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A Place of Safety di Kepler è un documentario e un atto politico

Recensione. A Place of Safety è il nuovo spettacolo di Kepler-452 e racconta l’attività di soccorso in mare di una Ong, la Sea-Watch. Visto al Teatro Arena del Sole di Bologna.

Foto Luca Del Pia

A Place of Safety è, nel lessico del mare, un “porto sicuro” che viene assegnato dalle autorità dei paesi europei alle ONG che hanno concluso le operazioni nella zona SAR (Search and Rescue) nel Mediterraneo, vicino al confine nord della Libia. Il presupposto per la compagnia teatrale italiana Kepler-452, nelle persone di Nicola Borghesi e Enrico Baraldi, nel decidere di prendere parte a una missione della ONG tedesca Sea-Watch e imbarcarsi nell’estate del 2024 per realizzare questo spettacolo che ha debuttato al Teatro Arena del Sole di Bologna il 27 febbraio, è una domanda: l’Europa è un porto sicuro?

Foto Luca Del Pia

È difficile scrivere di questo spettacolo senza inciampare nel banale perché la verità esposta su quel palcoscenico è impressionante e, spesso, ignorata. Il primo effetto che A Place of Safety ha sul pubblico è lo spaesamento. L’esposizione dei fatti è sin dall’inizio di una tale chiarezza che sentiamo di non sapere quasi nulla di questo tema tanto discusso nel nostro paese: “il Mediterraneo è una tomba” non è la frase a effetto con cui si può iniziare a parlare di immigrazione clandestina, è la realtà dei fatti. Il più grande valore di quest’opera, che si inserisce perfettamente nell’ambito del “teatro documentario”, è infatti l’assenza quasi totale di pathos. La narrazione non sfrutta l’elemento emotivo del senso di colpa occidentale e borghese a cui ci ha abituati talvolta la compagnia emiliana nell’affrontare sempre tematiche contemporanee. Per la prima volta l’intento di documentare e trasmettere le storie non scritte del nostro presente ha la meglio e fa di questo uno spettacolo riuscito.

Ognuno degli attori in scena insieme a Nicola Borghesi, che fa da tramite tra quel mondo (la vita sull’imbarcazione Sea-Wacht 5) e il nostro (la terra ferma della sala teatrale, un vero posto sicuro), è un membro dell’equipaggio e ognuno si presenta raccontando la sua esperienza realmente vissuta. Ognuno ha un bagaglio che si porta dietro da anni e affronta la missione in modo diverso. Soprattutto ognuno parla la propria lingua, quella delle sue origini, e anche l’inglese comune a tutti. Tutto lo spettacolo è sovratitolato in inglese con l’aspirazione di rivolgersi a un pubblico internazionale.

Nel prologo Miguel Duarte apre la scena nel buio, un faro lo illumina dall’alto e vicino a lui una montagna di giubbotti salvagente e un ponte levatoio sospeso. “Mi tremavano le gambe” dice ripensando alla prima missione, e quella paura ce la fa sentire, come la stanchezza e l’incertezza di essere nel posto giusto. Miguel oggi è capo missione ma quel tremore interrompe i pensieri ogni volta che l’attesa diventa un misto di speranza di non avvistare una barca e speranza di avvistarla. Lui è il “personaggio” che mette in campo più emotività nel raccontare le vicende che lo riguardano e a lui sono affidati i punti salienti dello spettacolo. Forse per attitudine personale, per una certa generosità narrativa o forse per una scelta strettamente registica, comunque Miguel non sembra mai fingere, quando alza i toni l’esasperazione che gli sentiamo nella voce, la disperazione sul volto, è sempre reale. Per Miguel la missione è resistere.

Suo contrapposto è Josè Ricardo Peña, la disciplina non gli piace, non lo convince l’idea di restare serio e di piegarsi alle regole. Il suo compito in questo spettacolo e, ancor prima, nella missione, pare quello di allentare la tensione. Si presenta infatti come il “pagliaccio di bordo” intento a riequilibrare la sofferenza della nave. Figlio di immigrati messicani, è nato negli Stati Uniti ed è un elettricista Ha scelto di imbarcarsi per due ragioni: in primis perché l’eredità della sua famiglia trovi un senso nel soccorso ad altri migranti, poi perché lavorare per una qualsiasi azienda statunitense o europea sarebbe significato incoraggiare il capitalismo contro cui ha fondato tutta la sua vita, la sua strategia di sopravvivenza potremmo dire. Josè è latino e quindi, da buono stereotipo, è chiassoso, è il caos. Un bellissimo dialogo tra lui e Miguel (riportato a seguire), posto non casualmente al centro dello spettacolo, rivela la vera essenza del personaggio e ci riconduce per un attimo al fool shakespeariano.

M: “Josè why do you always do this?”

J: “Do what?”

M: “You know, shout at everybody, piss everybody off”

J: “It’s a good question. I don’t know. Maybe it’s my search for connection. We rescue these people, we pretend they’re saints, we pretend we are saints. But they come with trauma, we whant them to be assimilated, quiet. But they are chaotic. We don’t want to deal with chaos, but it is a part of life. I’m chaotic, I was raised in chaos, you guys wouldn’t survive a minute in the nuthouse I grew up in. If you want to rescue them, to deal with them, you have to accept chaos.

In scena anche Floriana Pati e Flavio Catalano. La prima è un’infermiera di Emergency, sulla nave ci è salita per abbandonare un lavoro ospedaliero che l’aveva resa instabile, al limite delle forze. Questa è una condizione paradossale che però trova appagamento nella missione. Flavio invece è un ex militare della marina in pensione che lavora sulla Life Support, la nave di Emergency. La sua storia è una perenne scoperta in cui raggiunta una consapevolezza ne viene meno un’altra.

Foto Luca Del Pia

Giorgia Linardi è la portavoce della Sea-Watch, si è sempre e solo occupata di questo da tutta la vita. Lei è su questo palcoscenico la portavoce anche della legge e quella che ci costringe ad aprire gli occhi sulla situazione politica. Racconta di aver iniziato nel 2015 quando sono comparse le prime ONG nel Mediterraneo, si è imbarcata con un gruppo di marinai di Amburgo su uno scafo che ci impiegava 35 ore per raggiungere il confine libico partendo da Lampedusa. Ha perso il rispetto della sua famiglia, degli amici, è stata considerata “una pazza”. Le condizioni di viaggio erano rischiose e al limite della sopravvivenza, ricorda, però la collaborazione della Guarda Costiera italiana in quegli anni era una parte fondamentale dell’operazione delle ONG che si limitavano al soccorso affidando poi alle autorità l’approdo nel porto sicuro delle centinaia, spesso migliaia di persone che riuscivano a salvare. La cooperazione era ad un altro livello. Il suo personaggio è un concentrato di diritti e denunce. Tramite lei percepiamo il lato oscuro della missione che spesso, di fronte alle difficoltà dei confini, sembra inutile. Quasi tutti i missionari, specie i portavoce e i capi missione sono accusati di crimini impossibili da concepire sia dai governi che dall’opinione pubblica. Considerati trafficanti di esseri umani, pirati, scafisti, taxi del mare. Uno dei meriti di A Place of Safety è la riabilitazione delle ONG rispetto al discorso politico mettendo in luce il grande contrasto che comporta l’esposizione pubblica.

Foto Luca Del Pia

Nell’epilogo Nicola Borghese monologa al suo modo consolidato mentre dietro di lui scorrono le immagini di una grande festa sul ponte della nave. La missione è finita, il porto è lì. Tutte le persone rimaste in vita cantano e danzano insieme, sorridono. Sono felici, hanno speranza. Decide che sarà quello il suo ultimo articolo. Per tutta la durata della missione aveva pubblicato dei report, un diario di bordo, ma ora che legge i commenti di scherno ricevuti sui social il contrasto tra quell’euforia che ci mostra e le sue parole è spiazzante. Nicola non si arrende e di quella festa, ne scrive e ce la fa vedere come “l’unico posto sicuro che io abbia mai incontrato”. La festa è l’epilogo più teatrale che potevamo immaginare. L’unico momento in cui i confini si allargano e si aprono. L’unico momento in cui la vita di tutti ha lo stesso significato. È un hic et nunc inevitabile.

La drammaturgia si costruisce sfruttando il lessico proprio delle operazioni in mare, queste ci vengono descritte nel dettaglio ma la realtà che viene esposta, se pur scevra da qualsiasi volontà di enfatizzazione, usa gli strumenti del teatro: ci troviamo in presenza di messaggeri della tragedia greca. Raccontandoci dei salvataggi, delle ferite, dei loro compiti personali, della morte raccontano la tragedia del mare senza mostrarcela. Una scelta decisamente importante che fanno i Kepler-452 è infatti quella di non coinvolgere nello spettacolo i migranti stessi evitando il gesto paternalistico di passare il microfono alla vittima.

Foto Luca Del Pia

Come si può immaginare quindi un racconto del Mediterraneo senza migranti? Il punto di vista è quello di chi vive sui confini protetti e decide volontariamente di dedicare la vita a uno scopo più grande che resiste alla politica internazionale. “Rendere contagiosa la libertà di movimento” è un gesto dal valore incredibile.

Questo è uno spettacolo che indubbiamente mette in crisi la critica teatrale per diverse ragioni. Dal punto di vista del linguaggio si tratta di una serie di monologhi in cui gli oggetti di scena vengono usati maldestramente e forse potrebbero non esistere e dal punto di vista dell’estetica la scenografia imponente non è usata in maniera preponderante se non per le proiezioni delle riprese di Enrico Baraldi. Ma l’interesse è politico e allora anche la scelta di usare una scenografia tanto impegnativa (dal punto di vista della distribuzione) potrebbe essere anch’essa una scelta politica: a quante persone è destinato questo spettacolo? A quanti paesi? Dovrebbe girare i teatri nazionali, certo, ma punta sicuramente all’Europa. L’ambizione che sta dietro a queste scelte è, per noi, evidente e mette in crisi soprattutto il nostro modo di parlarci e di parlarvi di teatro perché sconfina il limite della sala e supera tutte le nostre idee.

Foto Luca Del Pia

Quante volte ci siamo chiesti: come l’ha presa il pubblico? Spesso il nostro atteggiamento di fronte a una compagnia italiana ancora definita “giovane” che si presta per la prima volta al grande palcoscenico è scettico. Ci aspettiamo che la prova del fuoco del grande pubblico metta in evidenza quelle che sono le difficoltà estetiche e performative su cui fondiamo dubbi o speranze. E queste difficoltà spesso accadono, prendono forma così nitidamente da farci storcere il naso. Eppure, l’entusiasmo del pubblico qui è di tipo diverso perché, se alla fine dello spettacolo dai palchi dell’Arena vengono giù le bandiere di Mediterranea Saving Humans e persino la galleria straripa di gente in ovazione, se la sala è sempre sold out tanto da far immaginare che si potesse dare più spazio a questo spettacolo in stagione, se il passaparola tra fasce generazionali diverse funziona più della pubblicità cartellonistica, significa probabilmente che di questa operazione c’era bisogno. E che tutte le nostre perplessità passano in secondo piano rispetto al suo valore politico. In definitiva questo spettacolo ci mette in crisi, ma la crisi è parte del nostro mestiere. È il momento storico ideale perché la mediazione culturale che tentiamo ostinatamente di portare avanti assuma nuove forme.

Silvia Maiuri

Bologna Marzo 2025, Teatro Arena Del Sole

A PLACE OF SAFETY

ideazione Kepler-452
regia e drammaturgia Enrico Baraldi e Nicola Borghesi
con le parole di Flavio Catalano, Miguel Duarte, Giorgia Linardi, Floriana Pati, José Ricardo Peña
con Nicola Borghesi, Flavio Catalano, Miguel Duarte, Giorgia Linardi, Floriana Pati, José Ricardo Peña
assistente alla regia Roberta Gabriele
scene e costumi Alberto Favretto
disegno luci Maria Domènech
suono e musiche Massimo Carozzi
consulente per il movimento Marta Ciappina
progetto video Enrico Baraldi
consulente alla drammaturgia Dario Salvetti
direttrice di scena Alessia Camera
aiuto macchinista e attrezzista Aura Chiaravalle
capo elettricista Lorenzo Maugeri
tecnico audio Andrea Melega
tecnico video Salvatore Pupù Pulpito
sarta Elena Dal Pozzo
assistente alla regia volontario e video editor Alberto Camanni
scene costruite nel Laboratorio di Scenotecnica di ERT
produzione Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, Teatro Metastasio di Prato, CSS Teatro stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia, Théâtre des 13 vents CDN Montpellier (Francia)
in collaborazione con Sea-Watch e EMERGENCY

video dello spettacolo Vladimir Bertozzi
foto di scena Luca Del Pia

si ringrazia Giovanni Zanotti per il fondamentale contributo alla drammaturgia

Il progetto gode del sostegno del bando Culture Moves Europe, finanziato dall’Unione Europea e dal Goethe-Institut

foto di Dario Bosio / EMERGENCY ONG Onlus

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