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De Summa e l’adolescenza, per capire l’assenza

Recensione. L’infamante accusa di assenza è il nuovo spettacolo di Oscar De Summa prodotto dal Teatro Metastasio di Prato, “una favola nera, un giallo esistenzialista”

Foto Duccio Burberi

Demi (Valeria Sibona) è da sola in casa, intenta a sorridere a vuoto allo schermo luminoso del suo cellulare, come se la persona dall’altro capo della linea potesse quasi percepirlo, quel sorriso. Improvvisamente, nell’appartamento, fanno irruzione due loschi figuri che, come intuiremo più avanti, sono un ispettore (Mattia Fabris) e il suo bizzarro e silenzioso appuntato (Lorenzo Guerrieri). Non vengono fornite spiegazioni, il cellulare viene sequestrato, e Demi si ritrova con più domande che risposte: di quale crimine si sarà mai macchiata?

Con queste premesse, viene introdotta la vicenda che anima il nuovo spettacolo di Oscar De Summa, L’infamante accusa di assenza, prodotto dal Teatro Metastasio di Prato e presentato in prima assoluta nella sua sede al centro della cittadina toscana. Dopo aver esplorato la sua adolescenza complicata in Stasera sono in vena, Oscar De Summa torna a parlare di giovani e di dipendenze, rivolgendosi, in particolare, alla generazione zeta, che magari non ha conosciuto il fascino terribile dell’eroina, ma non è comunque scampata a forme più sottili di assuefazione.

Foto Duccio Burberi

La scenografia di Lorenzo Banci lascia molto all’immaginazione, soprattutto nella prima parte dello spettacolo, dove spiccano, in contrasto con le pareti rivestite di teli bianchi, cinque sedie e, ai lati, due appendiabiti ricolmi di vestiti per permettere agli attori di indugiare nella loro opera di trasformismo, tra un ruolo e l’altro. Le luci, curate da Matteo Gozzi, sono forti, abbacinanti, dalle sfumature fredde e asettiche, salvo nei momenti di stacco che segnalano la fine della scena, dove la figura multiforme e poliedrica interpretata da Andrea Macaluso, con una cresta colorata e posticcia in cima alla testa, imbraccia una tromba e finge di suonarla. A quel punto, la mortifera luce bianca lascia spazio al rosso del sangue, della rabbia, della confusione, mentre note dissonanti e stonate feriscono i timpani dello spettatore. In poche parole, permette a quell’emozione, che il bianco abbacinante tenta di soffocare, di emergere.

Demi non capisce di cosa sia accusata, sa solo che verrà messa a processo, un po’ come il Josef K. de Il processo kafkiano. Si è trovata improvvisamente una spada di Damocle a pendere sul suo capo e un avvocato assegnatole d’ufficio (Oscar De Summa). E, infatti, quando il fratello (Lorenzo Guerrieri) viene a trovarla, mandato dai genitori preoccupati per non aver ricevuto più sue notizie, non sa spiegare di preciso che cosa le stia succedendo. Gli confida, però, che è riuscita a nascondere il portatile, e con quello si premurerà di rassicurare i suoi cari. Ma rivelare il segreto le costa caro: tradita dal fratello, viene fatta una nuova irruzione nel suo appartamento, e anche il pc viene confiscato. Il tradimento viene descritto come un passaggio fondamentale della vita, dal momento che la sensazione bruciante che provoca causa dolore, dal quale si genera inevitabilmente una riflessione che produce cambiamento. Infatti, Demi, nella sua passività, sembra quasi ritornare in sé, preda di emozioni estranee che sfociano in un vero e proprio sfogo di cui l’ispettore e il suo appuntato sono testimoni, ma che finisce per spegnersi con la stessa velocità con cui è divampato l’incendio iniziale.

Foto Duccio Burberi

Ed è a questo punto che riceve una notifica dal tribunale che mette nero su bianco il misfatto di cui è accusata: Demi ha compiuto un crimine di enorme portata, la totalis absentia, cioè la totale assenza a sé stessa. Con un cambio scena a vista, un’aula di tribunale comincia a prendere forma, con le tre sedie per i magistrati e il parapetto ligneo da cui si sporgerà l’accusata. Entrano in scena il giudice (Mattia Fabris), il PM (Andrea Macaluso) e l’avvocato (Oscar De Summa), con le loro tuniche nere e parrucche incipriate, una banda chiassosa e irriverente che parrebbe più un gruppo di uomini di mezza età al bar che un’equipe di onorevoli. Demi, il ritratto dell’innocenza, con la sua gonna azzurro bebè e gli occhiali appoggiati sulla punta del naso, prende posto sul bancone degli imputati, il quale altro non è che una sorta di pedana sopraelevata che ingiuriosamente espone la giovane allo sguardo di tutti, di quel pubblico che si fa giuria popolare.

Comincia così un’arringa stringente nei confronti dell’accusata, che viene investita di domande e presa in giro quando risponde alle provocazioni. L’impressione che ne viene fuori è che a nessuno importi davvero di quello che ha da dire Demi. Agli occhi del pubblico, è solo una semplice adolescente che passa troppo tempo sul cellulare e fa pure uso di psicofarmaci, come se non bastasse. E la giuria popolare, che con una captatio benevolentiae, viene descritte come “buona” e “giusta”, non può fare a meno di concordare sulla condanna. O almeno, lo fa non opponendosi.

Foto Duccio Burberi

È un confine delicato quello su cui si muove De Summa, con il rischio di venire frainteso nel suo gioco post-ironico. A primo impatto, potrebbe dare l’impressione di voler paternalisticamente giudicare la giovane per la sua condotta, ma guardando più a fondo si intuisce come, in realtà, sia dalla sua parte, comprendendo cosa voglia dire essere adolescenti sulla cima del mondo con il mare di possibilità e opzioni che si apre al di sotto. Un oceano che intimorisce, che fa paura, che stordisce, che spinge a voler sospendere una presa di posizione per timore che la scelta compiuta sia quella sbagliata.

Demi, pur di non affrontare il peso e le conseguenze di una decisione netta, orbita intorno ad essa, sospendendo il giudizio, distraendosi con notifiche, sms, doom scrolling sulle varie piattaforme social, likes, swipe left, swipe right. Ma per lenire il dolore, tutto ciò non basta. Ed ecco che fanno il loro ingresso anche le nuove droghe, gli psicofarmaci, pensate appositamente per diminuire e ovattare l’emotività del soggetto che le assume: qualche goccia di Xanax per l’ansia, una compressa di Prozac se mi sento depresso, mezza pasticca di Litio quando i miei sbalzi d’umore sono troppo imprevedibili. Certo, ci sono persone la cui vita dipende strettamente dalla stabilità garantita dall’utilizzo di questi strumenti farmacologici, ma ciò non toglie che ci sia un problema dilagante di abuso di queste sostanze, anche da parte di soggetti che non ne avrebbero strettamente bisogno ma beneficiano del loro effetto anestetizzante.

Byung-Chul Han nel suo saggio La società senza dolore riflette su come l’età odierna sia caratterizzata da una forte algofobia, cioè una paura intrinseca del dolore, che porta l’uomo a ricercare con tutte le sue forze di sfuggirgli. De Summa vuole porre l’accento su come le emozioni siano “la benzina del mondo”, e come scampare al sentire equivalga a rinunciare alla vita, la quale “pulsa e si muove”. Ed è proprio muovendosi e, per dirla meglio, commuovendosi, che viviamo a pieno e ci inseriamo nel flusso degli eventi, non più sassi passivi sul fondo di un fiume, ma pesci che assecondano la corrente.

Il processo termina con una sospensione di giudizio, e Demi viene lasciata sola, appollaiata sul bancone degli imputati.

With the lights out, it’s less dangerous
Here we are now, entertain us
I feel stupid and contagious
Here we are now, entertain us

Foto Duccio Burberi

Sulle note di Smells Like Teen Spirit dei Nirvana, la canzone che forse meglio esprime il tormento adolescenziale di una generazione, Demi si riconosce colpevole di aver rinunciato alla sofferenza, e dunque a una grande fetta di vita, ed è al tempo stesso una vittima della digitalizzazione e della conseguente riduzione del vocabolario che le impedisce di definire ciò che sente. “Fare qualcosa di questa vita è una lotta”, dirà, poco prima di essere interrotta e portata fuori scena.

Attraverso il testo di De Summa, gli attori fanno sfoggio della loro bravura, di una recitazione puntuale e irriverente che, in contrasto con la serietà passionale di Valeria Sibona, permette all’angoscia esistenziale del personaggio di Demi di risaltare. L’infamante accusa di assenza è una “favola nera, un giallo esistenzialista” che apre uno spaccato su diversi aspetti della realtà in relazione con le nuove generazioni, spesso ignorate dagli adulti che le osservano dall’alto della loro posizione. La generazione zeta e quelle successive, narrate attraverso gli occhi di un’ex-adolescente che ha conosciuto il sapore della perdizione e della mancanza di direzione, vengono messe in primo piano nella loro impotenza e al tempo stesso facoltà di poter scegliere tra le infinite possibilità aperte.

De Summa prende per mano tanto l’adolescente quanto l’adulto scettico, esortandoli a una reciproca comprensione. Tra ironia disinvolta e toccante introspezione, l’invito alla vita rimane valido, il biglietto di una giostra che aspetta solo di essere timbrato.

Letizia Chiarlone

Marzo 2025 Teatro Metastasio di Prato

L’INFAMANTE ACCUSA DI ASSENZA

di Oscar De Summa
con un contributo di Lorenzo Guerrieri
con Oscar De Summa, Mattia Fabris, Lorenzo Guerrieri, Andrea Macaluso, Valeria Sibona
assistente alla regia Tommaso Rotella
progetto luci Matteo Gozzi
progetto musicale Oscar De Summa
scene Lorenzo Banci
costumi Chiara Lanzillotta
produzione Teatro Metastasio di Prato

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Letizia Chiarlone
Letizia Chiarlone
Classe 2001, è studentessa di Lettere, indirizzo Musica e Spettacolo, presso l'Università di Genova. Comincia ad avvicinarsi alla critica teatrale nel 2023, accolta nell'aia dell'Oca Critica. Nel giugno 2024 partecipa al laboratorio di critica teatrale diretto da Andrea Porcheddu con Roberta Ferraresi presso la Biennale Teatro. Nell'agosto dello stesso anno prende parte al workshop di critica teatrale di Teatro e Critica condotto da Andrea Pocosgnich nel contesto del Festival Orizzonti di Chiusi. Collabora con Teatro e Critica da ottobre 2024.

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