di vicinanza e di sguardo; ha aperto altre possibilità che sto iniziando a sondare, concentrandomi sul gesto del toccare attraverso però un distacco, ovvero una distanza che non è allontanamento ma prossimità: un tocco e non una presa.
Le partiture dei movimenti sembrano scaturire da un immaginario poetico e nostalgico, in cui convergono tempi e stati emotivi diversi. Come hai lavorato su di esso e a cosa hai attinto per dispiegarlo?
Sono stata spinta da un desiderio di condividere una dimensione di spazio e tempo; di fronte a una società dominata da immagini e accadimenti che ci sconvolgono facciamo fatica a guardare realmente, a guardarci. Gli stati d’animo del resto sono invisibili, non sono tangibili e la sfida è stata proprio quella di portare all’emersione, espressiva, un tumulto emotivo difficile da far affiorare. Nonostante questo, ho lavorato su dei segni che fossero collocati innanzitutto in una situazione astratta, non logica, e riconoscibili in base a un’idea di mondo condivisa. La danza del pianto è in questo emblematica: è una danza indotta al quale il corpo reagisce mettendosi in gioco. Iniziamo a piangere artificialmente ma poi portiamo il nostro corpo a fare esperienza del pianto, è un momento fortemente collettivo, un’elaborazione del lutto da far emergere senza paura.
Il tappeto sonoro procede in un unico flusso unitario, senza interruzioni si dispiegano i brani musicali e con omogeneità concorrono a creare una sorta di climax esperienziale. Qual è stato il criterio di scelta?
Una vera e propria playlist che “lavora” come fosse una partitura, agendo quindi sulla percezione del tempo e della visione. La scelta è ricaduta su dei brani (ndr Deepsea Drive Machine, Dylan Mondegreeny, Erik Satie, Ed Sheeran, Napa Snidvongs) connessi a una necessità intima che predisponga uno stato di fruizione senza resistenze, e che permetta al pubblico di dilatare il proprio tempo, di allargare lo sguardo, rilassando l’aspettativa.
L’incertezza data dal disequilibrio emotivo è la variabile, è ciò che determina il movimento espressivo e le fasi del suo sviluppo durante tutta la durata del lavoro, mantenendo una spiccata fedeltà alla contemporaneità. Nel corso degli anni come è cambiato il tuo approccio rispetto al codice fino ad arrivare alla “liquidità” odierna?
Sono ancora dentro a un processo che si evolve e trasforma: un filo invisibile che sto tirando. Mi nutro ma non mi sposto. Ho un carattere solitario e ritirato, mi muovo in disparte, per questo mi pongo in osservazione e contemplazione. La mia formazione classica è costantemente smontata, il codice si stratifica ma viene reso, appunto, fluido. Aspiro a far emergere le singolarità dei corpi, la loro intensità energetica e il loro stato esperienziale. La danza appare e scompare, è in emersione continua e quando ciò avviene diventa, di conseguenza, alla portata di tutti. Colui che “la sta portando fuori” compie un atto politico rivolto verso l’altro e inscritto in un habitat.
Il corpo che danza è un corpo politico. In che accezione lo è per te e come si colloca la tua ricerca in un contesto storico come questo?
I corpi danzanti sono per me corpi queer, non perché rappresentano un’identità di genere ma perché sono attraversati, permettendo al tutto di esprimersi. La scena è un ambiente in cui convivono singolarità in transizione e da questo assunto derivano necessariamente questioni importanti riguardanti il modo in cui usiamo i corpi e usiamo il mondo.
Cosa vuol dire per te aver preso parte a questa ultima edizione di Santarcangelo Festival diretta da Eva Neklyaeva e Lisa Gilardino?
Santarcangelo dei Teatri è un festival al quale sono molto legata e che frequento ormai da anni, sia come artista che come spettatrice. Ammetto tuttavia che l’impatto con la nuova direzione sia stato piuttosto brusco, ho avuto bisogno di tempo per comprendere le scelte e la volontà di alleggerire i concetti, il cambiamento nelle modalità di fruizione e partecipazione. Rispetto al mio percorso ha dunque una valenza importante aver avuto la possibilità di presentarvi ULTRAS, Eva e Lisa hanno aderito completamente al mio lavoro e c’è stato un ascolto particolare e attento: dall’idea, al luogo dove presentarlo, alle modalità di programmazione… Ha un valore prezioso incontrare operatori coi quali intraprendere un percorso insieme che sia di confronto e di cura e che prescinde dalla mera programmazione.
Lucia Medri
ULTRAS SLEEPING DANCES
concept Cristina Kristal Rizzo danza Marta Bellu, Jari Boldrini, Barbara Novati, Cristina Kristal Rizzo, Charlie Laban Trier musica Deepsea Drive Machine, Dylan Mondegreeny, Erik Satie, Ed Sheeran, Napa Snidvongs allestimento e costumi Cristina Kristal Rizzo con i danzatori produzione Cab 008 con il sostegno di L’arboreto – Teatro Dimora di Mondaino in collaborazione con Teatro Metastasio di Prato residenze creative spazio K.Kinkaleri, Centro nazionale di produzione / Virgilio Sieni, L’arboreto – Teatro Dimora di Mondaino con il sostegno di Regione Toscana, MiBACT e Comune di Firenze
Giornalista pubblicista iscritta all'ODG della Regione Lazio, laureata al DAMS presso l’Università degli Studi di Roma Tre con una tesi magistrale in Antropologia Sociale. Dopo la formazione editoriale in contesti quali agenzie letterarie e case editrici (Einaudi) si specializza in web editing e social media management svolgendo come freelance attività di redazione, ghostwriting e consulenza presso agenzie di comunicazione, testate giornalistiche, e per realtà promotrici in ambito culturale (Fondazione Cinema per Roma). Nel 2018, vince il Premio Nico Garrone come "critica sensibile al teatro che muta".
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