Matera 2019. La Capitale Europea della Cultura si avvia a inaugurare un programma di eventi dal titolo “Open Future”, in un reticolo culturale vario che coinvolga realtà territoriali e internazionali. Una panoramica e un’introduzione alle attività.
«E passerà / sarà un vento caldo / solo pieno di pazzie / che dal sud arriva / e ti tiene sveglio / anche se è un po’ lento / vedrai che correrà».
Era il 1981 quando, uscendo con Vai mo’, Pino Daniele cantava in questo modo il suo Viento ‘e terra. Era il 17 ottobre 2014 quando, dopo un’attesa e in un grido collettivo, veniva, forse inaspettatamente, eletta Capitale Europea della Cultura 2019 Matera e una sorta d’eco di quelle parole è parsa tornarci alla mente come un rigurgito di orgoglio, quasi di rivincita. Rivincita per un centro, per un territorio ironicamente e bonariamente entrato a un certo punto nella vulgata comune più o meno mainstream con l’inciso «la Basilicata non esiste»; rivincita per quei Sassi di cui molti decantano la bellezza ma che non tutti conoscono, rivincita per quella asperità e l’irta chiusura che Carlo Levi già raccontava nei suoi scritti e nelle sue immagini non senza riversarvi il dolore del confino subìto.
L’apertura è prevista per il 19 gennaio con un’inaugurazione segnata dalla presenza di cinquantaquattro bande provenienti dalle Capitali Europee della Cultura e da altri comuni della Basilicata. Un programma sterminato nato dalla necessità di conciliare la vocazione europea con l’idea originaria di città-cittadini, costruito all’insegna dello slogan Open Future su cinque binomi contraddittori (Futuro Remoto, Continuità/Rotture, Connessioni/Riflessioni, Radici/Percorsi, Utopie/Distopie) e destinato a concludersi il 19 dicembre dopo quarantotto settimane di programmazione.
Sono numeri importanti quelli che hanno segnato la realizzazione del progetto: quarantotto milioni di euro divisi tra fondi regionali, nazionali e sostegni di privati, cinquanta produzioni originali di cui circa la metà a opera di realtà locali; ottomila ospiti internazionali, un centinaio di partner internazionali e più di tremila abitanti del territorio coinvolti a più livelli nella realizzazione delle iniziative. Il tutto compattato e supervisionato dal presidente Salvatore Adduce, dal direttore generale Paolo Verri, da Ariane Bieou (manager culturale), Agostino Riitano (project manager supervisor, vecchia conoscenza del circuito teatrale italiano) e dagli altri responsabili della Fondazione Matera-Basilicata 2019 col ricorrere del lemma co-creazione.
«Ben metà delle produzioni sono frutto del percorso di co-creazione fatto insieme alla scena creativa lucana, collegata a un ampio ventaglio di artisti, reti e istituzioni sia nazionali che europee. L’altra metà del programma sarà realizzata grazie ad accordi con diverse istituzioni culturali europee e italiane, a partire dall’altra Capitale europea della cultura, la nostra amica e gemella Plovdiv, con cui realizzeremo tre grandi progetti culturali e ci scambieremo le due principali mostre». Così Verri nel corso della conferenza stampa di presentazione svoltasi lo scorso 21 settembre.
Mostre, installazioni, concerti, allestimenti d’opera, eventi performativi, laboratori, percorsi di indagine e scoperta del territorio supportati da concept artistici, reading, urban games e giochi di ruolo, incontri, rassegne e approfondimenti cinematografici. Niente sembra volersi escludere dall’abitazione della dimensione urbana e dei luoghi limitrofi, coinvolgendo la celeberrima superficie ipogea dei Sassi (Caveoso, Barisano, le Cave del Sole, adattata agli eventi dal vivo, e Paradiso, riservata alle mostre), ma pure altre strutture (Museo Lanfranchi, Museo Ridola), strade e piazze, altri centri regionali.
A ricongiungerli lungo una linea comune è il lavoro compiuto attraverso l’Open Design School, “scuola non scuola” creata da Joseph Grima – architetto francese e direttore artistico durante le fasi di candidatura –, un’entità di matrice pratica e concettuale volta all’individuazione dei luoghi adatti agli eventi e orientata a una messa a punto coerente di tutti gli allestimenti nello spazio pubblico. Lo stesso Grima è anche il curatore di I-DEA, progetto espositivo di sunto e restituzione dell’identità artistica, culturale e antropologica lucana, articolato tramite cinque grandi mostre – la prima delle quali dedicata a Mario Cresci – che animeranno Cava Paradiso.
«Per capire che cosa è I-DEA il modo più semplice è immaginare un archivio degli archivi in crescita. La Basilicata è una regione di collezionisti e, durante gli anni numerose persone, associazioni di cittadini, organizzazioni private, istituzioni pubbliche e fondazioni hanno costruito archivi unici che riguardano ogni aspetto della cultura italiana e meridionale, dal suo patrimonio musicale all’oggettistica per turisti e dal cinema del Ventesimo secolo agli attrezzi per l’agricoltura». Grima continua spiegando che I-DEA si ispira «al Rolywholyover A Circus, una “composizione per museo” creata dal compositore, scrittore, filosofo e artista visivo John Cage». A tale concezione espositiva se ne affiancano altre quattro a richiamare l’idea delle opposizioni di base per una restituzione diacronica del territorio: Ars Excavandi, Rinascimento verso Sud, La poetica dei numeri primi, Stratigrafie. Osservatorio dell’Antropocene.
Diversi, per numero e articolazione, gli eventi performativi, tanto ovviamente da non poterli elencare tutti. Tra i più attesi, il nuovo spettacolo di Brian Eno ispirato dal ricorrere del cinquantenario dello sbarco dell’uomo sulla Luna, previsto per il 18 luglio alla Cava del Sole. Impossibile non citare la collaborazione con il Teatro San Carlo di Napoli per quanto concerne la parte operistica della programmazione, con lo spiccare di una Cavalleria Rusticana di Mascagni che prevede il coinvolgimento dei cittadini materani. Ancora il progetto dedicato alla Divina Commedia dantesca con le letture affidate a Dino Becagli e soprattutto con l’allestimento del Purgatorio affidato al Teatro delle Albe di Ermanna Montanari e Marco Martinelli, in una crasi di sacre rappresentazioni medievali e teatro di massa à la Majakovskij, a seguire l’Inferno già andato in scena a Ravenna nel 2017.
Tra i primi appuntamenti di natura prettamente teatrale, Humana vergogna, lavoro di #reteteatro41 per la regia di Silvia Gribaudi, «una riflessione sulla parola vergogna, un’analisi intima e collettiva allo stesso tempo», nata e inserita all’interno del progetto La Poetica della Vergogna, portato avanti con la Casa Circondariale di Matera e con comunità artistiche italiane e internazionali.
«Questa Lontana e Piccola città del Sud che diventa capitale europea della cultura era per me una contraddizione che mi è piaciuta molto. Perché non è, non so, Berlino, Parigi o Roma che diventano Capitali europee, città che già lo sono, ma è Matera. E penso che sia interessante spostare la prospettiva dell’arte e degli artisti, lavorando alla periferia dell’Europa. Con queste parole l’artista svizzero Milo Rau, ha introdotto il suo coinvolgimento nel progetto Teatro e Nuovi Miti durante un’intervista rilasciata per Matera 2019-Open Future, breve documentario dedicato, trasmesso di recente da Sky Arte.
Rau ne Il Nuovo Vangelo parte dall’opera pasoliniana (di Matera Pasolini fece la sua Gerusalemme ne Il Vangelo secondo Matteo) per indagare il senso del messaggio di Cristo rispetto alle nuove idee di marginalità e marginalizzazione, il ruolo delle istituzioni cristiane in un lavoro site specific ambientato ai confini dell’Europa Meridionale.
Secondo capitolo del progetto di Teatri Uniti di Basilicata quello firmato da Roberto Latini, che presenta Il Gran Teatro Mangiafuoco, uno sguardo al Pinocchio di Collodi non senza l’ulteriore riferimento a Pasolini e al suo Che cosa sono le nuvole, «punto di partenza per la riflessione sul tema dei figli illegittimi, dei padri naturali, che come Geppetto utilizzano la marionetta di se stessi da presentare al pubblico, trasformando il Rito in Mito».
A disposizione dei cittadini “abitanti culturali” e degli avventori, definiti dal direttore generale «cittadini (con)temporanei», l’idea dell’istituzione – commercialmente efficace – di un «passaporto» (19€), chiave simbolica di accesso e di appartenenza alla vita urbana e alle sue attività culturali durante l’arco dell’anno, il quale garantisce ogni giorno la partecipazione ad almeno cinque differenti esperienze: una mostra, uno spettacolo, un percorso di suoni o immagini nel contesto, una chiacchierata tra prospettive di passato e visioni di futuro con il «cittadino del giorno» e la possibilità di portare un libro come emblema della propria idea di cultura che vada a costruire la più grande biblioteca d’Europa.
Polo della Murgia, capoluogo regionale durante il Regno di Napoli, dal 1993 patrimonio mondiale dell’umanità dell’UNESCO col Parco delle Chiese Rupestri, si spera che la parabola di progressiva valorizzazione della città lucana possa assurgere, senza coincidere con uno snaturamento sostanziale, a simbolo della riscoperta di un Meridione lontano dai grandi e canonici centri di ricircolo della cultura – non sempre necessariamente virtuosi –, di una vitalissima e assetata “periferia”, di una spesso coltissima provincia che abbisognerebbe di progetti politici e organizzativi di sostegno, promozione e offerta altrettanto lungimiranti.
Marianna Masselli