Questa recensione fa parte di Cordelia di marzo 25

Una linea retta interseca il tempo e collega gli anni del dopoguerra al presente; la ciclicità degli avvenimenti con le sue urgenze si rinnova e i tre ragazzi del romanzo, il primo, di Pasolini ci parlano dei tanti e tante che oggi attraversano la rotta balcanica. Elio Germano e Teho Teardo adattano teatralmente Il sogno di una cosa in un concerto, anche se sono solo loro due gli autori e gli interpreti nella scena spoglia. La molteplicità dei punti di vista, da quelli dei protagonisti Nini, Milio ed Eligio, si allarga a quella corale dei paesi friulani dai quali provengono e che attraversano per giungere poi in Jugoslavia. La voce narrante di Germano e la sua corporeità diventano strumenti risonanti le parole e i loro significati, amplificati dalla tessitura sonora di Teardo, la quale riecheggia nelle note della chitarra, si amplifica negli echi elettronici e si eleva nel tintinnare delle campane. La “cosa” in cui si sogna è la rivendicazione politica contro l’oppressione, la fede in un comunismo, quello di Tito, nel quale si voleva riporre fiducia per scoprirne poi l’illusione idealistica, fiaccata dagli stenti e quindi anche dalla morte. La riconosciuta sapienza artistica di Germano e Teardo, la loro coerenza politica nelle scelte finora compiute, in questo caso purtroppo non riesce a sostenere la dimensione teatrale sia nella recitazione – che non suscita empatia tanto che si fatica a “credere” in quel neorealismo del racconto e i registri e le tonalità con cui viene detto spesso si uniformano in una sola monotonia – sia nella drammaturgia musicale, poco complementare al testo e che, soprattutto nei passaggi più virtuosistici, lo sovrasta. Tuttavia, prevale l’intento di far risuonare la tensione giovanile e l’ingiustizia storico sociale: un moto d’animo e politico, lo stesso che spinge le nuove generazioni di migranti ad andare fuori a scegliere il cambiamento, personale e collettivo. Del resto, non sono proprio i migranti i veri rivoluzionari? (Lucia Medri)
Visto a Spazio Rossellini: Liberamente tratto dal capolavoro di Pier Paolo Pasolini. Una produzione Pierfrancesco Pisani per Infinito Teatro e Argot Produzioni. In coproduzione con Fondazione Teatro della Toscana. Con il contributo di Regione Toscana.