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TOTENTANZ, MORGEN IST DIE FRAGE (di Marcos Morau)

Questa recensione fa parte di Cordelia di febbraio 25


È incredibile come Marcos Morau sia riuscito a rendere noiosa la morte (e senza nemmeno riuscire a esorcizzarla). Tutta la retorica possibile del e sul caro estinto non è mancata nel suo Totentanz, Morgen ist die Frage (stage version) per La Veronal al Festival Fog della Triennale di Milano. Tra il solito dispendio di fumo e tanto buio, il neon effetto obitorio da far altalenare nell’aria (o a effetto croce per terra per rituali sempre un po’ così-così), e con sul palco tanto di barelle per dissezioni anatomiche e cadaveri/manichini/spettri da agitare per aria che però impressionano pochissimo. E poi suoni d’organo che montano e minacciano, pure le campane che toccano a morto, la solita bandiera nera sventolata a li mortacci tua, e i noiosi cluster continui tutti orchestrati sui movimenti inesausti, prevalentemente a scatti, dei quattro performer (bell* & brav*), come in un insopportabile videogioco. Quel che ne risulta insomma è un clima più da risibile fumetto che da carnevale «di una disperata vitalità». Quali segreti sulla fine qui si svelano? Nessuno, tranquilli. Davvero non ho mai avuto la percezione di sapere dove la performance volesse o potesse andare a parare. Nel mezzo, un video mix degli orrori e degli squartamenti di ogni tipo e tempo, coi volti dei cattivi della nostra storia, in una temporalità talmente veloce da non creare mai un vero caso. L’orrore esposto come in vetrine viste in corsa. Poteva già bastare. E poi il finale, in una sorta di rave poco credibile, molto fuori luogo. Morau è artista dal forte immaginario visivo, molto organizzato in termini espressivi ma pochissimo coreografico, per cui io credo abbia bisogno di drammaturgie forti e chiare, solide e vorrei anche scrivere necessarie. A questo giro tutto è sembrato senza idee, sforzato in una soluzione produttiva impropria e soffocante, un poco acchiappacitrulli. Morau dovrebbe fermarsi, e riflettere, su cosa è più necessario per lui, come poter chiarire la sua ricerca, se ne ha una, e come impedire che la sua identità diventi merce di pronta cassa pei mercanti nel tempio, ossessionati dall’iperproduttività d’oggidì. (Stefano Tomassini)

Visto alla Triennale Idea e direzione artistica: Marcos Morau Direzione di produzione: Juanma G. Galindo Coreografie: Marcos Morau in collaborazione con gli interpreti Con: Ignacio Fizona Camargo, Valentin Goniot, Fabio Calvisi, Lorena Nogal Drammaturgia: Roberto Fratini Direzione tecnica e gestione del palcoscenico: David Pascual Progetto sonoro e musiche originali: Clara Aguilar Video design: Marcos Morau, Marc Salicrú, Marina Rodríguez, Albert Pons Design dei costumi e degli spazi: Marcos Morau Produzione e logistica: Cristina Goñi Adot, Àngela Boix Maschere e burattini: Juan Serrano – Gadget Effectos Especiales e Martí Doy Una produzione di: La Veronal In coproduzione con: Triennale Milano, Teatre LLiure, Temporada Alta – Festival internacional de Catalunya, Girona/Salt, Madrid Festival de Otoño Con il sostegno di: INAEM – Ministerio de Cultura de España e ICEC – Departament de Cultura de la Generalitat de Catalunya Con il contributo di: Regione Lombardia

Cordelia, febbraio 2025

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Stefano Tomassini
Stefano Tomassini
Insegna studi di danza e coreografici presso l’Università Iuav di Venezia. Nel 2008-2009 è stato Fulbright-Schuman Research Scholar (NYC); nel 2010 Scholar-in-Residence presso l’Archivio del Jacob’s Pillow Dance Festival (Lee, Mass.) e nel 2011, Associate Research Scholar presso l’Italian Academy for Advanced Studies in America, Columbia University (NYC). Dal 2021 è membro onorario dell’Associazione Danzare Cecchetti ANCEC Italia. Nel 2018 ha pubblicato la monografia Tempo fermo. Danza e performance alla prova dell’impossibile (Scalpendi) e, più di recente, con lo stesso editore, Tempo perso. Danza e coreografia dello stare fermi.

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