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VicoQuartoMazzini. Quale vita su Marte?

VicoQuartoMazzini, dopo il debutto a Roma, presenta al Teatro i di Milano Vieni su Marte, lavoro ideato a partire dal progetto Mars-One. Recensione

 

Foto Francesco Tassara

“Is there life on Mars?”, cantava David Bowie già nell’album Hunky Dory del 1971. Perché poi, come per la ragazza della canzone che immaginava una vita migliore in un mondo diverso dal proprio, arriva il sogno di mollare tutto, di cambiare vita una volta per sempre, cosa importa se si prende il rischio di non farcela, cosa importa se bisogna lasciare anche le cose più care: c’è un punto da cui non si torna indietro; è quello il momento in cui si fa un bagaglio leggero, per un viaggio lontano. Deve essere questa la sensazione che ha colto le duecentomila persone che hanno inviato il video di un minuto per proporre la propria candidatura in vista del progetto Mars One, attraverso il quale si chiedeva disponibilità a trasferirsi, senza alcuna certezza dell’avvenire, su Marte, per dar vita alla prima colonia umana sul pianeta rosso. Il progetto è stato rimandato, non archiviato. E le duecentomila persone sono finite in rete come un nucleo di indagine straordinario sull’umano di inizio millennio, un capolavoro per l’antropologia contemporanea. Questo è il nodo al quale si stringe la drammaturgia del nuovo spettacolo firmato dalla compagnia pugliese VicoQuartoMazzini: Vieni su Marte, diretto e interpretato da Michele Altamura e Gabriele Paolocà (quest’ultimo anche autore) negli spazi de La Pelanda di Roma, nell’ambito della rassegna Anni Luce per Romaeuropa Festival 2018.

Foto Francesco Tassara

Una struttura a quadri (le scene sono di Alessandro Ratti e le luci di Daniele Passeri), appena oltre un velato che ne incornicia sensibilmente l’espressione, seziona una vicenda in cui vari personaggi delimitano l’interazione tra uomini e marziani, portatori di una civiltà verso cui l’individuo terrestre attua l’unica azione che conosce: la colonizzazione, l’imposizione di una cultura sull’altra, come nelle migliori tradizioni di cui strabordano i nostri stessi libri di storia. È in una meccanica di relazione che si misura l’esperienza di sopraffazione, attraverso cui i personaggi sviluppano da loro stessi la maturazione di un primato di civiltà, senza mezzi termini, ma da cui emerge con dolcezza il profilo del marziano privato del proprio equilibrio, a colloquio con uno psicologo terrestre, animato da una furente, vorace, curiosità scientifica. Il teatro, la sua forma più pura del dialogo, è il veicolo scelto da VicoQuartoMazzini per interpretare il presente, estremizzarlo traducendone la complessità in un racconto fatto di legami e posture omologate, ma non per questo prive di profondità, grazie soprattutto al valido spessore attoriale di Altamura e Paolocà (sostenuti dai grotteschi costumi di Lilian Indraccolo). Tuttavia, se da un lato la buona fattura della confezione spettacolare rende perfettamente il senso di spaesamento provato dagli ideatori di fronte al progetto di una colonia marziana, dall’altro lo stesso progetto presentato in apparizioni di videochat si segnala per avere una ricchezza difficilmente eguagliabile da questa proposta teatrale, ancora un po’ schiacciata dal caso di cronaca sul quale si basa e agita su una forza motrice di tipo retorico.

Foto Francesco Tassara

«Perché dovrei morire sulla Terra quando potrei vivere su Marte?», così si esprime uno dei candidati. E la vicenda definisce il nodo dove l’umanità sembra essere dispersa tra le molte possibilità di fuga offerte da sempre migliori rotte, lontano sempre più lontano, fino a Marte, fino a un pianeta da ricominciare magari a distruggere, come abbiamo fatto con il nostro. Perché non c’è, tra coloro che appaiono nei vari video proiettati durante lo spettacolo, una briciola di intenzione a modificare, migliorare, attenuare l’impatto violento che l’uomo ha avuto sul pianeta Terra, con una accelerazione devastante negli ultimi 150 anni. Ognuno dispone la propria scelta personalistica, egoistica, di lasciare la Terra al suo destino e via, rifondare, dare nuovo terreno all’umanità. Come a dire: se l’uomo ha fallito e vivo in un mondo di merda, non è certo colpa mia. È dunque un uomo fragile, desolato, ma vigliacco, quello che emerge dal paesaggio dipinto in questa drammaturgia. C’è vita su Marte? Non si sa, non è dato saperlo. L’unica cosa chiara è che, se ci sarà, non sarà il caso di portarcela noi.

Simone Nebbia

La Pelanda, Roma – Romaeuropa Festival 2018

VIENI SU MARTE
di VicoQuartoMazzini
diretto e interpretato da Michele Altamura e Gabriele Paolocà
drammaturgia Gabriele Paolocà
scene Alessandro Ratti
luci Daniele Passeri
costumi Lilian Indraccolo
riprese e video editing Raffaele Fiorella, Fabrizio Centonze
tecnica Stefano Rolla
produzione VicoQuartoMazzini, Gli Scarti
con il sostegno di Officina Teatro, Kilowatt Festival, Asini Bardasci, 20Chiavi Teatro
con il sostegno del MiBACT e di SIAE, nell’ambito dell’iniziativa “Sillumina – Copia privata per i giovani, per la cultura”

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Simone Nebbia
Simone Nebbia
Professore di scuola media e scrittore. Animatore di Teatro e Critica fin dai primi mesi, collabora con Radio Onda Rossa e ha fatto parte parte della redazione de "I Quaderni del Teatro di Roma", periodico mensile diretto da Attilio Scarpellini. Nel 2013 è co-autore del volume "Il declino del teatro di regia" (Editoria & Spettacolo, di Franco Cordelli, a cura di Andrea Cortellessa); ha collaborato con il programma di "Rai Scuola Terza Pagina". Uscito a dicembre 2013 per l'editore Titivillus il volume "Teatro Studio Krypton. Trent'anni di solitudine". Suoi testi sono apparsi su numerosi periodici e raccolte saggistiche. È, quando può, un cantautore. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo Rosso Antico (Giulio Perrone Editore)

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