Questa recensione fa parte di Cordelia di marzo 25

Le mani, prima di tutto. Si agitano nello spazio conteso tra la luce e il buio, ossute ma non meno eleganti tagliano l’aria come si vedesse, come fosse tangibile, percorrono sentieri di azioni e li distendono, sembrano liberarli dagli ostacoli, perché ci possano star sopra le parole. Non va via questa immagine dal palco di Ognissanti, le mani sono di Enzo Vetrano, là alle sue spalle sulla parete c’è Stefano Randisi, immobilizzato dall’arte e dalla storia in egual misura, il teatro è il Fabbricone di Prato per l’ennesimo lavoro riuscito nella stagione ideata da Massimiliano Civica. Ci sono due santi, in questo testo di Sabrina Petyx scritto apposta per i due attori, sono raffigurati in due dipinti contigui, appesi alla parete di un possibile museo, tesi in posizioni evocative di una beatitudine da nobiltà religiosa, che lasciano intuire le azioni per cui hanno raggiunto in vita l’imperitura memoria ultraterrena. Eppure, chissà, saranno due santi anonimi? Sono loro stessi a dirlo quando, forse nella solitudine di un museo chiuso, iniziano a muoversi e parlare tra di loro. Vetrano compie il gesto di uscir fuori, sfonda i contorni del proprio riquadro e acquista la terza dimensione, quella della relazione con lo spazio e il tempo, mentre l’altro santo resta dentro, tiene lo scranno del proprio alto grado; ecco che le luci di Max Mugnai, forti e nette a battere tra il buio e il rosso cardinalizio, disegnano due piani in dialogo tra loro, un dentro e fuori non dalla scena ma dal dipinto. Ma sono poi davvero, questi, due santi? O forse solo due modelli di allora che la smemoratezza della finzione ha così dipinto? C’è un’impostazione pirandelliana in questi due personaggi in cerca d’autore, o meglio, in cerca di comprendere se il tempo abbia reso santi questi due inquisitori morti ammazzati o sono ancora due poveracci come allora. La regia di Vetrano e Randisi, sostenuta dalle musiche di Gianluca Misiti che sceglie un percorso classico, evolve con qualche lentezza nell’ascesa del climax, ma governa la commistione tra un comico da marionetta e il tragico con pazienza e maestria. Santi oppure no, “chiunque – dicono – darebbe la vita per una cornice dorata”. (Simone Nebbia)
Visto al Teatro Fabbricone. Crediti: di Sabrina Petyx; interpretazione e regia Enzo Vetrano e Stefano Randisi; scene e costumi Mela Dell’Erba; luci Max Mugnai; musiche originali Gianluca Misiti; produzione Teatro Metastasio di Prato