Childhood scritto e diretto da Lorenzo de Liberato, capitolo conclusivo della trilogia #Lonelydays in scena al Teatro Biblioteca Quarticciolo. Recensione
L’infanzia, vista dalla lontananza dell’età adulta raccontata da Lorenzo De Liberato nel suo Childhood, è un luogo mitico e mitizzato cui attribuire significati del proprio agire, colpe, desideri; giustificazioni per un fallimento, tracce di un mai risolto senso di abbandono, pronti a generalizzarsi e a emergere anche a sproposito. Nel rievocare il mito dell’infanzia prende prepotentemente posto quel “ti ricordi” che punta il dito o si erge a faro contro lo sfilacciamento dei legami familiari, forse nell’impossibile rievocazione di un senso di felicità mai raggiunta.
Terzo capitolo di #Lonelydays, Childhood è, come i precedenti, un testo che indaga il senso di solitudine contemporanea (oltre al titolo omonimo alla trilogia, nato dallo scardinamento delle Smanie della villeggiatura goldoniana, anche Exile sulla crisi di coppia). In quest’ultimo spettacolo, andato in scena al Teatro Biblioteca Quarticciolo, due fratelli si rivedono dopo diversi anni di distacco il giorno successivo al funerale della madre, personaggio in absentia che appare fin da subito come una figura quanto mai ingombrante e che ha segnato, per entrambi ma in maniera speculare, forzature affettive sia in avvicinamento che in allontanamento. Marco Quaglia e Barbara Folchitto sono Harry ed Elizabeth, due bambini-adolescenti in corpi da adulti alle prese con i propri fallimenti, costretti a un faccia a faccia a tratti venato di comicità, su un filo che non trova quasi mai pieno sfogo. La tensione di questo scontro con il presente e col passato, anzi, si alimenta dell’alternanza continua di aggressività-riconciliazione-riso, in un’onda sinusoidale che sulle prime spiazza e quasi disturba, ma che viene, nel corso dello spettacolo, mitigata.
Sul palco dimorano oggetti feticcio (la sedia a dondolo in cui addormentarsi e perdersi nei ricordi per lui, un vaso di margheritoni, segno di cura o del funerale passato per lei?), poco altro, funzionale alla dimensione realistica del taglio. Quello che emerge con forza è l’aspetto emozionale supportato dai due attori: il vero palco è il loro corpo e la loro espressività, ciò che passa sul volto di lui, poco dopo l’inizio, ciò che emerge su quello di lei alla lettura di una email controversa. Gli arti lunghi, tesi, la voce stridula dell’una o quelli mollemente lasciati andare, la voce incerta dell’altro rispecchiano caratteri e azioni, quasi a costruire una geografia emotiva che stratifica il tempo e ne presenta i suoi effetti contestualmente, eredità suo malgrado.
De Liberato, nella sua scrittura asciutta, porta gli attori (presenze costanti all’interno della compagnia I Marabutti) in una condizione estremamente fertile, all’interno della quale è possibile sperimentare un’ampia gamma emotiva anche a scapito della profondità del narrato. A ben vedere, allora, quell’infanzia demonizzata diviene la ricchezza dell’attore, a patto che sappia come giostrarla, il non detto il suo nutrimento, e i fallimenti i perni su cui far ruotare la propria storia.
Viviana Raciti
Visto al Teatro Biblioteca Quarticciolo – gennaio 2019
CHILDHOOD
Di Lorenzo De Liberato
Regia Lorenzo De Liberato
Con Barbara Folchitto e Marco Quaglia
Disegno luci di Matteo Ziglio | Scenografie di Laura Giusti | Costumi di Giuseppe D’Andrea