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La Ballata dei Lenna: Human Animal, sopravvivere alla noia. O su David Foster Wallace

La compagnia torinese La Ballata dei Lenna ha portato in scena al Teatro Biblioteca Quarticciolo di Roma Human Animal, spettacolo con una regia condivisa nato a partire da Il re pallido, ultimo romanzo dello scrittore americano David Foster Wallace, pubblicato postumo nel 2011. Recensione.

foto laballatadeilenna.com

«Adorate il vostro intelletto, cercate di essere considerati intelligenti, e finirete per sentirvi stupidi, degli impostori, sempre sul punto di essere scoperti. Ma la cosa insidiosa di queste forme di adorazione non è che siano cattive o peccaminose, è che sono inconsce. Sono la configurazione di base. Sono forme di adorazione in cui scivolate lentamente, giorno dopo giorno, divenendo sempre più selettivi rispetto a quanto volete vedere e a come lo valutate, senza essere mai completamente consci di quello che state facendo. E il cosiddetto “mondo reale” non vi scoraggerà dall’operare con la configurazione di base, perché il “mondo reale” degli uomini e del denaro e del potere canticchia allegramente sulla riva di una pozza di paura e rabbia e frustrazione e desiderio e adorazione di sé. La cultura contemporanea ha imbrigliato queste forze in modo da produrre una ricchezza straordinaria e comodità e libertà personale. La libertà di essere tutti dei signori di minuscoli regni grandi come il nostro cranio, soli al centro del creato.» Così David Foster Wallace nel 2005 diceva nel discorso tenuto in occasione della cerimonia di consegna delle lauree al Kenyon College in Ohio, una riflessione – per dichiarazione lontana dal monito e dalla retorica – sulla reale capacità di pensare, sulla discrasia di pensare di saper pensare, sulla scelta o meno di una prospettiva da cui abbracciare o distanziare l’afflizione della mediocrità di alcune attività quotidiane, sulla centralità del sè anche o soprattutto per quanti si dedichino alla sfera umanistica e al lavoro intellettuale, spesso centro di un ricircolo egoriferito germinato dal “problema dell’arroganza”, «perché la vera educazione a pensare, […] non riguarda affatto la capacità di pensare, ma piuttosto la scelta di cosa pensare».

foto laballatadeilenna.com

Tutto questo tre anni prima di togliersi la vita e depositare lo stampo quasi di un’immagine prototipica per cui un nome diventa un suono che ricorre, che corrisponde a un immaginario definito e acquisisce una portata di spartiacque irreversibile, di totem dialettico di un’epoca. Ma, nel più improduttivo dei casi, una porzione poco attenta o una troppo pedante di lettori  rischierebbe di sentirsi detentrice di uno sguardo altro solo in virtù di un’eco di quel nome, dimentichi dell’irrompere del suono che l’ha generata: un riverbero veloce e occasionale o manicale e imperituro a trasformare Foster Wallace in «quel genere di celebrità letteraria che lo avrebbe fatto rabbrividire» come ha dichiarato la moglie Karen Green in un’intervista apparsa su The Guardian nel 2011 in occasione della pubblicazione postuma de Il re pallido: un romanzo incompiuto (The Pale King. Little, Brown and Company, US, 2011- edizione italiana Einaudi). Il testo (in scrittura per più di dieci anni), ritrovato su una scrivania sotto una lampada accesa al momento del suicidio dell’autore di Infinite Jest e mandato alle stampe grazie al contributo editoriale di ordinamento Michael Pietsch, affonda fra le dinamiche lavorative e le vicende umane di un gruppo di impiegati dell’IRS (Internal Revenue Service, l’ente contributivo e tributario statunitense) per scandagliare e restituire la noia insanabile che dalla loro routine si trasfonde in quella dell’individuo contemporaneo, del lettore.

foto laballatadeilenna.com

Ed è proprio a partire da Il re pallido che la compagnia torinese La Ballata dei Lenna ha messo a punto la scrittura di Human Animal, andato in scena al Teatro Biblioteca Quarticciolo con la regia di tutti e tre i componenti dell’ensemble (Paola Di Mitri, Nicola di Chio, Miriam Fieno). Piuttosto che realizzando una vera e propria riscrittura, il riferimento allo scrittore americano sembra esplicitarsi in un adattamento concettuale, rispetto al tipo di contesto e di situazione e rispetto al sistema di decriptazione e restituzione della realtà. Il linguaggio letterario e quindi l’uso vero e proprio della lingua scritta si commuta nella ricerca di un linguaggio scenico in grado di restituirne le caratteristiche sia dal punto di vista estetico sia dal punto di vista tematico. Replicando uno dei canali da cui già l’autore aveva tratto parte del materiale di orditura del romanzo, Di Mitri, Fieno e Di Chio, dopo l’avvicinamento alla complessa opera di Wallace, hanno trascorso un periodo di osservazione e ricerca all’interno di alcuni uffici piemontesi dell’Agenzia delle Entrate, implementando così la composizione del testo con una metodologia di natura sostanzialmente antropologica.

foto laballatadeilenna.com

Il contesto appunto è quello di un ufficio dell’Agenzia delle Entrate dove tre impiegati si trovano a recuperare documenti e incartamenti danneggiati a seguito di un’alluvione. Ciò che accade è il progressivo disvelamento dei profili di ciascuno dei tre ad animare il dispositivo scenico con cenni di background e finestre aperte sull’ordinarietà ripetuta delle loro giornate, ma anche il profilarsi delle dinamiche che regolano la loro interazione, dal contenimento alle acredini, dalle solidarietà alle fratture, in una sorta di cerchio all’interno del quale la vita non si nega e in cui però sbavature, picchi e cali si susseguono su una griglia autoimposta e imposta da un sistema creato con ogni probabilità per gabbare o dominare la costante e intollerabile avanzata del tedio, dell’assenza di senso. Di “dispositivo scenico” si parlava non a caso: si tratta di un sistema bifasico ove il crinale tra «fiction e non fiction», a cui i tre performer si dicono da sempre interessati, prende corpo nella contrapposizione tra la presenza “frontale”, “concreta” degli attori e la visione mediata dell’azione, ripresa in diretta da una telecamera e proiettata su un telo a segnare il confine tra la realtà e la sua rappresentazione.

foto laballatadeilenna.com

Nella prima parte le immagini in presa diretta, alcune delle quali particolarmente incisive – come quella iniziale e finale di un occhio che si apre e si chiude e le cui palpebre sono riprodotte dalle dita poste in prossimità dell’obbiettivo –, sembrano operare sulle inquadrature con un preciso criterio prospettico che non è difficile collegare per trasposizione a quell’idea di “scelta” evocata nella citazione che apre questo articolo: indicazione, didascalia, occhio letterale e figurato, la loro funzione è plurima, complessa il giusto, senza mai risultare gratuita o inaccessibile. Frame della quotidianità dei veri impiegati fanno da trait d’union con una seconda parte in cui la quarta parete si infrange, gli interpreti guadagnano la ribalta e si rivolgono direttamente alla platea interrogandola prima sulla natura umana e scegliendo poi per estrazione (sulla base di bigliettini numerati pescati prima dell’ingresso in sala) uno spettatore come exemplum casuale, comunissimo eppure del tutto particolare, che introduce alla conclusione.

foto laballatadeilenna.com

Nonostante la generale impressione di chiarezza, una perplessità sussiste sull’elemento metateatrale. Se la sua introduzione e l’interruzione della dimensione narrativa ben si conciliano sia col modus che con l’architettura dello spettacolo, nel caso specifico tuttavia appare più come un evitabile pretesto formale. Il meccanismo risente di una sorta di mediazione per cui il coinvolgimento dello spettatore non pare né realmente cercato né realmente contemplato, depotenziando quel senso di aggressione necessaria o quanto meno di destabilizzazione su cui si dovrebbe reggere; ed è forse lo stesso dubbio a sottolineare la necessità di una maggiore messa a fuoco della presenza attorale senza telecamera, che beneficerebbe dell’eliminazione di alcune sfumature di maniera.

Ripetere, affrontare i giorni, vedere la noia, sprofondarci, scavallarla per sopravviverle, per sopravvivere oppure per continuare a vivere: «È straordinariamente difficile da fare, rimanere coscienti e consapevoli nel mondo adulto, in ogni momento. Questo vuol dire che anche un altro dei grandi luoghi comuni finisce per rivelarsi vero: la vostra educazione è realmente un lavoro che dura tutta la vita. E comincia ora».

Marianna Masselli

Teatro Biblioteca Quarticciolo, Roma – aprile 2019

HUMAN ANIMAL
di Paola Di Mitri
regia Nicola Di Chio, Paola Di Mitri, Miriam Fieno
con Nicola Di Chio, Paola Di Mitri, Miriam Fieno
voce narrante Alex Cendron
luci e visual concept Gennaro Maria Cedrangolo e Eleonora Diana
video e riprese Vieri Brini e Irene Dionisio
costumi Valentina Menegatti
produzione La Ballata dei Lenna
produzione esecutiva ACTI Teatri Indipendenti
sostegno alla produzione Hangar Creatività, Zona K Milano, Factory Compagnia Transadriatica, Principio Attivo Teatro
in collaborazione con Scuola Holden

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Marianna Masselli
Marianna Masselli
Marianna Masselli, cresciuta in Puglia, terminato dopo anni lo studio del pianoforte e conseguita la maturità classica, si trasferisce a Roma per coltivare l’interesse e gli studi teatrali. Qui ha modo di frequentare diversi seminari e partecipare a progetti collaterali all’avanzamento del percorso accademico. Consegue la laurea magistrale con una tesi sullo spettacolo Ci ragiono e canto (di Dario Fo e Nuovo Canzoniere Italiano) e sul teatro politico degli anni '60 e ’70. Dal luglio del 2012 scrive e collabora in qualità di redattrice con la testata di informazione e approfondimento «Teatro e Critica». Negli ultimi anni ha avuto modo di prendere parte e confrontarsi con ulteriori esperienze o realtà redazionali (v. «Quaderni del Teatro di Roma», «La tempesta», foglio quotidiano della Biennale Teatro 2013).

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