Questa recensione fa parte di Cordelia di marzo 25
Una pulsazione ritmica, distante, emerge e si intensifica nell’ombra e anticipa l’ingresso di una luce fredda, intermittente, che squarcia il vuoto abitato da una macchina collocata in una posizione marginale del palco. Dai vetri della vettura intravediamo due giovani figure, nei corpi “nervosi” di Sophie Demeyer e Theo Livesey: non più una folla come nei lavori precedenti, ma i suoi residui oggettuali, i suoi “scarti”. Si tratta di un ripensamento sostanziale che Gisèle Vienne attua a partire da Crowd (2017) per ripensare ancora una volta il linguaggio del rave, scomponendone però la grammatica attraverso una riduzione al grado zero della sua sintassi coreografica. L’azzeramento, tuttavia, non annulla la ricerca performativa dei corpi o la presenza scenica degli oggetti – rifiuti abbandonati che si susseguono come ablazione di una vita altra – anzi esso permette l’irretire di tutti gli elementi fantasmali che contaminano l’universo della coreografa e regista franco-austriaca, restituendo altresì un complesso sostrato malinconico di mancanza, un bisogno viscerale di riempimento, di appartenenza. Se i movimenti collettivi non esistono più, allora non rimane che l’ossessione dell’io, l’incubo, l’abbandono. È qui che si intreccia la narrazione coreografica dei due performer in scena, fatta di fratture, accelerazioni improvvise e sospensioni irreali, acutizzata da sonorità techno roboanti: un rituale privato che mette in scena l’eco infestante di un rito collettivo, dove la temporalità si dilata e si contrae mentre la sua percezione sensibile si deforma. Anche le luci di Iannis Japiot amplificano queste fratture: ombre lunghe tagliano lo spazio, le silhouette emergono per poi dissolversi, in un gioco visivo che rifrange il senso stesso della presenza. Lo smarrimento, nella visione di Vienne, si costruisce così come condizione necessaria al riconoscimento, un esercizio di percezione che scava la presenza nell’assenza, che plasma e trasforma non più solo la collettività ma anche l’individuo. (Andrea Gardenghi)
Visto alla Triennale di Milano. Crediti: concezione e coreografia Gisèle Vienne, con Sophie Demeyer, Theo Livesey, musica Underground Resistance, KTL, Vapour Space, DJ Rolando, Drexciya, The Martian, Choice, Jeff Mills, Peter Rehberg, Manuel Göttsching, Sun Electric e Global Communication, suono Adrien Michel, luci Iannis Japiot, produzione e tournée Alma Office – Camille Queval e Anne-Lise Gobin, produzione DACM, Compagnie Gisèle Vienne