Questa recensione fa parte di Cordelia di aprile 25

Le anime morte senza dire i nomi dei personaggi perché la città di N. sia quella di Gogol’ quanto la nostra. Solo una ruota del calesse, degli interni resta una tavola con sopra gli ologrammi di ciò che caratterizza di volta in volta incontri e figure (il grande ricamo, cibo, il fuoco, le candele per una fede falsa quanto l’immagine che vediamo). E dalle 416 pagine la cara struttura dialogica su cui si basa(va) la scrittura teatrale, per la regia fuori-moda e perciò significativa di Peppino Mazzotta, che crede nel valore del testo che ha scelto (nessun riduzionismo pop, nessun abbassamento di livello) e lo coniuga in scena con rigore. Dettagli: il binario/tappeto su cui scivolano le poltrone (l’attraversamento territoriale del libro, che procede per episodi in successione); le proiezioni degli oggetti, coerente con la smaterializzazione delle cose attuata in un romanzo in cui si vendono e acquistano nomi e cognomi defunti; un sentore linguistico meridionale, come fossimo nel Sud de Il gattopardo o I Viceré (la stessa marcia aristocrazia che trasmette modi e immoralità allo Stato borghese). L’orizzontalità che Nabokov vede nella trama resa fisicamente (Cicikov che dorme, il servo che riposa poggiando la testa sulla valigia, la vecchia e l’ubriaco a terra: è la vita già intrisa di morte); un finale che spinge burocrati, possidenti e politici attorno a una giostra (l’eterno meccanismo d’inganno e potere, direbbe Jan Kott) dopo essersi illusi d’aver incastrato Cicikov che, venuto, svanisce: demone tentatore, ha smascherato la nostra corruttibilità. Due pensieri. Il primo, la qualità degli interpreti (nomi nei crediti): in tempi di frontalità, visioni ridotte al proscenio e performer che dicono solo di sé fa bene sapere che resiste la funzione-responsabilità dell’attore (vecchia due millenni) d’incarnare la vita d’un altro per mostrarla al pubblico perché una comunità si rifletta. Secondo: se lo spettacolo non torna l’anno prossimo sarà stato materia gogoliana: sembrava cosa viva, invece il sistema teatrale l’aveva già uccisa. (Alessandro Toppi)
Visto al San Ferdinando. Crediti: testo e regia Peppino Mazzotta, collaborazione alla drammaturgia Igor Esposito, adattamento da Le anime morte di Gogol’, con Federico Vanni, Milva Marigliano, Gennaro Apicella, Raffaele Ausiello, Gennaro Di Biase, Salvatore D’Onofrio, Antonio Marfella, Alfonso Postiglione, Luciano Saltarelli, scene Fabrizio Comparone, costumi Eleonora Rossi, luci Cesare Accetta, contributi digitali Antonio Farina, musiche Massimo Cordovani, produzione Teatro Nazionale di Napoli, Stabile del Veneto-Teatro Nazionale