Come emergere dal conformismo della provincia? Oscar De Summa con Soul Music sulla scena di Inequilibrio 2019. Recensione.
Che belli quei festival dove non c’è niente da fare, dove ti limiti allo spettacolo da recensire, al massimo due sorrisetti in platea a qualcuno che conosci, poi sei libero di farti i fatti tuoi e andarti a fare la serata dove ti pare. E invece andare a trovare Armunia a Castiglioncello, per Inequilibrio 2019, è una fatica assurda: ogni giorno stai immerso in mezzo alla gente che parla di teatro, che fa scivolare pensieri e idee tra i rami della pineta e i tavolini dei caffè, che la sera si raccoglie attorno al vino a fare tardi, sempre perché qualcosa da dire resta ancora per chi è passato e che ora va via, mentre domani arriva qualcun altro con cui riprendere il filo del discorso. Non se ne può più, lo dico a voce alta! Anche per gli artisti che sono costretti a parlare poi con il pubblico o con la critica, a dover stare lì a sviluppare ancora uno spettacolo che, visto in scena, sembrava fosse in sé concluso. E invece no. E dopo però che succede? Che, a dover fare i narratori, poi degli artisti – come nel caso di Oscar De Summa, in scena nell’Anfiteatro con il nuovo Soul Music -dal lato opposto, prodotto da La Corte Ospitale – si scrive appena qualche distratta nota. O forse no?
L’Anfiteatro (già nel 2016 proprio qui Oscar De Summa presentava il suo Diario di provincia) è nello spazio esterno del Castello Pasquini, bisogna calpestare le sue foglie per potersi sedere in una platea fatta a forma di abbraccio. Soul Music è un impianto di voce e musica, una postazione appena livellata dalle luci nel buio della sera. Un’atmosfera di una provincia amara, e pure scintillante nei caratteri dei protagonisti, prende forma come in un presepe mobile: siamo in Puglia, la terra che l’attore e autore più di una volta ha saputo raccontare (nella felice Trilogia della Provincia); siamo negli anni Novanta, quando cioè ancora la storia, nel vecchio Novecento rurale del sud, appariva a sprazzi e la modernità era un miraggio in lento divenire; siamo insieme a un gruppo di ragazzi che dà vita a una band, o almeno ci prova, misurando proprio lo scontro tra la volontà e il conformismo, tra l’intenzione più intima e la moda più esteriore. Il loro mito è la soul music di Ray Charles e Aretha Franklin, di Nina Simone e Percy Sledge, la musica dell’anima nata negli anni Cinquanta e poi Sessanta, in cui riconoscere anche l’eco maledetta della voce di Jim Morrison. La loro difficoltà è imporre la propria scelta su un futuro talvolta già scritto, per esistenze già incanalate in un tunnel predisposto.
Oscar De Summa, attore tra i nostri migliori, è immerso nelle proprie storie senza limitazione, divertito per primo dal proprio raccontare; ciò accade per il fatto di essere un narratore puro, debitore di una struttura soltanto alla connotazione drammaturgica della proposta, ché siamo in teatro e certo occorre, ma senza che si noti il minimo confine tra la sua scena e chi, beato e sorridente all’altro capo di un filo invisibile, lo ascolta. La provincia, il paese, prendono vita attraverso i personaggi come pedine di una scacchiera dalla sola direzione: che cosa ci sottrae al disegno preordinato per il nostro avvenire? De Summa sembra rispondere con la musica (come già nei precedenti Stasera sono in vena e La sorella di Gesù Cristo), unico veicolo in grado di elevare in uno spazio in cui il destino, la condizione di precarietà, la solitudine, non esistono. E la musica si erge dagli altoparlanti di una radio che vi interseca, come nella tradizione degli speaker votati alla marcata impronta dell’epica USA, informazioni di vita comune, quotidiana, trattate con caustica ironia, un piccolo mondo antico lanciato nell’etere a farsi frammento del più grande mondo contemporaneo. Non importa che a questi giovani sia capitato di nascere nella provincia di Brindisi, perché, se lo guardi bene, questo Salento riarso al sole inclemente tanto somiglia alle sconfinate pianure americane.
Ecco, poi lo spettacolo finisce e queste cose tocca andarsele a dire nel Dopofestival. Che noia. E invece no, perché nel nostro scherzo una cosa è chiara: Inequilibrio è uno spazio vivo in continuo divenire, corrisponde all’idea di festival che tra pochi altri in Italia esprime quella necessità di investimento energetico in esperienze condivise, dense di idee e di apparizioni sempre nuove. Non hanno molto altro, il teatro o la danza, in questo periodo di oscurità in cui sono costretti, che buttare tutto tra il palco, prima, e la platea allargata, dopo, per finalmente farsi luogo e, degnamente, farsi vita.
Simone Nebbia
Anfiteatro Castello Pasquini, Castiglioncello – Inequilibrio Festival – Luglio 2019
SOUL MUSIC – Dal lato opposto
di e con Oscar De Summa
progetto luci e scene Matteo Gozzi
realizzazione scene Maurizio Tell
arrangiamenti musicali Davide Fasulo
produzione La Corte Ospitale