Al Teatro India di Roma Emma Dante dirige la Compagnia dell’Accademia nello Studio da Le Baccanti di Euripide. Recensione.
Gremita, per poche repliche a cavallo delle Feste la sala A del Teatro India di Roma ha accolto il terzo e ultimo passo della trilogia sui classici che vede il Teatro di Roma impegnato in una collaborazione con l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico” e la neonata Compagnia dell’Accademia, composta da giovani attori e attrici al completamento della propria formazione.
Tre registi coinvolti: dopo due Sofocle (Tiranno Edipo, da Edipo Re, diretto da Giorgio Barberio Corsetti e un Filottete riscritto da Letizia Russo per il neodiplomato Carmelo Alù), è stata la volta di Euripide. Lo Studio da Le Baccanti è stato curato da Emma Dante.
Ad accogliere il pubblico, su una scena vuota e foderata di drappi di velluto rosso, sono dieci donne sedute in terra schiena al pubblico, sulle spalle pesanti pellicce (il nebris proprio dei cacciatori e dei sacerdoti di Dioniso), gli arti e il collo scossi da guizzi isterici e tendini contratti. Sul loro capo pende una pioggia di cappi che tiene teste di donna mozzate. Il dio dell’ebbrezza e dell’eccesso arriva a Tebe qui sdoppiato in un corpo maschile e uno femminile, rivela al pubblico di aver stregato le donne della città conducendole sui monti a praticare riti orgiastici e di aver intenzione di vendicarsi di chi ha messo in dubbio il suo essere figlio di Zeus, infangando il nome della madre Semele.
Si tratta del re Penteo, artefice dell’inganno insieme alle sorelle di Semele. Questi, come predetto dal cieco Tiresia, finirà sedotto da Dioniso, convinto a travestirsi da donna per seguire le menadi, smascherato e smembrato dalla furia bacchica, comandata proprio da sua madre Agave, invasata dal dio.
Il marchio di Emma Dante si imprime deciso e autorevole: rivediamo il suo ormai celebre lavoro sul coro e sulla schiera, la sua straordinaria capacità di far muovere i corpi in scena, lo spazio severamente tagliato dai riflettori, i colori che esplodono e narrano, le floride intuizioni registiche che riescono a condensare nella manipolazione di un oggetto il senso simbolico di un’azione chiave. È il caso della scena dello smembramento, in cui il palco si cosparge di carta da parati sbranata da unghie e denti, mentre la testa mozzata di Penteo emerge dal grumo dei corpi e le sue braccia stese nell’agonia sono quelle delle stesse baccanti che lo stanno dilaniando.
Nonostante un’ingegnosa riduzione della viscerale e appuntita traduzione di Edoardo Sanguineti, tuttavia, la drammaturgia dei quadri va stabilizzandosi molto presto, scivolando lungo binari lineari, che attraversano unisoni e monologhi senza riuscire del tutto a tracciare un percorso tra i molti temi della tragedia. Forse nel tentativo di mostrare l’effetto di un incantesimo di massa, una sorta di “decervellamento” collettivo, qui il “dio dello strepito” guida tutti gli interpreti verso un’emissione vocale oscillante tra il latrato selvaggio e il ringhio famelico, stancando l’orecchio, che finisce per perdere certa musicalità del verso.
In una messinscena così frontale e dirompente ha la meglio la mostra di pose sensuali, Tiresia e il vecchio Cadmo si lasciano andare a una lunga scena fortemente comica e un Penteo sopra le righe, ritratto come una sorta di fanfarone senza midollo, conquista la scena disperdendo la spietata ironia con cui, da testo, Dioniso incarnato se ne prende gioco.
È difficile, tuttavia, e forse non sarebbe del tutto giusto, considerare questo Studio alla stregua di una produzione vera e propria. Nota bene anche Carlo Lei su Krapp’s Last Post come l’intento di questi esperimenti sia innanzitutto quello di costruire una“palestra per l’attore”. E qui la giovane compagnia dimostra di procedere con caparbietà, tenendo salda un’energia collettiva anche in mancanza di chiare distinzioni interpretative.
Sarebbe un grande regalo dotare i giovani attori di banchi di prova sempre più ardui, ma anche di un pubblico diversificato, che si spinga oltre la comunità di addetti ai lavori e colleghi. E, in questo, la scelta di convocare nomi di richiamo della ricerca si dimostra efficace, riuscendo a mescolare il mazzo di carte della fruizione.
Sergio Lo Gatto
Teatro India, Roma – gennaio 2019
STUDIO DA LE BACCANTI
di Euripide
traduzione Edoardo Sanguineti
regia Emma Dante
con Viola Carinci, Irene Ciani, Gabriele Cicirello, Renato Civello
Jessica Cortini, Eugenia Faustini, Angelo Galdi, Alice Generali
Domenico Luca, Paolo Marconi, Eugenio Mastrandrea, Michele Ragno, Naike Anna Silipo
e con le allieve del II° Anno: Anna Bisciari, Adele Cammarata, Ilaria Martinelli
scene Carmine Maringola
movimenti scenici Sandro Maria Campagna
musiche e arrangiamenti corali Serena Ganci
luci Cristian Zucaro
assistente alla regia Federico Gagliardi