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Il comunicato di Al.Di.Qua.Artists sulla prospettiva abilista a Sanremo

Riceviamo e pubblichiamo il comunicato del collettivo Al.Di.Qua.Artists che commenta la serata di Sanremo del 13 febbraio – quella in cui è stata ospitata la compagnia del Teatro Patologico –  e riflette sulla prospettiva abilista che in questo e altri casi emerge quando si parla di persone con disabilità.

Pur riconoscendo lesistenza di molteplici generi abbiamo scelto di utilizzare in questo testo il femminile sovraesteso per agevolare la lettura e renderla più accessibile

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Giovedì 13 Febbraio si è svolta la terza serata del Festival di Sanremo e l’articolata, complessa, ampia e stratificata comunità di persone con disabilità italiana ha visto sgretolarsi in diretta Rai anni di discussioni e lotte sul diritto ad autodeterminarsi, sulla qualità della rappresentazione delle proprie vite, sul  linguaggio oppressivo e sulla prospettiva abilista.

A prendere parola con questo comunicato è Al.Di.Qua.Artists – Alternative Disability Quality Artists, associazione italiana di categoria di artiste e artisti con disabilità. Siamo persone accomunate dall’essere lavoratrici e lavoratori dell’arte e dello spettacolo con disabilità fisiche, motorie, sensoriali, visibili, invisibili, collocate nello spettro delle neurodivergenze. Da queste posizioni molteplici e sfaccettate viviamo la nostra vita da cittadine e quindi anche da spettatrici Rai.

Ciò che è accaduto Giovedì non è stato un fulmine a ciel sereno ma l’occhio di un ciclone, anticipato nelle giornate precedenti da piogge che da lievi si sono fatte insistenti. La prima serata ha portato una piacevole pioggerella primaverile. L’edizione 2025 del Festival si è infatti aperta con il doveroso e rispettoso omaggio al musicista Ezio Bosso venuto a mancare nel 2020 e giustamente ricordato per la sua professionalità internazionalmente riconosciuta.

Il secondo giorno la pioggia si è fatta decisamente più disturbante. È stato un evento atmosferico con acquazzone e vento molesto quello dedicato al ricordo di Sammy Basso, attivista con disabilità morto nel 2024. Se di Ezio Bosso abbiamo sentito la musica, di Sammy Basso c’è stata concessa solamente una foto di spalle in braccio a Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti, mentre non veniva ricordato per le sue competenze e il suo lavoro da divulgatore e attivista, ma come persona che amava la vita nonostante tutto, era sempre in braccio a Jovanotti, pesava come una mela, la gente impazziva per lui, ci ha insegnato tante cose. Un ritratto generico, approssimativo, violento per l’annullamento della persona a favore di un iperattenzione sulla peculiarità del corpo.

Dopo due serate in cui persone vive e abili ricordavano professionisti morti e disabili, pensavamo che le autrici e gli autori del programma si sarebbero fermati considerando esaurito il loro momento disabilità nel festival, tecnicamente “inspirational porn”, invece no. 

Da persone vive in dialogo con persone altrettanto vive, vorremmo adottare la buona pratica di chiamare per nome le nostre interlocutrici. Con questo comunicato ci stiamo rivolgendo solo ed esclusivamente a chi firma la settantacinquesima edizione del Festival di Sanremo: chiamiamo in causa il direttore artistico Carlo Conti e le autrici e gli autori Mario DAmico, Emanuele Giovannini, Ludovico Gullifa, Lavinia Iannarilli, Giancarlo Leone, Ivana Sabatini, Walter Santillo e Leopoldo Siano. A voi chiediamo conto delle scelte tematiche, lessicali, di regia e di tempistica messe in atto per la costruzione del momento dedicato alla compagnia romana Teatro Patologico.

Dopo due serate in cui per la quota disabili (termine che utilizziamo con dichiarato tono provocatorio) sono state scelte persone decedute, quindi raccontate da altre persone, anche il terzo giorno Carlo Conti, pur invitando una compagnia costituita da persone con disabilità, Teatro Patologico, decide di dare la parola al regista, l’unico normativamente abile e quindi avente diritto di essere presentato per nome, Dario D’Ambrosio, con le seguenti parole:

Una persona molto forte, una persona straordinaria () un attore e un regista che ha messo il suo talento e la sua vita al servizio di chi soffre di disabilità fisiche e psichiche.

Se le autrici e gli autori del Festival di Sanremo fossero aggiornati sul ricco dibattito che si agita intorno alle tematiche legate alla rappresentazione delle persone con disabilità, non avrebbero bisogno di noi per capire l’effetto disastroso di questa apertura sugli immaginari collettivi. Nei concitati tempi televisivi questa introduzione stabilisce la rigida cornice che recinterà l’intero intervento di Teatro Patologico: le persone abili e di talento con straordinaria (quindi eccezionale, non dovuta, fuori dall’ordinario) forza (connessa all’idea di fatica, peso, sforzo e sacrificio) si mettono al servizio (definendo con precisione una gerarchia che da questi termini ne esce rafforzata invece che discussa) di chi soffredi disabilità fisiche e psichiche. Risulta quindi chiara la formazione di due soggetti: da un lato una persona di cui viene fatto nome e cognome e che viene raccontata come ricca di talento, professionalità, forza, personalità fuori dall’ordinario, spirito di abnegazione e generosità; dall’altro un unico macro soggetto, ovvero un gruppo di esseri umani senza nome, cognome, caratteristiche personali, talenti specifici, competenze innate o acquisite,  ma tutte accomunate dalla sofferenza della disabilità. Perché in questo Sanremo 2025 per la disabilità (termine utilizzato in maniera talmente vaga e inafferrabile da perdere senso) si soffre e si muore.

Fine!

Non si vive, non si lavora, non ci si innamora, non si coltivano passioni, non si fa sesso, non si nuota, non si cammina in montagna. Si nasce, si soffre, si muore.

Si fanno soffrire i familiari!

Dopo aver presentato l’unica persona della compagnia degna di nome, cognome e umanizzazione, si è scelto di utilizzare il restante tempo a disposizione non per presentare le persone in scena, ma per parlare delle sofferenze dei loro familiari. Di nuovo:  i soggetti, i protagonisti della storia non sono le persone disabili, ma quelle abili che le circondano.

La questione della tremenda solitudine in cui le persone disabili – NOI, siamo NOI le prime persone di cui si deve parlare – e i nostri nuclei familiari vengono lasciate dallo Stato è una questione serissima che riguarda proprio le scelte di quella politica di cui il direttore artistico Carlo Conti ha dichiarato di non volersi occupare. Se non c’è l’interesse ad approfondire gli spinosi e costanti tagli al terzo settore, le disparità economiche regionali e di classe sociale, le carenze sanitarie e di collocamento mirato, l’assenza strutturale dei progetti di vita indipendente e dei finanziamenti per l’assistenza ad personam…se non ci si vuole sporcare le mani con la politica allora che si abbia l’accortezza di non azzardarsi nemmeno a sfiorare con superficialità tematiche importantissime che determinano la qualità della vita, e talvolta la vita stessa, delle persone disabili del nostro problematico Bel Paese.

Gentili autori e autrici del Festival di Sanremo, Gentile direttore artistico, la retorica scritta malamente genera fraintendimenti e se fatta con superficialità dal Teatro Ariston in prima serata quei fraintendimenti possono mettere radici e diventare pericolosi.

Giovedì sera, a causa della vostra carenza di studio sull’abilismo, probabilmente dovuta all’assenza di confronto con la comunità di riferimento, che c’è, è viva e sa benissimo come vuole essere rappresentata, avete trascinato il discorso collettivo sulla narrazione delle persone disabili indietro di 30 anni. Ora voi vedrete le vostre fatture saldate e tornerete ad occuparvi di costume e società mentre Noi, che non riusciamo a vedere riconosciute le nostre professionalità, noi a cui l’attuale Governo Meloni ad oggi non ha rinnovato l’unico bando che finanziava la circuitazione in Italia di artisti con disabilità, noi che ci battiamo per la professionalizzazione delle artiste con disabilità, che reclamiamo percorsi di alta formazione accessibili e immaginari più complessi, Noi restiamo qui, senza sussidi né potenza mediatica, a fare i conti con le macerie che voi avete generato con il vostro uragano disimpegnato e violento.

Non basta rappresentare la disabilità sul palco dell’Ariston per pareggiare i conti, serve capire come farlo, serve rilanciare le rappresentazioni, serve interrogarsi con le soggettività di riferimento. Serve chiamare per nome queste soggettività, perché sono identità mutevoli e sfaccettate che strabordano i confini delle diagnosi. Non vogliamo dare spettacolo, alcune di noi fanno spettacolo per professione. Il buon cuore e le buone intenzioni non coprono i diritti che ci mancano. Il pietismo non ci dà la forza che voi dite di ricevere da noi.

Non siamo sale per le vostre vite, non siamo solo condimento, siamo vite.

Al.Di.Qua.Artists

14/02/2025

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