Il coreografo e regista belga Alain Platel porta in prima nazionale a Torinodanza 2018 il suo Requiem Pour L., una rielaborazione complessa e suggestiva sulla musica di Fabrizio Cassol dal Requiem di Mozart. Recensione.
Se io esisto non posso percepire la morte, tra me e lei non vi sarà mai conoscenza diretta. Per tutti noi vivi (non importa se vegeti, malati o morenti, ma non ancora deceduti), la morte è una sconosciuta. E quando arriverà, non sapremo nulla di più sulla sua essenza: il “non essere” più in questo mondo non prevede contezza alcuna.
Con il suo Requiem Pour L., Alain Platel sembra mettere il dito proprio in questa piaga: su questa inafferrabile distanza tra il più misterioso e inaccessibile ma anche imprevedibile degli eventi che possa capitare a chi è ancora in vita.
Lo spettacolo confezionato dal celebre metteur en scène, coreografo e regista belga, con il fido collaboratore musicale Fabrizio Cassol, ha serrato i battenti del lungo e fortunato festival Torinodanza 2018 – prima edizione diretta, con piglio forte e sicuro, da Anna Cremonini – ma ha in serbo almeno un’altra ottantina di repliche dopo le settanta già sparse nel mondo. Tutte meritate, tutte presumibilmente affollate, come alle Fonderie Limone di Moncalieri, e senza che nessuno – o molto pochi, tra gli spettatori e/o i recensori – abbia battuto o batta ciglio sulla presunta natura “non coreutica” dello spettacolo.
Ancora una volta, del resto, qui siamo nel regno della Gesamtkunstwerk, cui pare tendano oggi, con appoggi diversi sulle varie arti, i migliori artisti internazionali. Per Platel la relazione con la musica è sempre stata motivo non solo d’ispirazione personale ma anche di duro, a volte folle, confronto, per i suoi molti e sempre cangianti performer, sin dai lontani tempi di Iets op Bach (1998). Tale relazione è stata motivo di sfida per i tanti dilettanti e border-line partecipi ai suoi primi spettacoli: da una parte la fragilità e la piccolezza umana e dall’altra l’Assoluto musicale. Un tête à tête con note molto spesso “divine” cui non avevamo, ai tempi, ancora assistito, e dagli esiti esplosivi anche nelle modalità d’inserimento in scena di strumentisti e cantanti: sempre a contatto con i performer e mescolati a loro, magari sorseggiando quasi in proscenio una tazza di tè, oppure cantando Mozart assieme a Céline Dion (nell’indimenticato Wolf, 2004, con cani in scena). Siamo lontani dall’utilizzo della musica come “stampella” del movimento (per citare Rudolf Laban) ma già vicinissimi a una “opera totale” che poi nella musica avrebbe trovato risonanza in temi riguardanti la patologia (VSPRS, 2006), e ancora ascolto e dolorosa/vittoriosa trasformazione in Pitié (2008) sulla Passione Secondo Matteo di Bach.
Dopo un paio di spettacoli non “totali (Gardenia, 2010 Tauberbach, 2014), una pièce per bande e performer ormai da tempo non più dilettanti (En avant, marche!, 2015) e il mahleriano e magnifico Nicht Schlafen (2016), Platel deve aver ripensato per questo suo Requiem Pour L. a Coup Fatal (2014), vero e proprio concerto danzato, costato ben quattro anni di lavoro con Cassol. Qui vi sperimentò il possibile rapporto tra barocco europeo, musica di Kinshasa, rock, pop, jazz, insieme a tredici musicisti dotati di travolgente fisicità un po’ dandy, tipica, pare, dei congolesi. Una scenografia di bossoli già esplosi, a mo’ di tendaggio, ricordava le tante guerre in Africa, e la morte veniva simulata in ben riconoscibili tableaux vivant. Eppure, tra arie famose di Gluck e Händel, intonate dal controtenore Serge Kakudij (già interprete in Pitié), tutto profumava di armoniosa convivenza tra due continenti, tra musiche di un passato lontano e di oggi, di solare cordialità e umanissima, reciproca comprensione. Il “colpo fatale”, quello che uccide, restava davvero e per una volta solo in canna.
In Requiem Pour L., sull’incompiuto Requiem di Mozart, si respira la stessa aria. Salvo che questa volta nessuno si cala in una possibile evocazione della morte. Laggiù sul palco vi è l’immagine in bianco e nero, anzi il video, di una donna morente. Potremmo senz’altro paragonare questa impaginazione all’opera Orfeo ed Euridice, firmata nel 2014 da Romeo Castellucci. In entrambe le pur diversissime creazioni, sempre una figura muliebre giace in fin di vita (Platel) o in coma (Castellucci) e, sia grazie al Requiem mozartiano sia all’opera di Gluck, l’esausta immagine femminile diviene specchio della fragilità umana. Eppure la costruzione scenica di Castellucci induce a profonda commozione, mentre la morente di Platel – che poi in effetti spira tra i piccoli gesti carezzevoli di parenti, forse medici e amici – resta confinata in una distanza quasi abissale da ciò che muove con estrema passione i musicisti, i cantanti, anche in parte danzatori, del suo Requiem. Magia del teatro che nutre diverse emozioni, che scuote gli animi degli spettatori in modi anche opposti, e di un comune uso della tecnologia discreto, privo di voyeurismo – questo sì, riconoscibile senza ombra di dubbio in entrambi gli spettacoli.
Platel dissemina lo spazio scenico di cassoni neri, molto simili a bare – ispirate, pare, al Denkmal di Berlino, il memoriale per le vittime dell’Olocausto. Su queste si muovono i cantanti e gli strumentisti/ performer che pure vocalizzano. La Messa di Requiem in Re minore K 626 è l’ultima composizione di Wolfgang Amadeus Mozart. Rimasta incompiuta per la morte dell’autore, avvenuta il 5 dicembre 1791, fu ultimata successivamente soprattutto dall’amico e allievo Franz Xaver Süssmayer, ma non solo da lui. Basti ricordare che del famoso Lacrimosa Mozart scrisse solo le prime otto battute, mentre il Requiem aeternam (coro e soprano solo) è tutto mozartiano, come pare lo siano le parti vocali dal Kyrie all’Hostias con qualche cenno orchestrale. Fabrizio Cassol ha avuto buon gioco nel sostituire le parti scritte da altri con nuove affluenze jazz, d’opera e popolari africane, grazie a quattordici musicisti/performer in parte già presenti in altre sue creazioni con Platel e provenienti da Portogallo, Belgio, Congo, Sudafrica, tutti in abito nero su t-shirt colorate.
Il Requiem è stato analizzato con minuzia certosina, dispiegatasi in tre anni di lettura dei manoscritti originali e delle parti aggiunte nelle sette sezioni di cui consta la partitura, con in più un breve inserto dalla Messa in do minore dello stesso Mozart, per concludere in forma liturgica l’incompiuto capolavoro. Tuttavia non ci imbattiamo in un “altro” Requiem. Piuttosto in una cerimonia in cui l’ultima creazione mozartiana acquista la fisicità dei cantanti e strumentisti – che si esplica in semplice sedersi e chinare il capo (soprano) o tendere le braccia; camminare tra i cassoni neri, battersi la mano sul petto (tenore) o dondolare (contralto, basso, coro misto) – con un agro-dolce sapore rituale.
Come quando i più agili tra i performer si alzano sulle bare e scuotono il corpo in preda a possessione, a frenesia, girando e rigirando tra le mani strumenti a noi sconosciuti. Anche nella disposizione spaziale, sempre cangiante, l’interiorità del sentimento abbraccia la collettività in spirituale concentrazione.
La cerimonia resta comunque intatta: è funebre, con parti silenziose, ma i performer non fanno che stupirci per come sanno coniugare pezzi musicali per noi assai noti in altro modo, secondo la propria cultura. Un personale senso del dolore diviene collettiva condivisione dello stesso, ma anche rinascita. Nell’insieme l’allestimento è di speciale raffinatezza: è un métissage in cui si riconosce il tocco scenico espertissimo e quasi trasparente di Platel.
Requiem Pour L. infine è un inno alla vita; la morte, laggiù in fondo, è un’immagine naturale, o una divinità quotidiana, davanti alla quale si può danzare persino scuotendo il bacino come in una festa sexy e gioiosa. Il viaggio di questo Requiem è infine minimalista; invita a guardare a un mistero con le orecchie e a sentirlo con gli occhi, di fronte a una prova di grande spessore coreo-registico totale.
Marinella Guatterini
Fonderie Limone Moncalieri (TO), Torinodanza – novembre/dicembre 2018
REQUIEM POUR L.
musica Fabrizio Cassol dal Requiem di W.A. Mozart
regia Alain Platel
direzione Rodriguez Vangama
con Rodriguez Vangama (chitarra e basso elettrico), Boule Npanya, Fredy Massamba, Russell Tshiebua (canto), Nobulumko Mngxekeza, Owen Metsileng, Stephen Diaz/Rodrigo Ferreira (voce recitante), Joao Barradas (accordion), Kojack Kossakamvwe (chitarra elettrica), Niels Van Heertum (flicorno basso), Bouton Kalanda, Erick Ngoya, Silvia Makengo (likembe), Michel Seba (percussioni)
drammaturgia Hildegard De Vuyst
assistente musiche Maribeth Diggle
assistente coreografo Quan Bui Ngoc
video Simon Van Rompay
camera Natan Rosseel
disegno scene Alain Platel
scene realizzate da Wim Van De Cappelle in collaborazione con l’atelier scennografico NTGent
disegno luci Carlo Bourguignon
suono Carlo Thompson
produzione LES BALLETS C DE LA B, FESTIVAL DE MARSEILLE, BERLINER FESTSPIELE
in coproduzione con OPÉRA DE LILLE (FR), THÉÂTRE NATIONAL DE CHAILLOT PARIS (FR), LES THÉÂTRES DE LA VILLE DE LUXEMBOURG (LU), ONASSIS CULTURAL CENTRE ATHENS (GR), TORINODANZA (IT), APERTO FESTIVAL/FONDAZIONE I TEATRI -REGGIO EMILIA (IT), KAMPNAGEL HAMBURG (DE), LUDWIGSBURGER SCHLOSSFESTSPIELE (DE), FESTSPIELHAUSST. PÖLTEN (AT), L’ARSENAL METZ (FR), SCÈNE NATIONALE DU SUD-AQUITAIN -BAYONNE (FR),LA VILLE DE MARSEILLE-OPÉRA(FR)
coproduzione TEATRO STABILE DI TORINO – TEATRO NAZIONALE / TEATRO DI REGGIO EMILIA FESTIVAL APERTO