Quando si incontra nuovamente il pensiero di un artista rimasto silente per un periodo – e nel processo creativo i tempi sono sempre relativi, possono essere percepiti come più brevi o più lunghi di quanto lo siano nella realtà – si prova un sentimento di rinata impreparazione da parte di chi osserva. Lo sguardo non è mai scevro dai filtri, quelli della pratica ovvio, quelli del momento, a cui si aggiungono in circostanze simili anche quelli relativi all’evolversi delle poetiche, alla vita che incide sulla persona e quindi sull’opera, alle aspettative, che non mancano mai.
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Così è stato per la visione di ZOKKOLE di Dante Antonelli, primo studio e esito di un laboratorio durato per quasi due anni e presentato a inizio mese allo Spazio Recherche, a Tor Pignattara. Nella scena illuminata dal candore opalescente dei neon, con tendaggi bianchi a delimitare lo spazio, il pubblico incontra sette performer nei panni di sex workers e loro clienti. Formano una schiera in latex di fronte al pubblico: eccentrica, provocante, aggressiva. Prima di tutto presentano i loro corpi, toccando seni, cosce, glutei, tirando fuori la lingua e aprendo le gambe. Poi, iniziano a parlare. Emerge, nella brevità di un lavoro ancora grezzo e in divenire ma autonomo per ideazione, un’autenticità interpretativa che sbaraglia, che dice senza trattenersi e che ci racconta di un comportamento lisergico e istintuale, provocante tanto nei ruoli passivi che attivi, i quali mettono in crisi le regole della socialità presentando di essa una prospettiva laterale. Sono volti, confessioni, pudicizie e sfacciataggini trasparenti nella loro complessità, mai isolate nei personalismi dei loro dialoghi o monologhi ma sempre collettivamente risonanti le une nelle altre. Una schiera, si diceva, compatta nelle sue umane fragilità, vestita per essere spogliata attraverso storie che parlano di amore e prostituzione come atti liberatori. Dare e darsi, a tutti i costi.
Di libertà, del suo prezzo in termini di scelte e convinzioni, ho voluto continuare a parlarne vis à vis con il regista e drammaturgo Dante Antonelli, con il quale era da un po’ che non ci incontravamo…
A cosa stai pensando in questo periodo?
Alterno momenti in cui ho ripreso, dopo parecchio tempo, la voglia di progettare futuro e altri in cui mi torna lo sconforto che ho avuto nell’ultimo periodo, quando pensavo che fosse tutto inutile e mi sentivo solo. Non lavoravo, non guadagnavo e ho dovuto accettare, dopo aver raggiunto determinati risultati che mi davano stabilità, di ritrovarmi senza niente in mano. Quindi ora a che penso? A come continuare a vivere su un piano pratico, economico, di sussistenza. Proseguo il mio laboratorio Pelle, cercando di capire se aprirà nuovi orizzonti, quali e quando. Mi impegno quindi a cercare dei rapporti di produzione che mi garantiscano libertà e fattibilità per questo progetto, dandomi modo di declinarlo al meglio.
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Che intendi per “stabilità” in questo settore così precario?
Quando ero sostenuto produttivamente da Romaeuropa Festival, avevo la possibilità di progettare in un’ottica di lunga durata, grazie a un supporto che si rinnovava di anno in anno e che mi ha permesso di immaginare ben quattro spettacoli: Atto di Adorazione, Atto di Passione, Atto di Grazia, Atto di Follia. A questa sicurezza, si aggiungeva anche la rassegna Anni Luce (inserita all’interno di Romaeuropa Festival ndr) che era stata inaugurata proprio con la mia Trilogia Werner Schwab, prodotta da Carrozzerie n.o.t. Sono stati anni intensi, mi è stata offerta la possibilità di lavorare duramente per portare all’estero i miei progetti e non radicarmi a Roma. Purtroppo nel 2020 è arrivata la pandemia e si è fermato tutto. In quel periodo ho scritto Atto di Passione che ha debuttato nel 2021, uno spettacolo che si portava inevitabilmente dentro gli umori, la fragilità e la depressione dell’isolamento e che, venendo dopo il successo di Atto di Adorazione, non è stato amato come meritava da parte del settore. Al contrario del pubblico che ancora quando può mi ricorda che lavoro profondo e intenso fosse quello spettacolo.
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Cos’è successo quindi?
Nonostante i tentativi di trovare produzioni di livello nazionale per garantire al mio nuovo spettacolo finanziamenti e programmazione, tutte le realtà a cui mi sono rivolto non si sono dimostrate interessate a co-produrre il mio lavoro insieme a Romaeuropa Festival. Questo ha determinato una profonda crisi personale: è difficile quando hai un’idea e sei il solo a voler rischiare, significa che la tua idea crolla e va giù tutto il resto. Sono momenti tristi che si accompagnano al senso di abbandono che ne deriva, chi c’era prima non c’è più e ti scontri ogni giorno col vuoto che ha lasciato.
Quali pensi siano state le tue responsabilità?
Sono antipatico! (ride ndr). Penso di avere una strana forma di sindrome di Tourette. A volte non mi rendo conto del contesto, dico cose che lasciano chi mi ascolta nella perplessità e nell’imbarazzo, del tipo “l’ha detto davvero?” Beh sì, l’ho detto. Se mi dai spazio, tutto il tuo “orticello teatrale” rischia. Io mi allargo, esagero; ho scelto di non tradire le mie realtà produttive e, di conseguenza, non ho coltivato al meglio le mie relazioni altrove. Il rapporto che instauro, qualsiasi esso sia, è per me totalizzante: se stiamo insieme dobbiamo fare l’amore. Per questo non ho sofferto l’esclusività: c’era il clima giusto affinché io mi sentissi bene a lavorare in quel modo e, pandemia a parte, avrei voluto continuare a portare avanti gli atti. Volevo alzare l’asticella continuando a elaborare delle drammaturgie originali ispirate ai testi di un autore complesso come Yukio Mishima (a cui si ispirano i 4 Atti ndr).
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Con gli attori e le attrici che rapporto hai?
Non ho mai voluto fare una compagnia o lavorare con le stesse persone, e so che questo ha creato dei problemi. Credo che quello che ho condiviso con loro sia stato importante e profondo proprio perché ho saputo tenere una distanza salvifica. Poi è ovvio, il successo lega molto e quando passa si incrinano i rapporti, c’è bisogno di trovare il colpevole e si fa a gara per addossare la responsabilità del fallimento. Alla fine di tutto la verità è che fa male, si patisce tanto ma lo si fa insieme.
Come vivi il fatto che la loro professione è maturata e proseguita in percorsi autonomi riconosciuti?
È una cosa bella. Un Maestro è tale per l’importanza dei suoi allievi e allieve. Se evidentemente alcune persone che hanno lavorato con me hanno accresciuto le loro capacità e hanno fatto strada, non posso che esserne contento. Non cambio affatto idea sull’amore libero, perché questa libertà mi dà anche la sua porzione di sofferenza. Infatti, quando qualcuno a cui ho dato tutto me stesso presenta un lavoro che per me è brutto, confesso che il dolore è enorme.
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Hai lavorato recentemente anche con attori e attrici non professioniste, per l’esito – anzi lo chiamerei spettacolo per l’autonomia e autenticità che possiede – del laboratorio ZOKKOLE. Come nasce e come, e se, intendi portarlo avanti?
Nasce per indagare il desiderio e la sessualità sulla scena incontrando diversi gruppi, uno dei quali si è stabilizzato allo Spazio Recherche nel 2024. Non doveva essere uno spettacolo, lo è diventato quando, dopo un periodo d’assenza, ci siamo incontrati nuovamente e, chiedendo loro di presentarmi tutti i materiali finora elaborati, ho avuto la consapevolezza di quanto fatto insieme: finalmente ho visto quello che avevo in mente. Lavorare con i non professionisti non è semplice perché fanno fatica a seguire il progetto con costanza, tuttavia mi hanno fatto capire la cosa fondamentale, cioè quanto avessero voglia di andare avanti con me. Oltre a Mimmo Cutolo, Donatella Franciosi, Attilio Imbrogno, Federico Lizzani, Martina Tarasconia, in scena ci sono anche Alessandro Boscato e Laura Giannatiempo che sono attore e attrice di professione. Devo ammettere che mi sono sentito a casa ma anche criticato, perché i non professionisti sono più liberi di dire come la pensano. Le tre repliche sono state serate importanti: dopo un periodo di gelo, mi ha rincuorato avere tanto pubblico, venuto a vedere uno studio, in uno spazio nuovo, in periferia e non al centro. Rispetto al futuro ho una fantasia, ma meglio se non la dico, per scaramanzia.
Come sarebbe stato Atto di Grazia se fosse andato in scena?
Come ZOKKOLE. Ovvero, io sono la stessa persona e certe cose che “avevo in circolo dentro di me” non avendo preso forma di Atto di Grazia hanno preso forma di ZOKKOLE, le cui umanità hanno una loro tensione mistica e una loro innegabile grazia.
Lucia Medri
ZOKKOLE
Primo Studio – Anteprima
di Dante Antonelli
con: Alessandro Boscato, Mimmo Cutolo, Donatella Franciosi, Laura Giannatiempo, Attilio
Imbrogno, Federico Lizzani, Martina Tarasconi
consulenza artistica: Luca Della Corte
musica: Skawinski
con il sostegno di Recherche