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Parete Nord di mk. Immersione nell’Altrove

Alla Triennale Teatro dell’Arte abbiamo visto Parete Nord, coreografia di Michele Di Stefano per la sua Compagnia mk, in scena anche a Fabbrica Europa 2019. Recensione.

foto di Andrea Macchia

Una delle tracce per immettersi consapevolmente, forse, nella brillantezza della prima delle due parti di cui consta Parete Nord di Michele Di Stefano per mk, visto alla Triennale Teatro dell’Arte di Milano e ora in scena il 17 maggio a Firenze per Fabbrica Europa 2019, è certamente ricordare, se mai ne avessimo avuto l’occasione, l’ebbrezza provata nell’osservare una montagna altissima, circondata da altre vette di una catena montuosa. L’ebbrezza si può tramutare in attrazione, desiderio di sfida e, nel caso fossimo scalatori, in un’eccitazione mista a paura dell’attacco.
L’arrampicata, sia essa in free climbing oppure equipaggiata, parte sempre da un campo base, e da un “attacco”. È un combattimento a tu per tu con la roccia, entro un paesaggio di solito meraviglioso ma tutt’altro che rassicurante; è la messa alla prova della nostra capacità di concentrazione, equilibrio, costante cura del nostro agire per non cadere in fallo, magari proprio lì su quella cengia lunga mezzo centimetro e scivolosa su cui l’agile scarpetta potrebbe anche perdere il contatto con la montagna, e farci restare a penzoloni, con le braccia che devono tenere il peso del corpo intero, assieme all’altra gamba incollata alla roccia. Un corpo che scala è sempre sospeso, mentre sale e “combatte”, ma anche un corpo che semplicemente ascende, senza particolari velleità da rocciatore incallito, è pervaso da una miriade di sensazioni interiori contrastanti: tra sé e sé, la montagna e il paesaggio.

foto di Andrea Macchia

Siamo coinvolti in questa ridda di contrasti nella chiarissima struttura della prima parte di Parete Nord, nato, non a caso, nell’ambito di VERTIGINE#1, all’interno del progetto Corpo Links Cluster che si ripeterà anche quest’anno a Torinodanza 2019 (con altri artisti e su altre cime) grazie alla passione per le alte quote di Anna Cremonini, la sua direttrice artistica. L’anno scorso ha portato con sé Michele Di Stefano a Bardonecchia. Insieme ad Alberto Re, guida alpina, i tre hanno scalato la Guglia Rossa, o meglio hanno completato un’escursione sin sulla cima della stessa, alta 2.548 metri. La vetta “rossa” appartiene alle Alpi del Moncenisio nelle Cozie francesi, ma solo il versante che guarda verso l’Italia di questo monte, la Parete Nord, appunto, è riservata ad abili scalatori. Sesto, settimo, ottavo grado? Chissà. Comunque un mito ampiamente rimasticato e digerito nella residenza a Bardonecchia, questa volta con tutti e sette gli interpreti della pièce, che avrebbe debuttato a Torinodanza nell’ottobre 2018, prima di giungere anche a FOG, rassegna della Triennale Teatro dell’Arte in corso, dove l’abbiamo ammirata, con alcuni accorgimenti tecnici e aggiunte che potrebbero ricomparire al Teatro della Pergola di Firenze.

foto di Andrea Macchia

In un chiarore quasi abbacinante tutti i danzatori – sei oltre a Biagio Caravano, sempre fido collaboratore di Di Stefano – si gettano con energia straripante o contenuto e cauto progredire, all’attacco dello spazio, ovvero della coreografia. Per un formalista, nomade e sottilmente semantico nella sua parola linguistica alla ricerca di un’ispirazione in un altrove che può essere anche qui: nulla è mai didascalico, semmai evocativo. I costumi, tutti neri, di Parete Nord sono diversi, ma le danzatrici (Laura Scarpini, Francesca Ugolini) e un paio di interpreti maschili (Francesco Saverio Cavaliere, new entry nella quasi sempre cangiante Compagnia mk, e Sebastiano Geronimo), vantano costumi a frange. Non è il caso di Luciano Ariel Lanza, in maglietta e calzoncini, che apre la messinscena, dopo un’eco di canto montano e quasi sacro, con un meraviglioso assolo in cui le braccia, con lui, possono anche roteare, ma la fantasia del movimento, i piccoli dettagli del collo che si muove in direzioni opposte e la sua perfezione, impassibilmente espressiva, lasciano stupefatti. Entrano poi con velocità che segue la pertinentissima musica di Lorenzo Bianchi Hoesch – ora tambureggiante, ora rarefatta, simile a un ticchettio lontano, o siderale – le danzatrici e il frenetico Caravano. Come tutti, egli getta braccia e gambe in molte direzioni: lo spazio attende di essere costantemente indicato dagli arti tesi e dritti, oppure gettati con nonchalance in alto, in questa prima parte della pièce, concepita come un flusso continuo di entrate e uscite.

foto di Andrea Macchia

Le entrate finiscono per essere scivolate in ginocchio, le uscite possono essere semplici camminate, o un magnifico e guardingo scorrere verso le quinte a braccia conserte equivalente a un refrain, a un ritornello ripetuto, quasi per proteggere il busto, correndo ma tenendo bene le gambe aperte “alla seconda” (posizione accademica) se così possiamo dire.
In tutto questo andirivieni si nota un costante convergere verso il centro, che può coinvolgere solo due o tutti i danzatori. Attenzione: la vetta montana pretende uno sguardo puntato verso un apice preciso, che poi ci distrae (nel paesaggio) e che qui si frantuma in una serie di assoli. I due, femminili, denunciano una mollezza, un affaticamento tra linee accademiche anche perfette e qualche lieve cedimento: lo sfiorare il suolo. L’assolo di Caravano è velocissimo: scalfisce con le braccia dure uno spazio quasi solido, ma, da maestro di cerimonia, egli si può permettere di cadere a terra e di osservare l’insieme in trasformazione perenne, in qualche momento di stasi.

foto di Andrea Macchia

Calano teli trasparenti nella prima parte di Parete Nord; le luci si fanno più tenui, la visione si allontana, la musica concilia o a volte fa trasalire di paura, ma non tanto da impedire l’osservazione di una danza quasi a specchio proprio di Caravano e Geronimo, così diverso, quest’ultimo, nel proprio allegro frullio, così destabilizzante rispetto all’iper-tecnico Cavaliere. Due, comunque, i perni di questa prima parte: Lanza, un solido costruttore del tempo, del rigore, della precisione, della conoscenza dello spazio e di un cauto muoversi in precise direzioni, e appunto Cavaliere che invece è il vento, la tempesta, la frenesia di una brezza senza tregua, lo sconquasso insistente nel suo compito di elargire veemenza tecnica, nonostante le entrate di compagni che non osano placare la sua foga in piena.
I tre tempi della prima parte, che tali ci sono apparsi, si concludono con un caotico “fuggi e rientra” quasi privo di struttura. L’assolo finale, ancora di un Cavaliere dal ruggito accademico, dagli audaci cambré, ma anche in dialogo tra la sua fuga costruita e il desiderio, incauto e apprezzabile, di libertà, prelude a una caduta, questa volta in proscenio, di un sipario nero come la pece.

foto di Andrea Macchia

Quando si risolleverà avremo di fronte un paesaggio lunare, pure velato ma dalla magia delle luci, sul quale piovono grosse palle e piccoli granelli di neve. Potrebbe sembrare la punta della vetta sempre “disubbidiente” e mossa da eventi inattesi? E sia, ma qui pare d’essere in un altrove incantato e quasi romantico, tra dune che poco alla volta si rapprendono rendendo sempre più visibile quella sorta di capanna che da stabile si muove freneticamente e che, mangiandosi tutta la stoffa nera stesa al suolo, rivela la presenza di Philippe Barbut, in mutande: timido, solo.
Il danzatore storico di mk agiterà una bandierina in segno di vittoria: la vetta è conquistata o l’altrove astrale? Oppure, nella sua silenziosa solitudine, confortata da quei canti montanari e sacri dell’inizio della seconda parte, egli cerca aiuto, come unico sopravvissuto in un mondo svanito? Non sappiamo. Si vede come si vuol vedere ed è questa falsità che costruisce l’arte dell’arguto, intelligente, ma anche emotivo Michele Di Stefano.

Marinella Guatterini

Triennale Teatro dell’Arte, Milano – aprile 2019

in scena il 17 maggio al Teatro della Pergola di Firenze, per Fabbrica Europa 2019

PARETE NORD
coreografia Michele Di Stefano
musica Lorenzo Bianchi Hoesch
con Philippe Barbut, Biagio Caravano, Francesco Saverio Cavaliere, Sebastiano Geronimo, Luciano Ariel Lanza, Laura Scarpini, Francesca Ugolini
disegno luci e direzione tecnica Giulia Broggi, Firefly, 2018, courtesy First Rose
abiti Matteo Thiela
direttore di scena Davide Clementi
organizzazione Carlotta Garlanda
logistica Francesca Pingitore
produzione mk/klm 2018 in coproduzione con Torinodanza festival / Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale nell’ambito del progetto “Corpo Links Cluster”, sostenuto dal Programma di Cooperazione PC INTERREG V A – Italia-Francia (ALCOTRA 2014-2020)
con il sostegno del MIBAC
in collaborazione con Comune di Bardonecchia
ringraziamenti Alberto Re e Alessandra Sini

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