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Trilogia dell’Assedio: con il Teatro dei Venti un rito umano, nonostante il carcere

Recensione. Siamo stati al Teatro delle Passioni di Modena per la maratona conclusiva che Ert ha dedicato alla Trilogia dell’Assedio del Teatro dei Venti. Edipo, Sette contro Tebe e Antigone, creati all’interno della Casa di Reclusione di Castelfranco Emilia e della Casa Circondariale di Modena.

Foto Chiara Ferrin

Quando questo articolo verrà pubblicato, il 3 marzo, i garanti territoriali scenderanno in piazza per una mobilitazione nazionale, l’obiettivo è quello di chiedere urgenti misure contro il sovraffollamento e a favore della dignità delle persone detenute. Il garante della Campania, Samuele Ciambriello, mette in evidenzia le criticità del sistema: “Sovraffollamento, carenza di strutture e risorse adeguate, burocrazia. Sono i tre lacci che soffocano da anni il sistema penitenziario italiano, giunto ormai allo stremo. La politica tace. La società civile e la magistratura non possono tollerare che i detenuti vivano in condizioni indegne e inumane”. D’altronde basta aprire il sito ristretti.org, che tra le altre cose tiene aggiornato il contatore delle morti nei penitenziari, per avere nomi e numeri: in questi primi due mesi del 2025 ci sono stati 51 decessi, 14 sono i suicidi.

Foto Chiara Ferrin

Di fronte a tutto questo i progetti teatrali nelle strutture detentive possono sembrare una goccia nel mare, eppure rappresentano uno di quei tentativi di eccellenza per immaginare un carcere diverso. Siamo qui, nonostante tutto (o forse proprio per non dimenticarci quelle “condizioni indegne e inumane”), in una piccola sala del Teatro delle Passioni, nel nuovo edificio di Emilia Romagna Teatri a Modena ancora in costruzione, del quale si spera di vedere al più presto anche la sala grande; siamo disposti su tre lati noi spettatori e spettatrici, di fronte abbiamo una pedana  e dietro di essa un’altra gradinata, parte degli attori sono seduti lì, in mezzo a loro una musicista, con microfono, violino ed effetti vari. Siamo qui perché Teatro dei Venti, per il suo ventesimo anno di attività si è regalato la fatica di un progetto con il quale portare in scena la trilogia di Sofocle dedicata agli sfortunati eroi della stirpe di Cadmo; siamo qui dunque perché una compagnia teatrale con caparbietà, passione, mestiere e arte – resistendo nonostante tutto – ha deciso di mettere in scena tre tragedie scritte 2500 anni fa che fanno parte di quel corpus letterario e scenico con cui il teatro occidentale ha trovato la sua prima forma. Siamo in un rito collettivo, nel quale le parole dei classici e le azioni di una recente tradizione teatrale non sono un modo per fuggire dalla realtà – che letteralmente impazzisce – ma per illuminarla di altre ombre.

Foto Chiara Ferrin

Ogni episodio di questa trilogia si apre e si chiude con Tiresia, filo conduttore tra le tragedie, veste una tunica a metà tra il saio di un monaco shaolin e una palandrana di un mendicante, il copricapo occlude la sua vista; il Tiresia immaginato (nella drammaturgia di Vittorio Continelli, Azzurra D’Agostino, Stefano Tè) ha corpo e voce di donna (nell’impeccabile e suggestiva interpretazione di Francesca Figini). Questa Tiresia rappresenta anche una finestra sul nostro mondo, sarà lei a parlare della dissoluzione dell’Occidente, a farci pensare che il sangue tebano è il sangue dei popoli oltraggiati oggi: «Occidente mio, mio cominciamento, mia desolata terra di tramonto e lamento».

Foto Chiara Ferrin

Il nostro Edipo, “il figlio della fortuna”, ha un vestito di foggia quasi mediorientale, di colore oro, è predestinato e i suoi occhi non lo nascondono, lo interpreta un detenuto, dunque un attore non professionista (come spesso capita in questi casi per ragioni di sicurezza i nomi degli artisti detenuti non vengono mostrati) ma che qui dimostra di aver attraversato il testo, il grande viaggio nell’esistenza scritto da Sofocle, e di avere padronanza delle motivazioni che muovono il suo personaggio. Si avvolgerà gli occhi con una benda per poi tornare in scena con la vista insanguinata. «Sei uno che fugge dal suo destino» gli dicono più volte. Anche Creonte ha un vestito lungo di foggia orientale marrone, Giocasta bianco di pizzo; sono figure che galleggiano in un’oscurità senza tempo, ma allo stesso tempo sono entità terrigne e in questo primo spettacolo della trilogia – forse il più maturo – si avverte con nettezza una caratteristica presente in tutta la trilogia: la forza di un impasto vocale non addomesticato, voci grezze e con sonorità dialettali oppure accenti stranieri. Il campano conferisce a Edipo tutto un substrato di possibilità quotidiane che lo avvicinano alla realtà. D’altronde questo impasto è dettato anche dalle circostanze, dalla creazione di una compagine teatrale in cui operano le detenute e i detenuti, attrici e attori professionisti del Teatro dei Venti e un gruppo di allievi che ha partecipato a un percorso di produzione in carcere.

Foto Chiara Ferrin

«Allora io da qui, da questo Occidente che procede sfinito, ecco che sento i passi che arrivano, sento la paura. La paura tenuta insieme come un mosaico, come un libro che perde i fogli./ Eppure, l’uomo è in viaggio./ Diretto là oltre la curva dove/ il male si trasforma,/ là verso quell’orizzonte/ dove nessuna sconfitta è definitiva./ Questo io vedo./ Che si va verso la luce./ Come se la luce ci fosse.», queste parole di Azzurra D’Agostino per Tiresia chiudono il il primo episodio lasciando nella platea una speranza che verrà disattesa dall’inevitabile arrivo della guerra; la seconda opera, Sette contro Tebe, comincia nel segno di un nuovo assetto: la postazione musicale centrale della musicista ha lasciato il posto a una postazione per la batteria, la pedana ora è squadernata, si riconosce il disegno iniziale ma i blocchi, come tasselli di un puzzle tridimensionale, danno vita a un percorso fatto da diverse altezze sul quale correranno i protagonisti della tragedia (va sottolineato che i disegni delle scenografie e dei costumi sono di F.M., detenuto del carcere di Castelfranco Emilia).

Foto Chiara Ferrin

È la tragedia della guerra e il caos ha definitivamente preso il sopravvento: Eteocle – qui un giovane dalle fattezze asiatiche con un’incredibile forza nella sua presenza scenica – attende che vengano ad attaccare Tebe, Polinice, suo fratello, è contro di lui perché non ha rispettato l’alternanza con la quale avrebbero dovuto regnare sulla città, un anno per uno. Tra i figli di Edipo è guerra totale, il ritmo della batteria è sincopato, non può esserci che la morte per i due giovani. Eteocle ha rotto il patto ma Polinice avrebbe potuto preferire la pace alla guerra, la nostra Tiresia chiude commentando: “Le leggi passano, anche gli uomini passano, ma lo stesso/viene il giorno in cui ci sarà sempre qualcuno a cui toccherà/per amore o per niente, abbandonarsi, lasciare la presa/conoscere tutta la pace della resa.”

Foto Chiara Ferrin

Antigone, l’ultimo dei tre episodi, è per certi versi quello più emblematico rispetto al titolo del progetto, anzi potremmo dire che è quello che non abbiamo potuto vedere così come era stato creato dal regista Stefano Tè e dal gruppo di lavoro nella sua completezza. Mancano proprio Antigone e Ismene, le due attrici detenute non hanno ricevuto il permesso di uscita dal carcere per le repliche modenesi. D’altronde Salvatore Sofia (responsabile della comunicazione della compagnia) prima dell’inizio della maratona lo spiega al pubblico leggendo un comunicato, l’assedio del titolo non è relativo solo alla città di Tebe assediata dall’epidemia prima e dalla guerra poi, ma è anche l’assedio quotidiano rappresentato dalle mille difficoltà burocratiche, dagli ostacoli che chi vuole fare teatro in carcere si ritrova sul proprio cammino, dalle condizioni e dalle procedure tutt’altro che facili per modalità e termini. Quest’ultimo capitolo vede gli interpreti, tutti e tutte, schierati, i personaggi di Edipo e di Sette contro Tebe, come fossero un coro aggiunto: è uno spettacolo pieno di fantasmi e con una chitarra elettrica che corre veloce, come il destino di Antigone: «Il mio crimine è un atto di pietà» afferma la giovane. Quando Creonte urlerà di liberarla sarà troppo tardi. Antigone muore in prigione, per volontà della legge, dell’uomo, come Andrea e Youssef che si sono tolti la vita a gennaio proprio a Modena, come tanti altri, che come fantasmi se ne vanno in silenzio dicendoci che quella in carcere non è vita.

Andrea Pocosgnich

Febbraio 2025, Modena, Teatro delle Passioni

dal 11 al 23 febbraio 2025
martedì 11 e 18, venerdì 14 e 21 ore 20.00 – domenica 16 e 23 ore 15.00 (parte della maratona)
Trilogia dell’Assedio – Edipo Re 
a partire dall’opera omonima di Sofocle
spettacolo creato all’interno della Casa di Reclusione di Castelfranco Emilia
regia Stefano Tè
drammaturgia di Vittorio Continelli, Azzurra D’Agostino, Stefano Tè
musiche Irida Gjergji
bozzetti della scenografia e dei costumi a cura di F. M.
costumi Nuvia Valestri
assistente alla regia Elena Carbonella

dal 12 al 23 febbraio 2025
mercoledì 12 e 19 ore 20.00, sabato 15 e 22 ore 19.00 – domenica 16 e 23 ore 16.30 (parte della maratona)
Trilogia dell’Assedio – Sette contro Tebe 
a partire dall’opera omonima di Eschilo
spettacolo creato con gli attori Casa Circondariale di Modena
regia Stefano Tè
drammaturgia Vittorio Continelli, Azzurra D’Agostino, Stefano Tè
musiche Igino L. Caselgrandi
bozzetti della scenografia e dei costumi a cura di F. M.
costumi Nuvia Valestri
assistente alla regia Elena Carbonella

dal 13 al 23 febbraio 2025
giovedì 13 e 20 ore 19.00 – domenica 16 e 23 ore 18.00 (parte della maratona)
Trilogia dell’Assedio – Antigone
a partire dall’opera omonima di Sofocle
spettacolo creato con le attrici della Casa Circondariale di Modena
regia Stefano Tè
drammaturgia Vittorio Continelli, Azzurra D’Agostino, Stefano Tè
musiche Tonino La Distruzione
bozzetti della scenografia e dei costumi a cura di F. M.
costumi Nuvia Valestri
assistente alla regia Elena Carbonella

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Andrea Pocosgnich
Andrea Pocosgnichhttp://www.poxmediacult.com
Andrea Pocosgnich è laureato in Storia del Teatro presso l’Università Tor Vergata di Roma con una tesi su Tadeusz Kantor. Ha frequentato il master dell’Accademia Silvio D’Amico dedicato alla critica giornalistica. Nel 2009 fonda Teatro e Critica, punto di riferimento nazionale per l’informazione e la critica teatrale, di cui attualmente è il direttore e uno degli animatori. Come critico teatrale e redattore culturale ha collaborato anche con Quaderni del Teatro di Roma, Doppiozero, Metromorfosi, To be, Hystrio, Il Garantista. Da alcuni anni insieme agli altri componenti della redazione di Teatro e Critica organizza una serie di attività formative rivolte al pubblico del teatro: workshop di visione, incontri, lezioni all’interno di festival, scuole, accademie, università e stagioni teatrali.   È docente di storia del teatro, drammaturgia, educazione alla visione e critica presso accademie e scuole.

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