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Too Late o vivere con le conseguenze delle proprie scelte

Recensione. Too Late, un progetto di DELLAVALLE/PETRIS, su testo di Jon Fosse, prodotto dal Teatro Nazionale di Genova e TPE – Teatro Piemonte Europa, con Anna Bonaiuto, Irene Petris, Roberta Ricciardi, Emanuele Righi, Giuseppe Sartori.

Foto Federico Pitto

“Troppo tardi”: così recita la scritta neon sfarfallante appesa al di sopra dei compartimenti scenografici, un memento inesorabile della irreversibilità di determinate scelte.

Tratto originariamente da un libretto d’opera firmato dalla penna di Jon Fosse, premio Nobel per la letteratura 2023, Too Late, qui tradotto e adattato per la prosa dalla regista e drammaturga Thea Dellavalle, narra la storia delle conseguenze delle azioni di quella Nora che era la protagonista di Casa di bambola di Ibsen. Il riferimento alla drammaturgia ibseniana si traduce in rimandi chiari, evidenti anche per lo spettatore distratto: le voci gracchianti della vecchia radio accanto al letto sfatto non fanno altro che parlarne, introducendo la sottotraccia della vicenda. Ma l’opera non vuole porsi come un sequel, bensì come citazione, in cui i personaggi diventano figure spersonalizzate e, per questo, universali, in grado di rispecchiare ognuno di noi e di avvicinarsi alla realtà.

Il progetto nasce a Invasioni Creative, festival di Rieti in collaborazione con il Teatro India di Roma, e fa parte di un trittico che ha visto precederlo, sulle scene, da Suzannah (2014) e The dead dogs (2018), sempre all’interno di un confronto con la drammaturgia di Jon Fosse.

Foto Federico Pitto

Una Nora ormai anziana (Anna Boaiuto) si aggira come un’anima in pena tra le quattro pareti del suo studio artistico, circondata da tele immacolate e pennelli sporchi.  Sembra sola al mondo, intenta a dipingere quadri astratti su cui riversa sferzate irruente di colore, ma non lo è mai davvero: i fantasmi della sua vita passata, più concreti che mai, tornano a tormentarla in una narrazione frammentaria che ripercorre il momento della svolta. Accanto a lei una sua versione più giovane (Irene Petris), ancora sposata con Torvald (Giuseppe Sartori) e profondamente innamorata di suo marito. Le due figure si inseguono sul palcoscenico, si cercano, si toccano, rotolando sul materasso alle loro spalle. Improvvisamente, grazie alla loro presenza, lo spazio si trasforma, ibridandosi con le stanze della vecchia casa coniugale di Nora. La parete in fondo si rivela essere, in realtà, una cabina armadio a scomparsa da cui Torvald pesca i vestiti che gli servono per prepararsi ad affrontare un’altra lunga giornata lavorativa. C’è una terza figura a reggere il moccolo alla coppia, un altro uomo (Emanuele Righi) che, come un’ombra, replica i gesti di Torvald, continuando a lamentarsi di una stanchezza pervasiva. La figura non è altro che la coscienza del marito, il quale non ha il coraggio di mostrarsi vulnerabile ed esprimere come si sente veramente, e di conseguenza reprime e reprime ancora, creando un accumulo di impressioni e verità sussurrate a mezza voce.

La giovane Nora cova un’invidia malcelata per la possibilità del marito di sfuggire alle incombenze del nido famigliare, mentre lei rimane intrappolata in casa, il pianto dei figli piccoli a richiamarla al suo dovere di madre. Palloni da basket vengono lanciati in scena da dietro le quinte, oltre le pareti della scenografia e, dal contatto di ognuno di essi con il suolo, scaturisce il lamento disperato di un bambino, fino a quando Nora non accoglie le rotondità della sfere tra le sue braccia, tutte quelle che può contenere nel vincolo. Come svolge questa operazione, il pianto disperato che proviene da fuori si attenua fino a scomparire, mentre la donna, carica del peso dei palloni, esce di scena per placare i capricci dei figli, i quali richiamano prepotentemente la sua attenzione. Ciò che Nora fatica a comprendere è quanto possa essere logorante anche il lavoro del marito, che si sente incompreso e, al tempo stesso, prosciugato dallo sforzo di mantenere una facciata serena nel momento in cui varca la soglia di casa. I  suoi occhi di moglie e madre relegata all’ambiente domestico riescono a vedere soltanto una promessa di libertà nel paragone stringente con la sua routine.

Foto Federico Pitto

L’invidia di Nora, insieme alla gelosia per le eventuali colleghe di lavoro giovani e carine, cresce giorno dopo giorno, fino a quando la protagonista non comincia a verbalizzare il suo malessere, sempre più frequentemente, a un Torvald che non ha le forze di ascoltarla davvero. Si giunge così a una rottura netta. I due si inseguono, continuando a uscire ed entrare in scena, ma senza incontrarsi più. Il sottofondo musicale, il cui design è curato da Franco Visioli, vincitore del Leone d’Oro alla carriera alla Biennale Teatro 2020, si fa sempre più teso e incessante fino a giungere al punto di rottura: l’armonia coniugale è andata in frantumi. Con foga, Nora comincia a tirare fuori vestiti dall’armadio e ad ammassarli in una valigia.

Il dialogo è ridotto all’osso, ma non per questo manca di contenuto umano, lasciando che le tensioni vengano a galla dai movimenti tesi del corpo, dagli sguardi, dai gesti febbrili. È richiesto uno sforzo non indifferente agli attori, che devono lasciare che le emozioni si esprimano attraverso il corpo più che con la voce. E ci riescono, magistralmente: e così la tensione si accumula nella piega dura della bocca, in un paio di sopracciglia aggrottate, nel tremore lieve delle mani, nel rifiuto dell’intimità.

Foto Federico Pitto

La Nora anziana che convive con gli esiti di quella decisione rimane a osservare, senza possibilità di intervenire, ma solo di rivivere i ricordi che si ammassano, l’uno sopra l’altro. Attraverso un sistema ben oliato di botole, le figure del suo passato emergono nei momenti meno opportuni, sbucando da sotto le coperte all’improvviso, o facendo capolino dall’armadio con la porta a scomparsa, quando non sono impegnate a usare gli accessi principali alla stanza. Sono rari i momenti in cui la Nora del presente riflette ad alta voce, integrando con il suo racconto quei momenti fatidici ripercorsi costantemente nella sua testa, talmente spesso da ottenere vita propria.

Come Nora se ne va di casa, i suoi timori si concretizzano: ecco che Torvald si trova un’amante molto più giovane (Roberta Ricciardi), che gli promette di rimanere al suo fianco e di non comportarsi come l’ex-moglie, la cui presenza, come monito e paragone, rimane costante. Emotivamente, l’Ombra rivela che Torvald è molto più coinvolto dalla giovane di quanto lo fosse da Nora. La ragazza è vista come un rifugio sicuro, mentre assume su di sé il ruolo di bambola e custode del focolare domestico, sotto le cui gonne Torvald può rifugiarsi. Ed è letteralmente così nel momento in cui la ragazza esce da dietro le quinte con un vestito ampio, dorato, a pagoda, tale da lasciare nelle sue coltri lo spazio per accogliere, rannicchiati, tanto Torvald quanto la sua Ombra.

Al tempo stesso, ai frammenti di passato si intreccia la voce della Nora anziana, che ripercorre il passaggio successivo della vicenda per come l’ha vissuta, senza più affidarsi a dei flashback, per quanto concreti. Tornata dai suoi genitori, che con disappunto e stupore avevano accolto la notizia del suo inconsueto divorzio, era riuscita, grazie alla bontà (o forse pietà?) del padre, ad assicurarsi un appartamentino nel quale condurre le sue attività. Aveva dato così inizio alla sua carriera artistica che, però, non era decollata, lasciando la maggior parte dei suoi quadri invenduti.

Foto Federico Pitto

Divorata dal dubbio, la donna riconosce di essere passata dalle quattro pareti del tetto coniugale a un’altra stanza in cui rinchiudersi, più piccola, più dimessa, ma interamente sua. Forse in questo si cela la vera libertà per Nora, non dipendere più dal marito e dalla sua incapacità di esprimersi, ma poter dialogare con sé stessa e con la sua interiorità, anche quando quest’ultima è costellata da ricordi che, come pezzi di vetro di uno specchio andato in frantumi, hanno bordi affilati con cui è facile tagliarsi. È una realizzazione che ha un sapore dolceamaro, il retrogusto di ciò che si è perso in virtù di una vita che non è poi così soddisfacente, ma di cui Nora può finalmente rivendicare il pieno possesso.

Nella scena finale, le tre donne sono raffigurate intente ognuna a dipingere un quadro con pennellate casuali, vigorose. Dalla Nora anziana che ha acquistato una qualche forma di libertà, passando alla donna che cercava una via di fuga, fino alla giovane amante che, a sua volta, sembrerebbe ripercorrere le stesse orme della protagonista, nonostante la promessa fatta a Torvald. Impossibile non vedere nella triade un rimando al coesistere in scena delle tre fasi della vita della moglie di Ibsen per come viene raffigurata in Suzannah.

Mentre le tre figure femminili si fanno portatrici di un’istanza di cambiamento, di volontà di modificare le proprie sorti, l’uomo con la sua ombra resta immutabile, chiuso in sé stesso e confinato nella routine lavorativa. Viene dato così uno spaccato su quell’interiorità maschile mortalmente ferita dalla mancanza di educazione affettiva, dall’incapacità di entrare a contatto con il proprio sentire. Ciò si traduce in una difficoltà, da parte del marito, di comprendere l’emotività della propria moglie, di mettersi nei suoi panni e realizzare quanto possa essere estenuante la vita da madre e, al tempo stesso, di aprirsi con lei e lasciare che la donna possa figurarsi le difficoltà in cui ci si può imbattere nell’ambito lavorativo.

È la mancanza di dialogo a incrinare irrimediabilmente il rapporto tra i due, ma anche se realizzassero la questione, vittime delle proprie incomprensioni, sarebbe comunque “troppo tardi” per porvi rimedio.

Letizia Chiarlone

Marzo 2055, Teatro Gustavo Modena, Genova

Prossime date in calendario tournée:

Torino Teatro Astra 25-30 marzo 2025

Produzione Teatro Nazionale di Genova, TPE – Teatro Piemonte Europa
in collaborazione con Lido51

Un progetto DELLAVALLE / PETRIS
Traduzione e regia Thea Dellavalle
Interpreti Anna Bonaiuto, Irene Petris, Roberta Ricciardi, Emanuele Righi, Giuseppe Sartori
Musica e sound Franco Visioli
Scene Francesco Esposito
Costumi Marta Balduinotti
Luci Aldo Mantovani
Assistente alla regia Carla Carucci
Cast tecnico
direzione di scena Desirée Tesoro
capo macchinista Raffaele Giacobino
elettricista Luca Serra
fonico Luca Nasciuti
sarta Irene Barillari

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Letizia Chiarlone
Letizia Chiarlone
Classe 2001, è studentessa di Lettere, indirizzo Musica e Spettacolo, presso l'Università di Genova. Comincia ad avvicinarsi alla critica teatrale nel 2023, accolta nell'aia dell'Oca Critica. Nel giugno 2024 partecipa al laboratorio di critica teatrale diretto da Andrea Porcheddu con Roberta Ferraresi presso la Biennale Teatro. Nell'agosto dello stesso anno prende parte al workshop di critica teatrale di Teatro e Critica condotto da Andrea Pocosgnich nel contesto del Festival Orizzonti di Chiusi. Collabora con Teatro e Critica da ottobre 2024.

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