Questa recensione fa parte di Cordelia di marzo 25
C’è un filo invisibile, un comune riflesso, un’impronta ospitale in questi tre lavori, diversi e temporalmente distanti, eppure segnati da una stessa amicizia: ed è quella con la cultura performativa europea. Qui si tiene insieme la musica di J.S. Bach al cànone come metodo compositivo nonché al genere del teatrodanza quale memoria culturale. (Quando i baroni dell’accademia italiana mi bocciavano continuamente a tutti i concorsi universitarî perché considerato fuori lobby e figlio di ignoti, o meglio da ignorare, da ignoranti, solo presso i programmi di finanziamento della commissione europea trovai pronta risposta e libero sostegno ai progetti di ricerca anche di vita che ostinato inseguivo.) La serata del Ballet Junior de Gèneve vista al Teatro Comunale di Vicenza per Danza in Rete Festival è senz’altro composita. Eppure perfettamente armonizzata, non solo dai contenuti ma anche dagli straordinari interpreti: 20 e più giovanissim*, tutt* da applaudire. Il primo lavoro è Touch Base di Marne Van Opstal, il suono è “period”: violini e clavicembalo dal repertorio concertistico bachiano. E il contrasto non potrebbe essere maggiore: questo fare il punto (nel titolo) traduce proprio uno stare al passo. Qui, tra movimenti collettivi, scatti decisi, duetti frizzanti continuamente intervallati da prese vigorose e spezzature continue, un contrappunto visivo prende forma capace di generazione continua di immagini sonore e di gestualità astratte di grande musicalità. Il secondo ha un titolo bellissimo, Tenir le temps, di Rachid Ouramdane. Ed è un lavoro in cui il principio del cànone costruisce e dissolve gerarchie di movimento, in un loop ritmico (e percussivo) da piano preparato di Jean-Baptiste Julien. Una mobilità di schiere, di file, di incroci e passaggi creano un’intensa visualizzazione musicale. La questione che si pone è semplice: chi tiene il tempo affinché tutto funzioni? chi domina il tempo per guidare e comandare senza però soverchiare, opprimere, tiranneggiare? Il terzo lavoro, «triste e divertente», è di Barak Marshall, Rooster, ispirato a un racconto di Isaac Leib Peretz in cui si processa il qualunquismo passivo di un uomo irrimediabilmente qualunque. (Stefano Tomassini)
Visto al Teatro Comunale di Vicenza, Festival Danza in Rete: Crediti completi