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MILLENOVECENTO89 (Le Cerbottane)

Questa recensione fa parte di Cordelia di febbraio 25

Foto Claudia Borgia

Millenovecentottantanove. Una data, in principio. Ma una data che è pure una fine. La storia, per come la conosce chi è nato e si è formato nel Novecento, conclude in anticipo il secolo proprio in quella data. E non è soltanto per la caduta del Muro di Berlino, per la trasformazione del PCI via via in un covo di boyscout, a generare questa convinzione è la diffusa sensazione di vertigine che coglie il passaggio da un mondo definito, chiaro, a un altro che invece adotterà il caos e la velocità, sua sorella, come nuovi miti del presente. Lo spettacolo che Le CerbottaneLaura Pizzirani e Francesca Romana Di Santo – hanno portato sul palco dell’Angelo Mai ha per titolo proprio questa data, o meglio: Millenovecento | 89, il secolo intero e il numero in coda che lo fa detonare. Le due attrici sono in scena due bambine che raccolgono il cambiamento epocale per il riflesso che porta nella loro vita, in parte consapevoli mutuando le parole dei grandi, in parte prese da uno smarrimento che emerge e si diffonde grazie agli squarci nel tempo, che riportano alla luce un certo modo di osservare e considerare la società, la preminenza della politica nel dibattito dentro e fuori la famiglia, ma allo stesso tempo anche la lassità di una classe dirigente creduta indissolubile e invece fagocitata da vanità e vigliaccheria. Squillano i telefoni della sede di partito, Marx si collega e prova a capire cosa sia accaduto, nessuno – e non solo le bambine – sa darsi una spiegazione eppure a breve, dopo un paio di mesi appena, sarà già il 1990, l’inizio dell’epoca successiva che getterà una coltre di soubrette e televendite su quella appena trascorsa. Pizzirani e Di Santo, due bambine immerse nella palude di fine secolo ma che forse volevano solo diventare Jem e le Holograms, costruiscono uno spettacolo per quadri divertenti e al contempo profondi, fanno teatro politico con pochi e solidi mezzi, soltanto nel tentativo di alleggerire una materia grave si avverte ci sia ancora un’indagine da svolgere, come se il punto non fosse ancora raggiunto e la verità più nuda su quel che siamo stati fosse, inequivocabile, in quel che ora (non) siamo. (Simone Nebbia)

Visto all’Angelo Mai. Crediti: Testo e messa in scena Laura Pizzirani e Francesca Romana Di Santo; Tecnica Camila Chiozza; Organizzazione e promozione Veronica Arietto; Una produzione Le Cerbottane; in collaborazione con AtelierSì , Angelo Mai e POLIS Teatro Festival

Cordelia, febbraio 2025

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Simone Nebbia
Simone Nebbia
Professore di scuola media e scrittore. Animatore di Teatro e Critica fin dai primi mesi, collabora con Radio Onda Rossa e ha fatto parte parte della redazione de "I Quaderni del Teatro di Roma", periodico mensile diretto da Attilio Scarpellini. Nel 2013 è co-autore del volume "Il declino del teatro di regia" (Editoria & Spettacolo, di Franco Cordelli, a cura di Andrea Cortellessa); ha collaborato con il programma di "Rai Scuola Terza Pagina". Uscito a dicembre 2013 per l'editore Titivillus il volume "Teatro Studio Krypton. Trent'anni di solitudine". Suoi testi sono apparsi su numerosi periodici e raccolte saggistiche. È, quando può, un cantautore. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo Rosso Antico (Giulio Perrone Editore)

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