Recensione. Il nuovo spettacolo di Babilonia Teatri prodotto dal Teatro Metastasio di Prato, con Enrico Castellani, Valeria Raimondi, Francesco Scimemi, Emanuela Villagrossi.

Un po’ tutta l’arte ha a che vedere con l’assenza. Il mito che racconta la nascita della pittura, quello della fanciulla di Corinto che traccia sul muro il profilo dell’amato prima che questi parta per la guerra, ce lo rivela con un’immagine nitida. E se la fotografia ha reso più immediata la possibilità di fissare l’istante, il cinema secondo Pasolini aggiunge un tassello ancora perché, grazie alle immagini in movimento, riesce a fissare l’istante che muore. E il teatro, con la sua costante convocazione dei corpi sulla scena e in platea? Potrà suonare paradossale, ma con la sua evocazione di una realtà anche solo parzialmente altra rispetto alla nostra, con il suo trafficare con il possibile e con ciò che, per converso, possibile non è più, il palcoscenico è forse uno dei luoghi in cui questo rapporto tra arte e assenza diventa più luminoso, più lampante.

Abracadabra, il nuovo lavoro dei Babilonia Teatri, mette assieme due mondi distanti, la morte e la magia. Quest’ultima, evocata fin dal titolo, è letteralmente incarnata dal protagonista dello spettacolo, Francesco Scimemi, mago e illusionista, comico e performer, con cui la compagnia veronese aveva già collaborato in passato. Quello della magia è un mondo giocoso, dove l’illusione non è falsificazione ma un modo per riconnettersi con l’incantamento dell’infanzia, un mondo di meraviglia e mistero, dove un oggetto può sparire per riapparire subito dopo. Ma cosa accade se l’incanto si interrompe? Cosa succede se la sparizione non è più reversibile?
A fare da contraltare alla magia in questo spettacolo ibrido – che mette insieme giochi di prestigio e teatro, alternando l’illusionismo a quei monologhi corali, a metà tra l’invettiva e la giaculatoria, diventati un marchio di fabbrica di Babilonia Teatri – c’è la morte della compagna del protagonista, avvenuta a causa di un tumore. Una sparizione repentina, con cui occorre fare i conti. E qui la faccenda si complica, perché Scimemi confessa di non avere alcuna intenzione di scendere a patti col dolore, di adottare formule palliative e retoriche più o meno logore, dai manuali di auto aiuto alle riflessioni colte di Recalcati. E, soprattutto, non ha alcuna intenzione di tradurre tutto questo in uno spettacolo consolatorio.

Assieme a Emanuela Villagrossi – che ora interpreta la sua assistente, ora incarna la figura amata che scompare – sceglie piuttosto di portare in scena un sentimento ruvido, una risposta epidermica a quello “scandalo” dei confronti della morte di cui parlava Camus. E così i Babilonia – in scena ci sono anche Enrico Castellani e Valeria Raimondi – finiscono per dare vita a uno spettacolo senza mediazioni: assistiamo a una donna che scompare entrando in una poltrona truccata (disvelamento del gioco e metafora incarnata della sparizione); ascoltiamo Scimemi raccontare della playlist che ascolta, sdraiato sulla tomba della compagna per vedere il cielo come lo vede lei; vediamo i quattro attori dare vita a una farsa punk, dove le lacrime zampillano a fontanella come in uno spettacolo di clownerie. Insomma si ride, ci si commuove e ci si prende persino gioco della commozione stessa.
“Un giorno morirai; non fa niente, poiché saranno gli altri ad accorgersene” recitano i versi finali di una poesia di Juan Rodolfo Wilcock intitolata A mio figlio. La morte è il più naturale dei processi biologici, poiché tutto inizia e finisce, ma resta a suo modo il più misterioso. La società odierna, mettendo da parte narrazioni e riti millenari in un rapido processo di secolarizzazione, non ha più le parole per affrontare questo passaggio a cui ognuno è destinato. Abracadabra sembra voler fare i conti con questa afasia, ma anche con lo sconcerto di chi resta. Chi muore non si accorge della morte, ma chi resta sì. E la subisce, trasformandosi in un essere reciso. Perché se è vero, come ci racconta la fisica contemporanea, che la materia è relazione, allora anche la materia di chi resta cambia stato a causa di ciò che viene a mancare.

Tuttavia «Abracadabra» non è semplicemente uno spettacolo sull’assenza, sulla sparizione, perché il momento cardine dell’illusionismo sta piuttosto nella ricomparsa, nel momento in cui tutto – un corpo segato in due, un vetro in frantumi – si ricompone. È piuttosto un trattato sulla presenza, su ciò che permane. Perché l’illusione, l’incanto, stanno nella possibilità – poetica, immaginaria, lenitiva – di invertire il flusso del tempo.
Alla fine dello spettacolo, infatti, assistiamo all’ultimo guizzo di magia. Una lettera, ben visibile per tutto il tempo sulla scena, viene aperta: dentro c’è un messaggio per la compagna assente, ma tra le parole ritroviamo le suggestioni che gli stessi spettatori hanno suggerito a Scimemi nel corso dello spettacolo. Ma la lettera era sigillata, com’è possibile? È possibile forse perché il tempo stesso è un’illusione, come lo è probabilmente la lettera, e come lo è, certamente, anche l’assenza.
Graziano Graziani
Prato, Teatro Metastasio, Aprile 2025
ABRACADABRA
di Babilonia Teatri
con Enrico Castellani, Valeria Raimondi, Francesco Scimemi, Emanuela Villagrossi
scene e costumi Babilonia Teatri
produzione Teatro Metastasio di Prato
con il sostegno di Operaestate/CSC di Bassano del Grappa e Ariateatro Ets