Gli Sharing Training si basano su un confronto “orizzontale” (tra pari, peer to peer) che genera, attraverso la condivisione di sperimentazioni, pratiche e modalità di allenamento sul corpo, un ambiente a sostegno della ricerca artistica. Un approfondimento

Il privilegio nell’ambito artistico è un concetto espanso che messo in relazione alla precarietà e volatilità dei processi di creazione assume una valenza positiva, inclusiva e arricchente, rispetto a quella esclusiva e classista a cui spesso lo associamo. Prendere parte alle pratiche di Sharing che riuniscono in una rete italiana danzatori/danzatrici, autori/autrici e performer, e talvolta si aprono anche alla critica, è un privilegio poiché colma in maniera stabile, continuativa, diffusa, orizzontale la necessità di uno spazio di formazione, incontro e ricerca per i professionisti e professioniste della danza. Essendo una dimensione estremamente aperta all’esigenza di condivisione, sperimentazione, delle pratiche di allenamento sul corpo, ogni spazio ha il suo luogo disseminato sulla geografia nazionale: – SIR Sharing in Roma (circa 360 membri), Shared Training Torino, Attivisti della danza Firenze, GRAP Sharing Marche Sharing Catania, Sharing Training Milano, Trentino, Palermo, Verona, Pisa, Puglia e Bassano.
Eterogenei e nati da esigenze specifiche, ogni Sharing possiede delle proprie regole di incontro e può prescindere dalla disponibilità delle residenze artistiche, è infatti un tipo di organizzazione che nasce come autonoma e parallela da quella istituzionale, parcellizzata capillarmente in gruppi che si autogestiscono e si autofinanziano dal basso permettendo a collettivi di artisti e artiste di incontrarsi, sia a chi risiede in un determinato territorio che chi lo attraversa ed è di passaggio.

Lo sharing può quindi riguardare la condivisione di una pratica, di una ricerca artistica, di uno studio metodologico rispetto alla trasmissione, o anche un approfondimento teorico su un tema specifico. Le caratteristiche proprie a ciascuno sharing, come la durata, il numero dei partecipanti, la presenza o meno di figure esterne, sono definite di volta in volta. A Roma abbiamo avuto l’occasione di partecipare nella cornice dello Spazio Rossellini a Sharing Blooms, l’evento che ha inaugurato a febbraio gli sharing del 2025 e che ha messo in relazione, in due giornate, la rete nazionale degli sharing. Domani, 31 marzo, sarà la volta invece di A journey that wasn’t (un viaggio mai accaduto) condotto dalla performer e coreografa Elisa Turco Liveri e dalla musicista e ricercatrice Hyiils (Ilaria Paladino) dalle 17 alle 20, con un massimo di 12 partecipanti e senza la presenza di un pubblico uditore.
Sharing Blooms è stato organizzato da SIR Sharing in Roma, gruppo fondato nel 2017 con una connotazione politico territoriale specifica nello spazio polifunzionale SCUP – Sportculturapopolare, i cui referenti sono Lorenzo Giansante e Cinzia Sità che, tramite il supporto istituzionale delle realtà di ATCL Spazio Rossellini e PinDoc, organismo di produzione per la danza contemporanea, riescono a organizzare circa un incontro mensile. La pratica di lavoro si basa sul Critical Response Process della coreografa e studiosa americana Liz Lermann e sulle pratiche utilizzate nel DAS Theatre Feedback Method, attraverso le quali si entra in dialogo con la persona che per ogni sharing decide il modo in cui si analizzerà insieme quel determinato segmento di creazione. Nella due giorni di Sharing Blooms – organizzata grazie anche a Manuela Cirfera, Matilde Cortivo, Eva Allenbach e Claudia Pelliccia – sono stati presentati due studi (o materiali di ricerca) della durata massima di 30’ di Marta Sponzilli insieme al musicista Marco Di Gasbarro, e di Giovanna Zanchetta, la mattina seguente si è poi svolta una tavola rotonda su argomenti specifici e di aggiornamento sulla Rete italiana.

La struttura della pratica del feedback si articola in diversi step: contestualizzazione che specifica la fase in cui si trova il lavoro presentato e le sue prospettive; cosa mi ha colpito per cui osservatori e osservatrici dichiarano all’artista un aspetto per loro significativo di quanto è stato presentato; le domande dell’artista al pubblico che è chiamato a esprimere la sua opinione; a disposizione che è forse la fase più delicata tra pubblico e artista in quanto il primo può fare sul lavoro delle domande ma senza esprimere pareri, cercando quindi di instaurare un confronto dialettico senza giudizio; ho un’opinione su che spinge il pubblico a pronunciarsi su un determinato aspetto rispettando il carattere embrionale di ciò a cui ha assistito, per cui l’artista è libero/a di rifiutarsi anche di ascoltarla qualora possa sentirsi troppo esposto/a rispetto a un determinato argomento, e il clouding, passaggio finale che permette di condividere collettivamente tutto ciò che potrebbe riguardare il progetto, una sorta di ipertesto di rimandi, suggestioni, notizie multidisciplinari e trasversali.

Sul quaderno per prendere appunti durante le sessioni fornito a tutte e tutti i/le partecipanti dello sharing, una dichiarazione di Simone Weil campeggia a chiare lettere: «l’attenzione consiste nel sospendere il pensiero, nel lasciarlo disponibile, vuoto e permeabile all’oggetto, nel mantenere vicino al pensiero, ma a un livello inferiore e senza contatto con esso, le varie conoscenze acquisite che si è costretti a utilizzare». Attenzione, disponibilità, pensiero, sospensione, permeabilità sono allora le parole chiave di questo e altri sharing, un metodo che nutre, non tanto una serie di momenti disseminati e unici, quanto un percorso lungo e dilatato ma estremamente funzionale e sistemico; una rete di connessioni lentissime che mutano e incidono sugli approcci individuali impedendo loro di diventare individualistici. Imparare a condividere dei pensieri tramite il supporto di regole strutturate che i/le partecipanti – tanto artisti/e uditori/trici – devono conoscere per poterle usare proficuamente, è un esercizio fragilissimo e vulnerabile di democrazia artistica che previene il solipsismo e l’autoreferenzialità.
Lucia Medri