PROSPERO | Aprile 2025

Schede e segnalazioni di volumi che guardano e parlano al teatro e alla danza, raccontano e analizzano la scena. Per questa nuova rubrica ci siamo lasciati ispirare da un altro personaggio shakespeariano: Prospero, nobile naufrago, esperto di arti magiche e avido lettore. Prospero che ha una “biblioteca grande abbastanza quanto un ducato”

In questo numero

SPECIAL

DIETRO LE QUINTE

GUERRIERI della BELLEZZA

TEATRO TRA LE RIGHE

PAROLA ALLA DANZA

SAGGISTICA

 

 


 

 

 

Introduzione

Questo numero primaverile di Prospero si apre con uno special, una chicca di recentissima pubblicazione, scovata da Stefano Tommasini, che è un omaggio a Francesco (da Santo a Papa) e che difficilmente avrebbe potuto trovare momento e collocazione migliore. In questa edizione non proponiamo un focus tematico, bensì abbiamo voluto inaugurare due nuove rubriche. La prima, dal titolo forse didascalico ma netto “Dietro le quinte“, intende raccogliere le pubblicazioni che, in misura sempre maggiore nel panorama editoriale italiano, si dedicano all’analisi dei processi organizzativi, produttivi e gestionali in ambito teatrale e, più genericamente, culturale, e che crediamo meritino uno spazio dedicato. Una letteratura che va a colmare un vuoto teorico e pratico, e che tenta di ridurre la distanza da un universo del management di derivazione anglosassone e che necessita di una traduzione non soltanto linguistica, bensì di una rivisitazione applicata al peculiare contesto dell’industria culturale italiana. La rubrica si apre riproponendo l’intervista, pubblicata pochi giorni fa sulle pagine di TeC, a Elena Lamberti sul volume da lei dedicato alla distribuzione dello spettacolo dal vivo. La seconda rubrica che inauguriamo in questo numero – e che vedrà la costante partecipazione, tra gli altri, di Alessandro Toppi – risponde alla necessità di organizzare una produzione editoriale, soprattutto di stampo saggista, dai confini labili e dalle proporzioni impressionanti. Ovvero le pubblicazioni dedicate alle teorie, gli sguardi, le esperienze che riguardano il mestiere dell’attore e del performer. Il titolo della rubrica, “Guerrieri della bellezza”, deriva dalla definizione che del performer dà Jan Fabre, la cui visione è ben esplicitata in uno dei volumi in questo numero proposti. Il numero prosegue, infine con le consuete rubriche, con alcune proposte di saggistica recente, da Meredith Monk a Francesca Saturnino sull’esperienza della non-scuola, al volume dedicato da Massimo Marino alla pluriennale esperienza teatrale ed editoriale di Teatrino dei Fondi; un curioso saggio dedicato a Il Castello di Otello Sarzi per la sezione “Teatro tra le righe” e una pubblicazione firmata Balletto Civile e curata da Stefano Tommasini per la sezione “Parola alla danza”. Buona lettura!

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SPECIAL

La rivoluzione artistica di Francesco. Un teatro che non è stato e forse sarà, di Antonio Attisani

In poco più di ottanta pagine Antonio Attisani ci racconta un teatro che non è stato, la scena inesplosa di una storia bucata, ma non per questo non riconsegnabile al futuro dei nostri studî, in tutto il suo potenziale rivoluzionario. Le storiografie del teatro sono distratte, spesso inattaccabili, bulimiche nel ripetere con pigrizia discorsi già noti, le cronologie già acquisite, in forme appena appena spolverate. In queste, Francesco è un fantasma. Attisani non punta a una contro-storia, ma a una liberazione di idee e di pensieri, per lui lo studio di un’intera vita, che potrebbero alimentare la scena di oggi o di domani, come già in parte e a diversi gradi di consapevolezza quella del Novecento (da Steiner a Grotwski, da Bene a Tanguy). In questo libro si parla dunque di san Francesco, il «giullare di Dio» e della novità culturale che non viene raccolta e trasformata in una ipotesi performativa, perché portatrice di protocolli etici assai distanti dalle peculiarità della rappresentazione necessarie all’affermarsi della prima modernità. Sono il corpo grottesco, il protocollo giullaresco, la predicazione cantata o silenziosa, adottati però in chiave povera. Come rovesciamento dell’impostura inaccettabile della corruzione e della infedeltà spirituale, dell’epoca di Francesco, cui il santo risponde vivendo l’obbedienza come una performance capace invece di generare fisicamente la comprensione della verità, lo smascheramento dell’impostura. Una tecnica di recitazione a tutti gli effetti, come accesso a «uno stato di libertà e felicità senza possesso, vale a dire il modo d’essere scaturito dalla povertà». La rivoluzione artistica di Francesco. Un teatro che non è stato e forse sarà, di Antonio Attisani, Cronopio, 2025

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DIETRO LE QUINTE

Elena Lamberti. La distribuzione, ovvero cura e accompagnamento 

Elena Lamberti si occupa da anni di distribuzione, curatela artistica, project management e ufficio stampa. Attenta osservatrice e conoscitrice del settore, in una lunga e piacevolissima conversazione telefonica mi racconta di una personale e collettiva concezione delle personalità, ruoli e meccanismi della distribuzione degli spettacoli a partire da volume edito da Titivillus - A maggio 2024 usciva per Titivillus il volume La distribuzione degli spettacoli. Un percorso di curatela, di cui sei autrice. È passato un anno e un nuovo decreto ministeriale, che non sembra invertire la tendenza che privilegia la produzione a scapito della programmazione. Hai notato cambiamenti o sviluppi nell’ambito della distribuzione? Non direi che ci siano stati cambiamenti pratici nella distribuzione, ma ho notato con piacere che si è riaccesa la discussione su chi sia e quale sia la funzione di chi fa distribuzione. Il libro ha dato voce a un’idea condivisa con colleghi e colleghe: chi si occupa di distribuzione non si occupa solamente di vendere spettacoli, bensì compie un lavoro di cura e accompagnamento del percorso artistico. Dopo l’uscita del libro, mi è capitato spesso di ricevere ringraziamenti da parte di chi già operava in questa direzione, ma che magari non aveva mai definito la propria pratica. Questo riconoscimento ha portato a un bisogno diffuso di confronto. I seminari che tenevamo con 10-15 persone ora contano anche 30 iscrizioni. Del resto, il libro è esattamente il tentativo di dare voce alle diverse prospettive coinvolte nel processo distributivo. C’è bisogno di confrontarsi sulle metodologie e sulle consuetudini legate alla distribuzione. Il volume non consiste in un manuale su “come vendere uno spettacolo”, bensì in una mappa per orientarsi nel sistema. Quanto conta la progettualità? Tantissimo. E, proprio perché non stiamo parlando di un mercato organico e con regole chiare, serve costruire un progetto e capire in quale contesto possa inserirsi. Come diceva Gilberto Santini: “Attenti a invitarmi, perché poi arrivo”. Un perfetto slogan per un film horror ma, soprattutto, un modo per dire che l’invio a pioggia non funziona, soprattutto per proposte che possiamo per semplicità definire “di teatro contemporaneo”. Se il programmatore realizza un progetto articolato e pensato per il proprio pubblico, allora chi distribuisce deve conoscere profondamente ciò che propone e il contesto in cui lo propone. Per questo credo che una compagnia non possa non coinvolgere il distributore nel proprio percorso artistico. Un distributore non è un agente commerciale, non vende profilati in alluminio. Deve credere nel progetto, condividere un percorso. Quando si lavora con fiducia e complicità, si costruiscono relazioni durature anche con i programmatori. È un lavoro lungo e faticoso, ma che porta molte soddisfazioni. Ma trovare una figura del genere non è semplice, soprattutto per le compagnie emergenti. Hai qualche consiglio? È difficile, sì. Le figure strutturate sono poche, molte delle quali già citate nel libro. Io ho iniziato lavorando con una compagnia giovanissima, i Sotterraneo. Abbiamo costruito insieme un processo e una modalità di lavoro, siamo cresciuti insieme. Un consiglio è quello di cercare nelle scuole di formazione di alto profilo, come la Paolo Grassi, dove ci sono giovani che vogliono specializzarsi in organizzazione e distribuzione. Si può crescere insieme, anche perché il processo di distribuzione necessità del temo lungo della conoscenza reciproca, della condivisione, della fiducia, a cominciare dalla costruzione del rapporto con gli operatori. Nel libro dialoghi con una generazione teatrale che si è affermata in un periodo di grande fermento. Nel tempo il mercato si è saturato nei meccanismi delle stabilità, degli scambi, del giro di compagnie che si sono, nel frattempo, giustamente affermate. Rimane una minuscola fetta di “libero” mercato contesa dalle mille forme di una generica sperimentazione emergente, con innumerevoli proposte che escono, tra l’altro, da premi e vetrine. Come si è evoluta la situazione negli ultimi anni? È un problema reale. Quando iniziai a lavorare come distributrice, nel 2006, i giovani non erano ancora “di moda”, non c’erano bandi under 35. C’era un’aspettativa di maturità che era ingiusta per compagnie così giovani. Ricordo i loro primi spettacoli, perfetti per i primi 20 minuti e poi... crollavano. Era normale. Ho dovuto lavorare tanto per far capire che avevano bisogno di essere sostenuti, non giudicati, per convincere gli operatori a non considerarli come un inserimento in programmazione ma come un accompagnamento per far emergere le potenzialità. Il rinnovamento c’è stato nel 2007, con il ministero di Rutelli e con una serie di bandi dedicati al rinnovamento della scena. Emerse una generazione teatrale straordinaria che fino ad allora aveva abitato il sottobosco di spazi indipendenti dove aveva avuto il tempo di formarsi, di sbagliare, di migliorare e il “fallimento” di questa o quella produzione non era contemplato. Compagnie che tutt’oggi sono sulla cresta dell’onda. Il fatto che loro, come giovani compagnie, si siano affermate non significa, tuttavia, che tutto ciò che emerge da artisti e gruppi giovani abbia lo stesso valore. Oggi si cerca l’innovazione immediata, si rincorrono i giovani talenti, ma si dimentica chi ha superato i 35 anni. Quella fascia 36-50, di non ancora maestri ma neanche più giovani, trovo sia la più trascurata a causa della ricerca ossessiva di nuovi giovani: gruppi al debutto, considerati innovativi, addirittura geniali, ma che poi si rischia di “bruciare” non dando loro il tempo e lo spazio necessari alla sperimentazione. C’è bisogno di un doppio sguardo: sul nuovo, ma anche su chi ha già avviato un percorso. Non possiamo fermarci all’entusiasmo della novità. Bisogna investire nella continuità, nel tempo lungo. Altrimenti rischiamo di creare delle “meteore” che non hanno il tempo di diventare stelle. È chiaro, nel libro, come il processo distributivo consista in una narrazione puntuale e costante di questo tempo lungo, e che comincia già durante la produzione. Certo. Non si produce prima e si distribuisce poi. Il lavoro di distribuzione comincia fin da subito, quando sei in residenza, quando stai costruendo il lavoro. Inviti i programmatori, li rendi partecipi, li fai affezionare al percorso artistico. È una narrazione continua e relazionale. Un altro tema importante che emerge nel libro è quello della distribuzione all’estero. Qual è la situazione oggi? Per fortuna, all’estero ci sono più investimenti, strutture più grandi e staff articolati, e spesso anche tempi di risposta migliori. Ma bisogna sempre considerare le specificità culturali e di gusto di ogni paese. Per questo nel libro ho incluso contributi preziosi di chi lavora su questo tema, come Carlotta Garlanda, Donatella Ferrante e Giulia Traversi. È un lavoro che va fatto con attenzione, paese per paese. Forse un giovane organizzatore spererebbe di trovare nel tuo libro un vero e proprio vademecum del distributore. Non lo è, ma nella piacevolezza della lettura si possono comunque scovare tanti consigli pratici. Assolutamente sì. Quando ho iniziato, cercavo un testo che mi spiegasse come fare distribuzione per una compagnia giovane, ma non trovai nulla di specifico. Trovai tantissimi consigli estremamente utili nei testi di Mimma Gallina, che io considero una vera e propria “Bibbia” per il settore dello spettacolo dal vivo. Ma i meccanismi di distribuzione di una grande compagnia di giro o di un artista di chiara fama erano inadeguati per il lavoro che dovevo fare all’epoca. Fui costretta a inventarmi un’idea di distribuzione. Nel libro ho voluto raccontare la mia esperienza, passo passo, e poi aprire il discorso a colleghi e colleghe con esperienze e visioni differenti e che spesso sono anche curatori o direttori artistici. Il libro vuole essere chiaro, semplice, utile. Per esempio, hai dedicato molta attenzione anche alla qualità dei materiali promozionali. Perché è così importante? Perché è il biglietto da visita. Il modo in cui presenti il progetto dice già molto. Foto, immagini, sintesi, tono della mail: tutto conta. Quando faccio seminari, dedico sempre tempo a rivedere i materiali degli allievi. A volte ci sono errori davvero evitabili, che però compromettono l’impressione che si dà. E qua torna il tema del distributore come curatore… Sì, esatto, e infatti quasi tutti quelli che ho intervistato si occupano anche di programmazione o di curatela. Questo dà uno sguardo più ampio, permette di capire meglio cosa serve a uno spazio o a un festival. Anche per questo la presentazione della compagnia deve raccontare bene chi siete, che poetica avete, qual è il vostro percorso. Non si vende un singolo spettacolo, si accompagna un progetto. Il libro ha il tono di un percorso collettivo, più che di un’opera individuale. Lo è, lo è stato fin dall’inizio. Il piacere più grande, oltre alla scrittura in sé, è stato riconnettermi con tanti amici e colleghi. È stato un viaggio fatto insieme. E il fatto che tutti abbiano partecipato con entusiasmo dimostra che c’è bisogno di condividere questi pensieri. Hai considerato la possibilità di ampliarlo e di realizzare una seconda edizione? Sì, ci sto pensando. Per giunta, alcune interviste non sono riuscita a farle in tempo per l’uscita. Il libro non ha nemmeno una vera conclusione, proprio per questo. Ma se continuerà ad avere riscontro, potrei pensare a una nuova edizione ampliata. Ci sono ancora tante voci da ascoltare.

Manuale di progettazione strategica per le organizzazioni culturali, di Lucio Argano

Di recentissima pubblicazione, questo manuale aggiunge un nuovo tassello al corposo percorso di scrittura e curatela di Lucio Argano nell’ambito della gestione degli enti culturali che ormai da anni abita la sezione "Textbook per l’università e la professione" dell'editore FrancoAngeli. Diversamente da altri intramontabili titoli dello stesso autore, qui si predilige una forma breve e schematica per fornire un’introduzione al tema della progettazione strategica, con un’attenzione particolare al lungo periodo e ai temi della sostenibilità economica e organizzativa. La sfida, anche qui, è quella di trovare applicazione ai tanto odiati anglicismi tipici del business management, svincolandoli dall’ambito del profitto e dalle dinamiche di “libero” mercato che caratterizzano il loro contesto di provenienza e risalendo alle etimologie e significati profondi del concetto di strategia per poterlo applicare alle nostre imprese culturali. Esse, infatti, devono necessariamente considerare la relazione con l’ente pubblico, così come il posizionamento in una condizione di generale e perenne incertezza, incostanza, volubilità. Si tenta qui, di proporre un lessico aggiornato che tenga conto della creatività richiesta per condurre operazioni di progettazione strutturata ma malleabile, capace di adattarsi ad un equilibrio mutevole e a un contesto giocato da numerosi ed eterogenei attori. Il volume integra e completa un corpus accademico raramente reperibile in lingua italiana e, soprattutto, basato su contesti produttivi e organizzativi difficilmente riferibili a quello italiano ed europeo. Ma, sia per la brevità che per la scrittura agile e schematica, si fa anche spunto di riflessione e suggeritore di metodologie pratiche per le diverse professionalità che animano l’ente culturale di piccole e medie dimensioni, e che nella visione di Argano dovrebbero partecipare attivamente, in un meccanismo di tipo "bottom-up", alla progettazione. Così come all'individuazione di una strategia che sappia mettere un punto agli approcci organizzativi di tipo emergenziale e basati sull'improvvisazione, particolarmente diffusi nel settore, così come a una tradizionale rigidità delle metodologie, a un'impreparazione spesso fatale. Portando stabilità e visione prospettica, sì, ma anche valorizzando la creatività organizzativa e la capacità di una visione strategica dalla salda visione ma contemporaneamente capace di evolversi con il proprio scenario. Manuale di progettazione strategica per le organizzazioni culturali, Lucio Argano, FrancoAngeli, 2025

 

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GUERRIERI della BELLEZZA

L’attore, di Roberto De Monticelli

Nessuno come De Monticelli sa scrivere d’attori ed attrici. Nessuno come lui ne coglie le vibrazioni tonali, i gesti, lo sciupio del destino, quest’esistere al quadrato tutte le sere, dall’inizio alla fine d’uno spettacolo, alle prese solo con un pezzo di vita. E L’attore, curato nel 1988 da Odoardo Bertani per Garzanti, riedito da Cue Press, ne è la testimonianza. Anzi è la testimonianza di una testimonianza perché ponendo in sequenza quarant’anni d’interpreti del teatro italiano dice anche di chi ne scrisse, che il critico, si sa, parla pure di sé, accucciato nel buio dell’inchiostro. Libro di ritratti, nell’ampiezza che aveva il giornalismo una volta, e che una volta aveva la scena sui cartacei, offre dettagli-diademi. Il vecchio respiro di Renzo Ricci, connesso alle lame che segano le piante alla fine de Il giardino dei ciliegi; il pallore di Rina Marcelli, nel cerchio di luce che chiude Morte di un commesso viaggatore; Sarah Ferrari che nel terzo atto di Tre sorelle sta sul divano, plaid addosso, e coniuga «Amo, amas, amat…». La faccia da clown di Buazzelli nel Galileo di Brecht, Lila Brignone «buia» «e dilaniata da un dolore scabro» nel Macbeth, i silenzi ossuti di Eduardo, Memo Benassi in ospedale, malato e abbandonato da tutti, dove s’è portato i bauli per stare ancora in un camerino, Ruggero Ruggeri che va via dopo la replica, riducendosi alla punta rossa d’un sigaro in una Milano fredda, che costringe i gatti ad appallottolarsi. Ma, accusato di non aver letto l’avanguardia (di cui invece comprese il valore, scartando la fuffa), di De Monticelli qui ci sono anche le tracce di Grotowski e Brook, delle cantine e Ronconi. E c’è la condanna alla maschera di Marcello Moretti, o il più bell’articolo che potrete mai leggere su Strehler. E c’è la morte, perché già allora fu libro postumo e perché molti dei pezzi sono un ricordo fissato nel momento dell’addio. «Cosa rimane?» avrebbe detto Garboli. Questo: il teatro che vissi, attraverso gli attori e le attrici che amai. L’attore, di Roberto De Monticelli, Cue Press, 2017

Dall’azione alla recitazione, di Jan Fabre e Luk Van den Dries

Pubblicato da FrancoAngeli nel 2023, il nuovo volume della collana Drama (diretta da Fabrizio Gifuni) è un viaggio nella mente e nell’anatomia del performer fabriano, dalla filosofia alla materia, dal respiro al sesso, dalla performance art al teatro dell’oltranza. L’esperienza di Jan Fabre è qui ripercorsa nel dialogo con i principali collaboratori, dopo anni di sperimentazione, scandalo, una fama internazionale prima inscalfibile, poi lacerata dall'evidenza della colpa. Dopo un’introduzione alla biografia e al percorso artistico e teorico – preziosa soprattutto per chi poco pratico dell’opera in questione - il volume e la scrittura osservante di Luk Van den Dries ci introducono all’universo-Fabre con dodici principi performativi che dettano le coordinate dello spazio e del tempo, i punti cardinali e anatomici del processo recitativo. La parte centrale del volume, poi, la più corposa, prende la forma di un vero e proprio manuale, una guida prima narrativa, poi vero e proprio tutorial, che descrive passo passo il tranining del "guerriero della bellezza". Una lunga serie di esercizi, ognuno accompagnato da un minuzioso apparato fotografico, improvvisazioni e modelli coreografici propongono una pratica complessa capace, se perseguita con costanza e onestà, di condurre dal dentro al fuori, dall’umano all’animale, dall’oggetto al pubblico. Un vademecum prezioso non soltanto sul palcoscenico, bensì nella comprensione del sé e dell’altro scenico, dell’azione che è agita in questo luogo e in questo istante della performance postdrammatica. Un qui e ora che, nel caso di Fabre e delle sue opere più scandalose, si dilata, si ripete, stravolge il proprio perimetro e degenera, sconfinando i limiti - non solo della scena. Ma tuttavia vive e muore, costantemente, in quei corpi e quei cervelli così sexy, che hanno appreso il lavoro sporco della seduzione. Dall’azione alla recitazione. Linee guida di Jan Fabre per il performer del XXI secolo, di Jan Fabre e Luk Van den Dries, FrancoAngeli, 2023

Un corpo per tutti, di Sonia Bergamasco

Una bambina allo specchio scorge l’altra sé finora invisibile. Stacco. La bambina batte il coperchio d’un piano, messa in punizione dalla maestra. Testa china, le dita che piastrano il legno, l’assenza di note che lei sente comunque. Stacco. La bambina è una ragazza, provino per la Scuola del Piccolo, non recita ma suona a fiato invece Beckett, Woolf e Cavalcanti. Stacco. Giulia Lazzarini la raggiunge e le dice che ha un modo musicale, con cui rende in forma molteplice il mondo. Scorci iniziali d’Un corpo per tutti, il titolo per ciò che c’è a pagina 22: «Quella prima invenzione di linguaggio al provino, quel solfeggiare le parole e le frasi che in me era nato istintivamente, ha rappresentato negli anni una forma di ispirazione» per cui si tratta di «dare voce alle voci del corpo, del mio e di quello di tutti gli altri corpi immaginati. Imparare a farsi strumento». Frame. La difficoltà di farsi «zero» in Accademia. Strehler che legge il Wilhelm Meister rendendo Mignon «l’incarnazione del dolore». Carmelo Bene che le dice «devi deciderti», non teatro o musica ma un «teatro musicale». E Gabriella Bartolomei – Winnie di Giorni felici che spande vocalità in ogni punto della sala – da cui apprende metodo, libertà e il valore del silenzio, «senza il quale non viene mai nulla». La tournée sui trampoli in Spagna, il seminario di Raffaella Giordano e Danio Manfredini, la lettura de Il funambolo di Genet, le gigantografie di Eleonora Duse, Café Müller in video e gli spettacoli e le compagne e i compagni di recita per fare non autobiografia di sé ma del mestiere, di cui Bergamasco discute i fondamenti: danza e immobilità, forma e istinto, partitura e improvvisazione e la ripetizione in prova o replica, il rapporto tra regia e attorialità o cosa cambia se il pubblico respira con te. Il pudore che nasce dallo studio, l’importanza del lavoro di gruppo, la necessità di una stanza tutta per sé. Cui tornare e da cui ripartire ogni volta per andare in scena, per suonare ancora. Un corpo per tutti, di Sonia Bergamasco, Einaudi, 2023

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TEATRO TRA LE RIGHE

“Il Castello” di Franz Kafka secondo i burattini di Otello Sarzi, a cura di Francesca Cecconi

Quello del rispetto della volontà dell’autore non è soltanto un tema di grande dibattito nell’ambito delle teorie teatrali. È una questione di vera e propria scaramanzia. O almeno lo diventa dopo la lettura del curioso volume a cura di Francesca Cecconi (ormai tra le maggiori e più appassionate studiose italiane di teatro di figura) e pubblicato dall’editore Seb27 con la Fondazione Famiglia Sarzi in un progetto editoriale che intende riportare alla luce l’opera di Otello Sarzi, maestro della baracca e della ricerca teatrale del secondo Novecento italiano, così come proseguire nel periglioso percorso di riabilitazione del teatro di figura. Un volume nel segno della rarità: rara è l’occasione di trovare indagate esperienze artistiche fallite, così come rare sono le testimonianze di produzioni di figura delle proporzioni de Il Castello. L’opera, infatti, debutta l’11 marzo 1980 al Teatro Nazionale di Milano, per la regia di Giorgio Marchesini, le musiche originali di Giorgio Gaslini, le figure, le scene e l’animazione di Otello Sarzi. È un’operazione grandiosa, che vede la coproduzione del Teatro alla Scala, del Comune di Milano, Milano aperta e Ater / Emilia-Romagna Teatro, due tir per il trasporto delle imponenti scene e figure, 13 giorni di tenitura, una tournée già programmata in Italia e all’estero, da Parigi a New York, 10 animatori, 1 milione di lire di cachet. Più iva. Già la prefazione di Luca Zenobi ci aveva messo in guardia sull’impervietà e sugli spesso fallimentari tentativi di mettere in scena l’autore praghese. Cecconi ci accompagna, poi, oltre che nel processo produttivo, nella serie di sfortunati eventi - dagli imprevisti alle corse, dai cedimenti agli incidenti fortunosamente sventati - che portarono la grande impresa a tramutarsi in mirabile fallimento, nella stroncatura unanime e spietata della critica, nella delusione dei produttori (che ritirarono, in parte, il contributo alla produzione e, soprattutto, cancellarono le repliche previste). Rimangono soltanto pochi bozzetti e immagini – in bianco e nero, un po’ costrette tra le pagine del libro - e un copione breve, puntuale, meccanicamente schematico e che riduce all’osso il testo per prediligere la macchina scenica. Una grande ambizione che non vide mai realmente la luce e che possiamo tentare di immaginare, guardandoci bene dal fantasma di Kafka che, del resto, il suo Castello l’avrebbe voluto vedere distrutto. In un gravoso equilibrio di carte. “Il Castello” di Franz Kafka secondo i burattini di Otello Sarzi, a cura di Francesca Cecconi, Edizioni Seb27, 2024

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PAROLA ALLA DANZA

Balletto Civile. Maledetti quei fiori, a cura di Stefano Tomassini

Maledetti quei fiori, con il sottotitolo Scritture e immagini per l’ «autunno delle idee». Tre testi di Balletto Civile, è l’ultimo nato nella famiglia di Linea, la collana di Sossella Editore ed Emilia Romagna Teatro curata da Sergio Lo Gatto e Debora Pietrobono. Linea è un ciclo dedicato alle drammaturgie - e vanta titoli, fra gli altri, su Liddel, Rambert, Delbono, Rodrigues, Deflorian /Tagliarini, Casadargilla) - interessante dunque in questo caso il volume dedicato a Balletto Civile, la formazione fondata nel 2003 (da Michela Lucenti, Maurizio Camilli, Ambra Chiarello Emanuela Serra Francesco Gabrielli) con l’intento di lavorare su un linguaggio performativo completo, che possa tenere insieme danza, teatro e canto. Il libro è curato da Stefano Tomassini - che anche sulle nostre pagine più volte ha raccontato i lavori di Balletto Civile - e comincia con una nutrita e suggestiva sezione iconografica, sono le foto di Jacopo Benassi scattate proprio in occasione di Les Fleurs, il primo spettacolo a trovare spazio nella pubblicazione. Le immagini di Benassi sono dettagli dei corpi, lasciano emergere le epidermidi, i denti, le mani che stringono altre mani, lingue che urlano, bocche semiaperte per vocalizzi, sguardi profondi. I testi di ogni spettacolo (oltre a Les Fleurs, Loose Dogs ed Eclissi) sono preceduti dagli approfondimenti critici di Tomassini; è utile in questo senso, per capire l’origine e l'obiettivo delle drammaturgie, riportare qui un passo proprio dell'accompagnamento critico di Fleurs: «Il testo che qui si presenta e si stampa, affinché la lettura sia capace di estendere, nuovamente e senza sforzo e in una ulteriore messa alla prova , ha generato la performance di Balletto Civile, ma in pari tempo questo testo della performance è stato generato, in un gioco speculare che non ammette ordini di priorità se non nel tempo vivo e sempre mutevole che appartiene al processo compositivo e creativo di Balletto Civile.» (Maledetti quei fioriScritture e immagini per l’«autunno delle idee» Balletto Civile a cura di Stefano Tomassini pagine 96 euro 12,00 prima edizione 2024 collana Linea)

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SAGGISTICA

Meredith Monk in conversazione con Bonnie Marranca

Ermanna Montanari ed Enrico Pitozzi (studioso e docente) curano per la casa editrice Sigaretten Edizioni Grafiche una collana di piccoli e preziosi libri collegati al lavoro svolto all’interno del progetto Malagola, tra gli ultimi volumi presentati c’è Meredith Monk in conversazione con Bonnie Marranca. Per comprendere il fulcro della collana bisogna avere ben presente proprio Palazzo Malagola, un luogo nel centro di Ravenna in cui il Teatro delle Albe ha installato una piccola utopia che raccoglie un centro di formazione e uno spazio espositivo; il filo rosso è lo studio sulla vocalità. Il volume dedicato a Meredith Monk è una tappa dunque naturale di questo percorso che tra l’altro fotografa la partecipazione dell’artista americana al progetto Malagola e al 77° Ciclo di Spettacoli Classici del Teatro Olimpico (curato proprio da Ermanna Montanari e Marco Martinelli) con il concerto Duet Behavior. Bennie Marranca, decana della critica americana, l’ha intervistata dal vivo al Teatro Rasi di Ravenna, a raccontarlo è Ermanna Montanari in una breve ma densa introduzione in cui viene ricordato anche il primo incontro avuto con Monk. Era l’aprile del 22 e Marranca cominciava l’intervista - come capitava a molte e molti di noi in quel periodo - partendo dall'assenza e chiedendo cosa volesse dire, dopo la pandemia, tornare in scena, tornare ad essere performer: «si può pensare che siano effimere (le performance dal vivo ndr.), che una volta concluse si dissolvano, ma in realtà rimangono con noi molto più a lungo.» L’intervista (presente nel libro anche in versione originale) ripercorre alcuni snodi della carriera dell’artista newyorkese: la dimensione politica degli anni ‘70 e ‘80, l’infanzia vissuta in una famiglia di musicisti, il ruolo del buddismo, la ricerca odierna e i cambiamenti del corpo e l'uso della voce all’interno di questi cambiamenti: «essere performer è un po’ come essere atleti».(Meredith Monk in conversazione con/ in conversation with Bonnie Marranca, Sigaretten edizioni Grafiche/ Collana Malagola,02, Cue Press 2024)

La non-scuola di Marco Martinelli. Tracce e voci intorno ad Aristofane a Pompei, di Francesca Saturnino

Se si chiama non-scuola vuol dire che non ha maestri? Semplice, a dirla così. Ma nei fatti il discorso si fa magnificamente complesso. La non-scuola di Marco Martinelli è un progetto modulare che da decenni, prima a Ravenna e poi in molti altri luoghi, raccoglie gruppi di ragazzi e ragazze di una comunità, ne interpreta i bisogni più profondi, veicola i segnali già esistenti in un nuovo sviluppo di società e lo fa attraverso il teatro. Che succede se tale esperienza, nata in seno al Teatro delle Albe con Ermanna Montanari, prende vita in un territorio come il Parco Archeologico di Pompei? Lo racconta Francesca Saturnino – giornalista e, fondamentale: insegnante di scuola – in questo omonimo libro per Luca Sossella Editore, lo racconta dall’interno di una partecipazione al progetto Sogno di volare che ha coinvolto giovani partecipanti attorno a una “strapazzatura” dei classici, in primo luogo Aristofane, per tirarne fuori forse un succo spremuto, qualcosa che lì dentro parli proprio di chi, nei classici, vi entra. Ecco perché si tratta di una non-scuola, perché maestro di sé stesso si fa chi decide di intraprendere la strada, assecondare certi slanci istintivi, trovare le parole per dare senso all’urlo nascosto di ciascuno. Per Martinelli il progetto, che risale al 2021, è in realtà un ritorno in Campania, dopo aver guidato nel 2005 il progetto Arrevuoto che aveva dato vita alla compagnia Punta Corsara; ora a Pompei il lavoro sui classici, “messi in vita”, è un tentativo di appropriarsi di quei testi allo stesso modo che dei luoghi, spesso considerati per esclusiva compresenza turistica, così che ognuno possa appropriarsi, finalmente, di quella parte di sé inconosciuta e urgente. Saturnino governa un libro ricco, bellissimo, dà conto della propria “esperienza di esperienze”, potremmo chiamarla, chiedendo a osservatori – artisti, critici, studiosi come Linda Dalisi, Davide Iodice, Franco Lorenzoni, con una toccante intervista al compianto Enzo Moscato cui il libro è dedicato – di allacciarvi la propria, cucire insieme un racconto fatto di spinte e ostacoli, accensioni e vuoti, fino a che in ognuno appaia quel teatro da sempre presente, sopito e che ora esplode, un non-teatro, cioè la vita. La non-scuola di Marco Martinelli. Tracce e voci intorno ad Aristofane a Pompei, di Francesca Saturnino, Luca Sossella Editore, 2024

Teatrino dei Fondi. Una fantastica sinfonia teatrale, di Massimo Marino

È scritto nel DNA della storia teatrale italiana un carattere specifico - lo ritroviamo tornando indietro nei secoli fino alle corti rinascimentali - che ha a che fare con la forza propulsiva della provincia. Così il professionismo teatrale nel nostro paese è stato in grado di produrre una geografia scenica spesso disegnata lontano dalle grandi città eppure in grado di strutturarsi in storie di successo. In Toscana ad esempio dal 1993 è attivo il progetto del Teatrino di Fondi, «un intreccio articolato complesso e multidisciplinare» (come lo chiama nella premessa il direttore Enrico Falaschi) che si muove tra San Miniato, Fucecchio, Montalcino, Capannoli e da tempi recenti anche Firenze. La complessità e l’articolazione del lavoro di questa compagine più che trentennale le ritroviamo proprio nella varietà dei percorsi: il Teatrino dei Fondi si occupa infatti di residenze artistiche, produzioni, audience development, programmazione, ma anche di editoria attraverso Titivillus. E infatti è proprio la storica casa editrice a pubblicare il volume curato da Massimo Marino "Teatrino dei Fondi. Una fantastica sinfonia teatrale". Il volume si presenta con un formato quadrato che valorizza le tante immagini: di spettacoli ed eventi in bianco e nero dagli anni ‘90, quelle a colori successive, le performance urbane, le locandine, le foto dei teatri gestiti, gli articoli di giornali in cui vengono raccontate le storiche riaperture del Teatro Quaranthana e del Pacini. Marino ricostruisce la tela degli eventi che costituisce l'avventura del Teatrino di Fondi, mettendo le mani in una storia fatta di bandi, territori, spazi da gestire in piccoli borghi medievali e rinascimentali; lo fa anche grazie all’accompagnamento di Enrico Falaschi, all’archivio di Andrea Mancini e alla robusta documentazione. Poi ci sono gli spettacoli prodotti e coprodotti, la pandemia di Covid 19 e il ritorno del pubblico, come nel caso del teatro Nuovo Pacini che riapriva con una versione in toscano di Muratori di Edoardo Erba. Teatrino dei Fondi. Una fantastica sinfonia teatrale, di Massimo Marino, Titivillus, 2023

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