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ODISSEA MINORE (Nicola Di Chio, Miriam Selima Fieno)

Questa recensione fa parte di Cordelia di aprile 25

Cos’è una rotta. Il tentativo di ordinare il caos dei punti cardinali, compiere una scelta definita di una tra le infinite direzioni. Ma una rotta inversa compie un viaggio d’altri, già compiuto, a cercare le tracce di altri viaggi con motivazioni molteplici e diverse. È questa l’intenzione di Nicola Di Chio e Miriam Selima Fieno per questo Odissea Minore, al debutto al Teatro Fabbricone di Prato: indagare i segnali lasciati lungo il cammino dai migranti della rotta balcanica, attraverso una ricerca a ritroso che possa indagare, al contempo, anche i residui della resistenza incisa nei nostri occhi d’occidente dalle immagini riportate, dalle notizie artificiali che poco conservano dell’esperienza diretta. C’è una mappa politica d’Europa alle loro spalle, là dove uno schermo proietta le immagini documentarie del viaggio, mentre uno schermo più piccolo riproduce immagini create dai modellini sul tavolo a centro scena, in presa diretta. Il racconto vocale esplicita le immagini in video, ne costituisce apparato retorico perché se ne colga ogni aspetto; la recitazione è piegata alla resa delle immagini, costituendo dunque spesso un commento in bilico tra il coinvolgimento e il distacco. C’è in questo spettacolo un lavoro preparatorio di enorme portata: due artisti decidono di farsi carico, non tanto da artisti ma da esseri umani, di una storia che vanno poi a vivere sul campo, quello che è un progetto diventa infine vita; ma c’è anche il suo effetto opposto: il carattere documentario – non aiutato dall’impianto musicale di Pino Pecorelli che ha funzione prettamente didascalica – non permette di identificare delle scelte drammaturgiche ben definite, un obiettivo concreto oltre la presentazione del materiale, dunque infine un elemento poetico che lo metta in discussione; le storie migranti restano sullo sfondo – e questa è dichiarata come una scelta – appaiono appena nascoste in questa evocazione della storia rimossa, attraverso immagini di edifici demoliti, luoghi simbolo dove un campo profughi è stato riqualificato come complesso residenziale. Ma, sorge una domanda, cosa sarebbe dovuto diventare? C’è bisogno di una archeologia del rimosso o che quel rimosso proprio non esista? Solo in coda allo spettacolo, ad aprire un ulteriore spunto di riflessione in ciò che chiamiamo oggi teatro documentario, emerge dalla loro voce il dubbio che l’esperienza, essa sola, non basti a dirsi teatro. Quel dubbio scivola via in poco più che un accenno, ma proprio quel dubbio è, profondamente, il teatro. (Simone Nebbia)

Visto al Teatro Fabbricone. Crediti: ideazione Nicola Di Chio, Christian Elia, Miriam Selima Fieno; regia Fieno Di Chio; con Nicola Di Chio, Miriam Selima Fieno; con le lettere di Abdo Al Naseef Alnoeme; drammaturgia Christian Elia, Miriam Selima Fieno; regia documentaria, riprese e video; editing Cecilia Fasciani; musiche originali Pino Pecorelli; scenografia virtuale e disegno luci Maria Elena Fusacchia; produzione Teatro Metastasio di Prato

Cordelia, aprile 2025

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