Al Teatro Sala Umberto di Roma (e poi all’Elfo Puccini) la compagnia milanese Teatro Filodrammatici con La scuola delle scimmie, scritto e diretto da Bruno Fornasari. Recensione.
C’è chi non si fida dei vaccini, chi crede di aggirare gli algoritmi di Facebook postando inutili catene di Sant’Antonio, chi non ascolta neanche l’Organizzazione Mondiale della Sanità affermando che l’omosessualità è una malattia e chi – nelle ultime settimane il caso mediatico è letteralmente esploso grazie ad articoli e documentari – si definisce terrapiattista.
Insomma la scienza non ha mai vissuto un periodo di così grave sfiducia, molte di queste credenze fanno ridere, certo, ma per toccare con mano il polso della situazione bisogna pensare che il 10% degli americani avrebbe dei dubbi circa la sfericità del pianeta su cui tutti i giorni poggia i piedi. Aggiungete a questa immagine quel meccanismo retorico creato appositamente per chiudere ogni discorso e che fa appello proprio alla libertà di pensiero e avrete inteso quale sia la situazione. «Sono libero di credere quello che voglio, la terra secondo me è piatta». Hai voglia a citare Keplero, lo scudo della libertà protegge qualsiasi nefandezza del pensiero.
Ecco allora che un testo come La scuola delle scimmie di Bruno Fornasari, visto a Roma al Teatro Sala Umberto (che si sta aprendo a interessanti proposte milanesi, si veda anche l’Oscar Wilde del Teatro dell’Elfo programmato recentemente), è difatti un tentativo di riflettere su questioni che riguardano decisamente la sfera delle problematiche contemporanee. Dopo il successo di N.e.r.d.s., però, l’autore e regista (nonché condirettore del Teatro Filodrammatici) gioca la carta della complessità a costo di rinunciare a gran parte dell’ironia che aveva contraddistinto la precedente scrittura.
Qui il debito alle penne britanniche è ancora più evidente: ci sono due storie che viaggiano parallele in due spazi e tempi lontani. La prima trova la propria origine nella Storia americana, in quello che fu definito il «processo della scimmia», in cui, nel 1925, nel Tennessee, il professor John Scopes (Luigi Aquilino) violava le leggi dello Stato diffondendo nella scuola pubblica le teorie di Darwin. La seconda si installa invece ai giorni nostri e vede un giovane insegnante (Tommaso Amadio) tornare nei luoghi della propria infanzia per insegnare scienze naturali in una scuola, qui verrà osteggiato da genitori e preside (Sara Bertelà) a causa di un progetto che vorrebbe intrecciare evoluzionismo e religione.
La scrittura vivace, intelligente e stratificata di Fornasari incontra attori efficaci in grado di portarsi sulle spalle uno spettacolo di due ore e un testo che da Luís Pasqual, nella prefazione dell’edizione CuePress, viene definito «complesso e chiaro allo stesso tempo, ambizioso, estremamente contemporaneo, profondo e leggero, con profumo di Pinter e d’inchiostro di giornale». È in effetti un grande affresco che ha il merito di porre al pubblico interrogativi tutt’ora aperti attraverso meccanisimi finzionali decisamente coraggiosi, soprattutto se pensiamo che spesso il teatro, anche quello scaturito da importanti produzioni, interroga se stesso perdendo l’occasione di creare immaginario, di questionare il presente. Eppure in questo momento ne avremmo bisogno più che mai, vista la complessità che ci circonda, vista la coltre di oscurantismo che si muove sopra le nostre teste.
I due plot in alcuni momenti si sovrappongono in un’affascinante coesistenza dimensionale, in cui la quarta parete viene sacrificata a favore di una relazione immediata con lo spettatore e qui Fornasari dimostra aperture verso autori come Dennis Kelly; ma le due drammaturgie non hanno la stessa efficacia. Nella prima si respirano le grandi storie americane, nello sventagliare accorato del Sud si rintracciano una mitologia precisa e un arco narrativo compatto nel quale il giovanissimo e bravo Luigi Aquilino è il classico eroe processato dalla cecità di uno Stato arretrato; appassionante anche il sub-plot giornalistico legato alla questione del padre latifondista (interpretato dalla voce e dagli occhi brillanti dell’ottimo Giancarlo Previati).
La linea narrativa dedicata al presente si snoda invece per accumulo, tra numerosi (forse troppi?) impulsi ideativi: il giovane professore, oltre a scontrarsi con la scuola per i propri insegnamenti, ha un fratello morto in combattimento, il quale si era battuto per la causa dell’Isis; da qui l’interessante intreccio con la passione dell’insegnante per le religioni. Ma poi la situazione si complica ulteriormente a causa di altre sotto trame: la ex moglie del professore è un’artista in crisi perenne, una studentessa cerca di sedurre l’insegnante e altri piccoli nuclei narrativi che rendono davvero troppo ricca la trama. Fornasari non punta al minimalismo neanche dal punto di vista registico: potrebbe fare a meno di una scena che altro non è se non un grande albero (senza il quale poco cambierebbe) e quinte grige che vengono spostate nei cambi. Questi ultimi sono animati dagli attori, che appaiono con maschere da scimmie, con stacchetti che nulla aggiungono dal punto di vista drammaturgico e che rischiano di dilatare ancora di più il tempo dello spettacolo.
Fortunatamente lo sguardo interrogativo dell’autore verso l’esterno resiste e la questione ancora oggi centrale sul binomio scienza/religione non si chiude banalmente, anzi, la compagnia del Teatro Filodrammatici ci lascia proprio con la consapevolezza che questo binomio va alimentato con una serie di domande e di riflessioni. D’altronde la religione che, nel proprio radicalismo, non ammette la scienza è quella che Albert Einstein chiamava «religione del terrore», auspicando invece un «mirabile accordo» tra una tensione spirituale, che definiva «religione cosmica», e la ricerca scientifica.
Andrea Pocosgnich
Teatro Sala Umberto, Roma – marzo 2019
in scena al teatro Elfo Puccini di Milano dal 2 al 7 aprile
LA SCUOLA DELLE SCIMMIE
di Bruno Fornasari
regia Bruno Fornasari
con Tommaso Amadio, Emanuele Arrigazzi, Luigi Aquilino, Sara Bertelà, Silvia Lorenzo, Camilla Pistorello, Giancarlo Previati
scene e costumi Erika Carretta
disegno luci Fabrizio Visconti
video Francesco Frongia
movimenti coreografici Marta Belloni
assistente scene e costumi Federica Pellati
direzione tecnica Silvia Laureti
assistenti alla regia Gaia Carmagnani, Ilaria Longo
con il sostegno di Regione Lombardia e Fondazione Cariplo – Progetto NEXT 2017/2018
Produzione di Teatro Filodrammatici di Milano con il sostegno di Regione Lombardia e Fondazione Cariplo – Progetto NEXT 2017/2018