Questa recensione fa parte di Cordelia di marzo 25

Elena Bucci e Marco Sgrosso da decenni fanno (anche) biografia di sé (e del mestiere/destino che hanno scelto) usando trame altrui. Ficcati in scena, tra luci fioche, polvere, vecchi arredi. Un camerino alluso con un telo, come in Risate di gioia, impegnati a «parlare, parlare sempre» come Attilio e Carlotta in Recita dell’attore Vecchiatto. Ora interpretando la rabbia di Thomas Bernhard, ora usando per belletto la vita della Pezzana, di Eleonora Duse o dei suggeritori del teatro all’antica di Tofano. I capelli bianchi di lui che vibrano quando s’infuria; lei che ride appena appena, sgualcendo un viso livido come una maschera di cera. Capita, mi sembra, anche in Delirio a due. in cui la coppia sta tra arredi teatrali ripresi da un deposito più che in una casa dissestata dalle granate: pannelli, trespoli, lampade e uno specchio, una poltrona, un posacenere, un giradischi con altoparlante, un lampadario a sei luci, di cui tre in funzione. Fuori il sonoro di guerra (l’assedio guasto della realtà), dall’alto cade calce che somiglia al borotalco, litigano sul nulla (la tartaruga e la chiocciola sono la stessa bestia?) odiandosi da testo, insopportabili negli anni l’una all’altro, senza sapersi, volersi o potersi separare. Lui che vagheggia carriere mai avute, «sarei potuto essere un pittore», lei che abbellisce esistenze sciupate: «mio marito era un materassaio-artista». Ogni tanto un ballo o una canzone, in memoria di chissà che tempi. «Sei un imbecille», «e tu mi secchi e quando non mi secchi mi secchi lo stesso» ma non bisogna credergli, non più di tanto almeno. Perché se lo scoppio è forte si stringono («sei ferita?», «sei ferito?» all’unisono) con lei che s’appoggia all’avambraccio di lui, con lui che la tiene come per dirle «non aver paura». Tant’è, tremendi sono invece gli istanti in cui non recitano alcuna lite e stanno da soli, come due mucchietti: in ginocchio lei tra penombra e luce calda, lui in poltrona, a occhi sbarrati. Viene in mente la disperazione di Eduardo nei giorni di sosta: o sto in teatro o questa mia, infine, non è vita. (Alessandro Toppi)
Visto a Galleria Toledo. Di Eugène Ionesco, con Elena Bucci e Marco Sgrosso, drammaturgia del suono di Elena Bucci e Raffaele Bassetti, luci di Loredana Oddone, cura del suono Raffaele Bassetti, scene Giovanni Macis e Michele Sabattoli, regia di Elena Bucci e Marco Sgrosso, produzione Le Belle Bandiere, TPE-Teatro Piemonte Europa, Centro Teatrale Bresciano, con il sostegno di Regione Emilia-Romagna.