Per il secondo anno Romaeuropa Festival dedica una rassegna a bambini e ragazzi. Una panoramica su REf Kids, accompagnata dalle parole della curatrice Stefania Lo Giudice.
Musica, tecnologia, emozionabilità, inclusione. Queste le tracce principali che hanno segnato il percorso della programmazione di REF Kids + family, denso di istallazioni, parate, percorsi ad accesso libero e spettacoli. La rassegna per il secondo anno si è ritagliata, nello spazio de La Pelanda, una parte della programmazione di Romaeuropa Festival, da cui, ci racconta la curatrice Stefania Lo Giudice, mutua sicuramente la «contaminazione tra i generi e linguaggi la tensione all’internazionalità, proponendo anche lavori non immediati, non di facile lettura. Vale la pena dare fiducia sia ai bambini che ai genitori. Ampliare gli stimoli culturali dei bambini, che sono stati in grado di offrire chiavi di lettura molto profonde».
Esempi significativi di questa fertile tensione alla contaminazione sono due lavori potenzialmente “a rischio” e di difficile lettura: BerBerio e Grasland, presentati entrambi dall’artista multidisciplinare Letizia Renzini, il primo assieme a Revue Blanche e alla belga Zonzo Compagnie, il secondo con l’ensemble Usine à Liege e in collaborazione con la Schola cantorum dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. In entrambi gli spettacoli il fulcro dell’idea è il lavoro di due grandi compositori contemporanei: Luciano Berio e György Ligeti. Musica concreta, ricercata, “micropolifonica” (per utilizzare il termine coniato proprio da Ligeti per alcune sue creazioni) si innestano su un lavoro che intreccia ricerca visiva, sonora e emotiva non tanto semplificandone la complessità “a livello infantile” ma anzi esaltandone gli aspetti in una dimensione giocosa, fortemente inclusiva, pensata, secondo le intenzioni dell’artista, proprio per la «trasmissione del patrimonio musicale contemporaneo alle nuovissime generazioni».
Paradossalmente, questa dimensione esplode meno nello spettacolo pensato “con” i ragazzi (Grasland, per cui è stato organizzato un workshop per i giovani della Schola cantorum diretta dal M° Vincenzo Di Carlo, indubbiamente più ostico nella ricezione e nella necessità di far cantare i bambini in ungherese), quanto soprattutto in BerBerio. Le voci e i corpi dei performer si fanno cassa armonica, riproducono suoni concreti assieme a strumenti come clarinetto, launchpad, violino, arpa, amplificati visivamente anche tramite istallazioni visive che vanno dalle vignette ai caleidoscopi, dalle riprese live alla ricostruzione grafica di modelli 3D. Si entra così dentro la musica, assolutamente rapiti, quale che sia la generazione di appartenenza, abbattendo le barriere erette nei confronti di quanto spesso può essere considerato ostico, distante, “da grandi”.
Altre scelte coraggiose sono Meraviglia!, di Ondaurto Teatro, lavoro pregevole che coniuga nouveau cirque e teatro fisico in un immaginario archetipico in cui il sostrato filosofico viene accompagnato da una potenza visiva e luministica, così come l’estremo lavoro Ermitologie. Quest’ultimo – assieme alla versione ridotta per ragazzi I sogni di Antonio – è da considerarsi quasi più come installazione a cavallo tra arte plastico-figurativa (qui i richiami sono a Giacometti ma anche all’arte paleolitica o al Rinascimento italiano) e performance, in cui esperire una diversa concezione del tempo. Meno efficace, forse, questa proposta del duo Clédat & Petitpierre, la cui fatica probabilmente deriva da una visione frontale che, nella lunga durata e nella lentezza di molti passaggi, rischia di diluire la forza surreale di questo lavoro e, effettivamente, di far venir meno le possibilità di poter “giocare insieme” attraverso questa “macchina della visione”. Fa eccezione il primo momento, in cui un paesaggio notturno di temporale rievoca dal vivo la dimensione pittorica, esaltando l’aspetto contemplativo in cui la scoperta avviene in una condizione di assoluto stupore.
Accanto a queste proposte, se ne situano altre di più immediata leggibilità, più facilmente accattivanti anche per quel pubblico ancora “vergine”, che infatti ha risposto con entusiasmo, stando ai dati che confermano una presenza costante, numericamente duplicata rispetto quella dell’anno precedente.
«Vedo tante persone che non sono mai venute a teatro, che non hanno mai visto il Mattatoio (dove ha sede La Pelanda, ndr), che scoprono una parte della città. Da un certo punto di vista non è una programmazione per l’infanzia: è una programmazione per la famiglia, per vivere delle esperienze artistiche insieme. Per questo, abbiamo inserito la “family” anche nel titolo».
Ecco dunque alcuni lavori per i più piccoli, come C’est parti mon Kiki, del compositore, performer e polistrumentista Jacques Tellitocci, in cui la dimensione del racconto autobiografico si anima attraverso diverse forme ludiche e musicali; o La Brouille del Theâtre des Tarabates, pensato per mani, sabbia, oggetti e musica. Qui si può esperire, con estrema delicatezza per i più piccoli, una vasta gamma di sentimenti, dalla diffidenza dell’altro all’accettazione, dalla scoperta del mondo alla paura per l’ignoto o il diverso. In questo senso in ciascuno spettacolo si avverte un sano recupero di un ambio spettro di emozioni, anche quelle più estreme quali la possibilità di provare paura, spesso confinate nella società odierna, in un eccessivo senso di protezione soffocante. Di certo aiuta, in questo, il confronto con i sistemi creativi, ricettivi e produttivi delle realtà straniere: «I bambini sono abituati a vedere tante cose, a volte anche in maniera esagerata: alcune produzioni in Nord Europa sono davvero molto ostiche, però si tratta proprio di un altro tipo di approccio al teatro. Quel che noto io è che in Italia c’è un approccio molto più indulgente. Non che non debbano essere protetti, ma sono anche molto stimolati, ci si sente liberi di osare».
Anche il Teatro delle briciole di Parma, che è una compagnia più tradizionale – a REf con Gretel e Hänsel – garantisce grande impatto «per la varietà di tecniche utilizzate, tra teatro d’attore e diverse modalità appartenenti al teatro di figura; inserisce degli elementi di distorsione come i reperti archeologici con cui presenta lo spettacolo, e non è che è una tradizione che non può essere scalfita. Come diceva Fabrizio Pallara del Teatro delle Apparizioni: “Meglio incontrare la paura controllata e direzionata a teatro che sperimentare l’angoscia contemporanea”. Vedo come questi bambini siano in ansia perenne: non è un bel mondo quello che gli stiamo preparando, non dimentichiamolo. La paura fa parte delle fiabe, invece sembra che tutto debba essere mediato o filtrato».
Un altro aspetto importante di questa edizione è poi la tensione alla manualità, a un’artigianalità di valore che emerge non solo nelle produzioni, ma anche in Playground, spazio ad accesso libero all’interno del quale chiunque (bambini ma anche tanti grandi, non soltanto genitori) poteva sperimentarsi nel comprendere il funzionamento toccando e giocando con tantissime sculture interamente realizzate a mano dal gruppo catalano Guixot De 8. Ancora, interamente fatte a mano solo le istallazioni del percorso di ombre dal sapore orientale, Ambabarì, pensato da Unterwasser e presente anche con un’interessante favola di formazione, OUT (qui una nostra conversazione di qualche anno fa).
Quel che si nota in questa seconda edizione di REf Kids è la volontà di rendere accessibile a tutti una proposta che rispecchi una profonda apertura ai linguaggi, con una ricchezza non soltanto formale, ma in grado di farsi carico di diverse stratificazioni di senso e di lettura. Siamo convinti che non sia sempre necessario indorare la pillola perché il nuovo possa essere piacevolmente ingerito; che sia importante vederlo, e vederlo assieme, accompagnando ma anche lasciando andare la mano.
Viviana Raciti
REf Kids + family
La Pelanda (Romaeuropa Festival) – novembre 2018