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SCENE DA UN MATRIMONIO (di I. Bergman, regia R. T. Vogel)

Questa recensione fa parte di Cordelia di gennaio 25

Partire da uno dei capolavori di Ingmar Bergman non è mai un compito facile. Il rischio di creare un feticcio è alto, come quello di appiattire l’acutissima l’introspezione psicologica che da sempre ha caratterizzato le opere del noto regista. Partire da Ingmar Bergman con due attori come Sara Lazzaro e Fausto Cabra richiede uno sforzo registico anche maggiore: la capacità di integrare in scena due spiriti camaleontici e dalla forza comunicativa prorompente, di far sì che entrino nei personaggi senza fagocitare bulimicamente la trama di cui sono protagonisti e di far respirare il teatro in un’opera cinematografica di cinquant’anni fa è tutta del regista Raphael Tobia Vogel, che già nei suoi lavori precedenti aveva dimostrato di aver consapevolezza nel gestire l’intricato complesso dei sistemi relazionali, delle dinamiche di coppia. Vogel collabora con Alessandro D’Alatri per l’adattamento teatrale e Nicolas Bovey per la realizzazione della scenografia – che si rivela fredda, nordica per ispirazione nei suoi toni grigi, asfittici e di una linearità disarmante – mostrandosi regista fedele all’originale ma anche generoso nelle scelte attoriali. Sara Lazzaro è Marianna, una donna “pre-impostata”, che non sa definirsi se non in rapporto alla sua funzione o ruolo sociale. Madre, moglie, figlia, il suo disorientamento esistenziale è apatico e la sua tonalità vocale sempre tendente verso l’alto, come se si aprisse costantemente al dubbio. Fausto Cabra è il marito Giovanni, un uomo meschino e spesso ubriaco che le è infedele, e che dimostra così, attraverso il tradimento, l’incapacità a comunicare l’insofferenza per la coppia, logorata dalle abitudini vuote e dalla falsa apparenza. L’illusione di una famiglia felice. Nell’allontanamento dal nucleo famigliare, Giovanni perde se stesso ma pone le basi per il riscatto di entrambi, la separazione non è più solo cesura ma motivo di ricerca interiore, la possibilità ultima di fuoriuscire dal proprio rigido incasellamento. Si ritrovano, alla fine di tutto, e si confessano come chi ha capito d’essere realmente cambiato. “Alla fine – ammettono – siamo riusciti a diventare umani”. (Andrea Gardenghi)

Visto al Teatro Franco Parenti. Crediti: di INGMAR BERGMAN, traduzione italiana Piero Monaci, adattamento teatrale Alessandro D’Alatri, regia Raphael Tobia Vogel, con Fausto Cabra e Sara Lazzaro, scene Nicolas Bovey, luci Oscar Frosio, musiche Matteo Ceccarini, costumi Nicoletta Ceccolini, contenuti e montaggio video Luca Condorelli, produzione Teatro Franco Parenti

Cordelia, gennaio 2025

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Andrea Gardenghi
Andrea Gardenghi
Andrea Gardenghi, nata in Veneto nel 1999, è laureata all’Università Ca’ Foscari di Venezia in Conservazione e Gestione dei Beni e delle Attività Culturali. Prosegue i suoi studi a Milano specializzandosi al biennio di Visual Cultures e Pratiche Curatoriali dell’Accademia di Brera. Dopo aver seguito nel 2020 il corso di giornalismo culturale tenuto dalla Giulio Perrone Editore, inizia il suo percorso nella critica teatrale. Collabora con la rivista online Teatro e Critica da gennaio 2021.

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