In poco più di ottanta pagine Antonio Attisani ci racconta un teatro che non è stato, la scena inesplosa di una storia bucata, ma non per questo non riconsegnabile al futuro dei nostri studi, in tutto il suo potenziale rivoluzionario. Le storiografie del teatro sono distratte, spesso inattaccabili, bulimiche nel ripetere con pigrizia discorsi già noti, le cronologie già acquisite, in forme appena appena spolverate. In queste, Francesco è un fantasma. Attisani non punta a una contro-storia, ma a una liberazione di idee e di pensieri, per lui lo studio di un’intera vita, che potrebbero alimentare la scena di oggi o di domani, come già in parte e a diversi gradi di consapevolezza quella del Novecento (da Steiner a Grotwski, da Bene a Tanguy). In questo libro si parla dunque di san Francesco, il «giullare di Dio» e della novità culturale che non viene raccolta e trasformata in una ipotesi performativa, perché portatrice di protocolli etici assai distanti dalle peculiarità della rappresentazione necessarie all’affermarsi della prima modernità. Sono il corpo grottesco, il protocollo giullaresco, la predicazione cantata o silenziosa, adottati però in chiave povera. Come rovesciamento dell’impostura inaccettabile della corruzione e della infedeltà spirituale, dell’epoca di Francesco, cui il santo risponde vivendo l’obbedienza come una performance capace invece di generare fisicamente la comprensione della verità, lo smascheramento dell’impostura. Una tecnica di recitazione a tutti gli effetti, come accesso a «uno stato di libertà e felicità senza possesso, vale a dire il modo d’essere scaturito dalla povertà». La rivoluzione artistica di Francesco. Un teatro che non è stato e forse sarà, di Antonio Attisani, Cronopio, 2025