Quello del rispetto della volontà dell’autore non è soltanto un tema di grande dibattito nell’ambito delle teorie teatrali. È una questione di vera e propria scaramanzia. O almeno lo diventa dopo la lettura del curioso volume a cura di Francesca Cecconi (ormai tra le maggiori e più appassionate studiose italiane di teatro di figura) e pubblicato dall’editore Seb27 con la Fondazione Famiglia Sarzi in un progetto editoriale che intende riportare alla luce l’opera di Otello Sarzi, maestro della baracca e della ricerca teatrale del secondo Novecento italiano, così come proseguire nel periglioso percorso di riabilitazione del teatro di figura. Un volume nel segno della rarità: rara è l’occasione di trovare indagate esperienze artistiche fallite, così come rare sono le testimonianze di produzioni di figura delle proporzioni de Il Castello. L’opera, infatti, debutta l’11 marzo 1980 al Teatro Nazionale di Milano, per la regia di Giorgio Marchesini, le musiche originali di Giorgio Gaslini, le figure, le scene e l’animazione di Otello Sarzi. È un’operazione grandiosa, che vede la coproduzione del Teatro alla Scala, del Comune di Milano, Milano aperta e Ater / Emilia-Romagna Teatro, due tir per il trasporto delle imponenti scene e figure, 13 giorni di tenitura, una tournée già programmata in Italia e all’estero, da Parigi a New York, 10 animatori, 1 milione di lire di cachet. Più iva. Già la prefazione di Luca Zenobi ci aveva messo in guardia sull’impervietà e sugli spesso fallimentari tentativi di mettere in scena l’autore praghese. Cecconi ci accompagna, poi, oltre che nel processo produttivo, nella serie di sfortunati eventi – dagli imprevisti alle corse, dai cedimenti agli incidenti fortunosamente sventati – che portarono la grande impresa a tramutarsi in mirabile fallimento, nella stroncatura unanime e spietata della critica, nella delusione dei produttori (che ritirarono, in parte, il contributo alla produzione e, soprattutto, cancellarono le repliche previste). Rimangono soltanto pochi bozzetti e immagini – in bianco e nero, un po’ costrette tra le pagine del libro – e un copione breve, puntuale, meccanicamente schematico e che riduce all’osso il testo per prediligere la macchina scenica. Una grande ambizione che non vide mai realmente la luce e che possiamo tentare di immaginare, guardandoci bene dal fantasma di Kafka che, del resto, il suo Castello l’avrebbe voluto vedere distrutto. In un gravoso equilibrio di carte. “Il Castello” di Franz Kafka secondo i burattini di Otello Sarzi, a cura di Francesca Cecconi, Edizioni Seb27, 2024