Cronache teatrali da Agrigento Capitale

I limiti che caratterizzano la nomina di Agrigento a Capitale della Cultura italiana sono ben noti alla stampa nazionale. Come prevedibile, anche la proposta teatrale risente delle stesse difficoltà folcloristiche. Un commento  

Logo ufficiale

La città di Agrigento non era pronta alla nomina di Capitale della Cultura per questo 2025, e meno che mai le istituzioni chiamate a progettare la proposta performativa cittadina sono nelle condizioni di sostenere un impegno artistico adeguato. Ma poiché, come al solito, le vicende che hanno luogo nell’isola sono indicatore di fatti di ben più ampio respiro, che semmai qui trovano interessanti e talvolta comiche estremizzazioni, ci appelliamo alla vostra pazienza e ricostruiamo la storia con ordine. Il progetto di Agrigento Capitale, incentrato sui quattro elementi che Empedocle di Akragas aveva posto alla base del proprio sistema filosofico, dovrebbe indagare: «il sé, l’altro e la natura», nonché le «relazioni e trasformazioni culturali». Il tema, bisogna dire, è suscettibile di interesse e ben contestualizzato rispetto al territorio di riferimento. Il coinvolgimento di Lampedusa e Linosa, che a quanto pare giace ancora soltanto sulla carta, dovrebbe inoltre aprire lo sguardo a temi quali l’ospitalità e l’accoglienza.

Le immagini poste a corredo dell’articolo sono parte della campagna di comunicazione ufficiale dell’evento

Ad Agrigento spetta l’onere di essere, come è stata più volte definita dalla stampa, la prima Capitale della Cultura “di destra”. In un servizio del programma Piazzapulita, andato recentemente in onda su La7, il giornalista de La Sicilia Fabio Russello, intervistato, individua la spinta alla nomina di Agrigento «anche e soprattutto» negli uffici dell’agrigentino Calogero Pisano, attualmente deputato nazionale nel gruppo Noi moderati. Di tale affascinante soggetto, già passato agli onori della cronaca per post inneggianti al nazifascismo, i vertici del Teatro Pirandello sarebbero “espressione”, sostiene sempre Russello nello stesso servizio. Altre iniziative di questa destra in Sicilia, tra le più recenti: la nomina del direttore Beatrice (e sottolineiamo “direttore”) Venezi all’Orchestra Sinfonica Siciliana; l’intromissione negli affari del Teatro Massimo di Palermo, con un ingiustificato veto posto inizialmente sulla figura del soprintendente Marco Betta; la fresca e discussa nomina di Valerio Santoro a direttore artistico del Teatro Biondo di Palermo.

Osservazione doverosa: non si intende adesso sostenere che il programma di Agrigento Capitale sia ideologicamente schierato, anzi. L’attenzione all’ecologia, all’accoglienza e alla relazione con l’alterità sono riconducibili a uno spirito quantomeno progressista. Il problema, e anche questo è un fatto esemplare, è nella prassi, nella messa in opera. È qui che il progetto deve confrontarsi con l’inefficienza di una struttura amministrativa, politica, economica e infrastrutturale vessata da decenni di cattiva gestione. Non se ne è tenuto, non se ne è voluto tenere conto al momento della nomina a Capitale e della conseguente elargizione di fondi, i quali erano quindi già in partenza destinati a prevedibili forme di sperpero. Adesso, tra tombini sepolti e altre mirabolanti imprese, si criticano gli effetti di tale scelta: ma il problema è a monte, ossia nella scelta in sé.

Fatta questa lunga ma necessaria premessa, ringraziamo per la pazienza e arriviamo a noi. La proposta teatrale di Agrigento Capitale sembra, sulla base del programma pubblicato, comprende essenzialmente l’azione di tre soggetti. Partiamo dalla proposta più interessante, ovvero le attività del Cesdas (Centro di drammaturgia applicata allo spazio, sotto la direzione artistica di Andrea Cusumano, in collaborazione con lo European Theater Research Network). Come risulta dal sito ufficiale, il Centro svolge attività di formazione «per esplorare il potenziale drammaturgico dello spazio e la capacità narrativa di un corpo in relazione alle distanze», di hub culturale e di networking. Per Agrigento Capitale, secondo il programma delle attività, il Cesdas dovrebbe esplorare «le profonde connessioni tra spazi, storie e performance», in «un’esperienza formativa d’eccellenza che trasforma il territorio in un palcoscenico narrativo, valorizzando il dialogo tra innovazione e tradizione». La solidissima esperienza artistica di Andrea Cusumano ci rassicura, ma allo stato attuale la progettazione delle attività risulta essere in fieri. Attendiamo aggiornamenti, e speriamo bene.

Arriviamo alle dolentissime note. Dal solito programma ci risultano una serie spettacoli a cura del Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi, tra i quali annoveriamo: il musical Grease della Compagnia della Rancia, un’Olivia Denaro con Ambra Angiolini, L’ispettore generale da Gogol’ con Rocco Papaleo, L’ebreo con Nancy Brilli. É chiaro che, da parte delle istituzioni, siamo di fronte a un problema in termini di visioni e cognizioni estetiche. Si continuano a prediligere spettacoli di puro intrattenimento o quasi, che possano assicurare nell’immediato un successo di botteghino. Ma il pubblico andrebbe educato, sostenuto in una progressiva alfabetizzazione artistica. Ma non finisce qui. La stagione del Teatro Pirandello, la quale, ci sottolineano, non è stata finanziata dai fondi di Agrigento Capitale (e questa è l’unica cosa che ci è stata comunicata in risposta a varie domande poste), persiste nella propria decennale crociata contro la statura drammaturgica dello scrittore eponimo. Tra un non meglio decifrabile “teatro didattico e culturale” e “visite drammatizzate” all’edificio, al Pirandello è tutta una carrellata di nomi televisivi, cabaret e onnipresente musical. Auguriamoci che almeno non piova sulla testa di nessuno.

Agrigento non era pronta, si è detto. Ma crediamo pure che questa nomina abbia sortito un effetto salutare: le istituzioni politiche e culturali, non più protette dalla marginalità di questa remota provincia siciliana, hanno scoperto cosa significhi essere osservate dall’esterno. Poste innanzi allo specchio di un’opinione pubblica ben più ampia dei loro limitatissimi orizzonti, si sono infine rivelate nella loro insufficienza oggettiva. Intanto, la rabbia di cittadini e cittadine appare appena più strutturata rispetto al passato, proprio per l’enormità della perdita.

Tiziana Bonsignore

2 COMMENTS

  1. Credo che lei abbia trascurato molte cose, almeno per quanto riguarda la parte del suo articolo sul Palacongressi della Valle dei Templi di Agrigento, di cui sono direttore artistico dallo scorso autunno, avendo rappresentato la passata stagione soltanto alcuni spettacoli “sperimentali”, diciamo “di prova”, nei quali siamo riusciti a coinvolgere migliaia di studenti, non al mattino ma la sera, insieme agli spettatori adulti, sostenuti da presidi e docenti che hanno accolto con entusiasmo questo nuovo modo di coinvolgere il pubblico di domani, in una visione prospettica e mai, come lei scrive , fine a se stessa e alle esigenze del botteghino. Quella che lei definisce con un termine supponente, offendendo a mio avviso il pubblico (che non ha bisogno di essere “alfabetizzato” da lei), “alfabetizzazione artistica”, è già in atto da tempo, con delle modalità che lei probabilmente ignora o non ha compreso. Trovo a dir poco inesatta l’espressione “solito programma” visto che è la PRIMA VOLTA che si realizza “un Cartellone” per una stagione completa, al Palacongressi, preciso, pensata e nata in tempi non sospetti, quando non esisteva neanche la “Fondazione Agrigento Capitale della Cultura”, né si conosceva alcun “programma”, dunque totalmente indipendente da essa. Insomma, il sottoscritto non è stato mai contattato, ad oggi, dalla Fondazione Capitale della Cultura, e questo non è titolo né di merito né di demerito, è semplicemente così, dunque contraddice con i fatti, quello che lei scrive. Chiaro che essere inseriti fa piacere, non capisco cosa ci sia di male, si vede che è stato considerato valido e compatibile. Non mi è chiaro dove sia il problema… Lei ha dimenticato di citare tra gli spettacoli “folkoristici” “Con il vostro irridente silenzio”, tratto dalle lettere di Aldo Moro, interpretato da Fabrizio Gifuni (David di Donatello e Nastro d’argento), che ha inaugurato il Palacongressi della Valle dei Templi di Agrigento, il 31 gennaio 2024, gremito in ogni ordine di posto. Non il “Solito Spazio” ma un nuovo Spazio che era stato chiuso e abbandonato alle erbacce per 10 anni e che il Direttore del Parco è riuscito a restituire alla Città, ai giovani, al territorio, con volontà e determinazione, dimostrando di avere “visioni e cognizioni estetiche” di cui lei evidentemente non è assolutamente informata, mentre in altre città i teatri chiudono per lasciare posto ai supermercati e alle banche.
    Chi scrive, lavora da più di 30 anni nel campo ed è un libero professionista indipendente, mai asservito a nessuno. Sono io, insieme allo staff del Palacongressi, il responsabile e sono pronto a qualsiasi confronto, in qualsiasi sede e con chiunque, sulle scelte fatte e sulle strategie culturali adottate.
    Delle sue critiche al Palacongressi, tra le altre cose non capisco cosa trovi di anti culturale o “folkloristico” nella storia di “Oliva (non Olivia!) Denaro” personaggio, prima ancora che di teatro, del romanzo di Viola Ardone, finalista Premio “Strega”, senza contare che è tratto da una storia vera, quella di Franca Viola, simbolo di emancipazione femminile. Grazie al suo coraggio fu cambiata persino una legge in Italia e non mi pare poco, considerato che era una semplice ragazza di Alcamo, neanche diciottenne… Probabilmente lei non ne è a conoscenza visto che sbaglia a scrivere anche il nome. E poi Kafka, Gogol, Camilleri, Pirandello, Agatha Christie e i nuovi drammaturghi come Gianni Clementi (vedi L’Ebreo), ed Edoardo Erba (traduttore di Testimone d’accusa), e la scorsa estate al Parco Fabrizio Sinisi (Ifigenia), perché un Teatro che fa servizio pubblico deve avere il coraggio di rappresentare anche la drammaturgia contemporanea. Ma soprattutto ha dimenticato di scrivere che le quattro radici da lei citate a proposito di Empedocle, non sono state trascurate in nessun modo da noi, ma messe al primo posto. Forse le sarà sfuggito che il Parco ha prodotto e messo in scena uno spettacolo imponente, “Empedocle”, tratto dall’opera musicale del maestro Filippo Portera e dai Frammenti originali del filosofo agrigentino, con 80 persone in scena (rappresentato al Palacongressi il 30 novembre scorso con circa 1000 spettacori). È vero, abbiamo ospitato Grease, Peter Pan, Aladin. Siamo colpevoli di avere regalato alle famiglie delle serate divertenti con prezzi popolari, coinvolgendo persino i più piccoli… Un teatro di oltre 1000 posti deve rappresentare anche l’anima popolare della città, non chiudersi in angusti e discutibili recinti culturali. Senza contare il “lavoro sul campo” con scuole e università, il progetto di una accademia delle arti e tante altre cose che riconducono alla funzione del pubblico servizio e della costruzione di un rapporto con gli spettatori, secondo quelle che furono le linee programmatiche di Giorgio Strehler e Paolo Grassi, ai quali dobbiamo la nascita dei Teatri Stabili in Italia: il decentramento culturale, il rapporto con i giovani, la costruzione del futuro a partire dalla celebre frase: creare un teatro significa creare un pubblico. La sua frase, invece: “siamo di fronte ad un problema in termini di visioni e cognizioni estetiche” può essere interpretata solo come un vuoto gioco di parole, neanche divertente, una esibizione di teoria , avulsa da qualsiasi pratica del “fare teatro”. Come vede, stiamo lavorando con principi e obiettivi molto lontani, anzi totalmente opposti, alle sue frettolose osservazioni sulla presunta ricerca dell’incasso facile al botteghino. Il Parco non ha alcuni scopo di lucro e ancora una volta, ciò che dico è provato dai fatti, basta informarsi; non da entusiastiche critiche come la sua che cavalcano la moda del momento di sparare a zero contro chiunque abbia osato esser nato nella città dei Templi come fosse un novello peccato originale! A questo punto , purtroppo chiamato in causa, nonostante viva a Roma da più di vent’anni, sono io che parlo di novello razzismo culturale.
    La lista delle sue “distrazioni” sarebbe lunga, ma le dico soltanto che le informazioni che ha avuto sono a dir poco imprecise se non addirittura faziose e lontanissime dalla realtà. Intendiamoci, lei ha diritto di muovere le critiche che vuole e a chi vuole, ma credo che in questo caso abbia sbagliato completamente bersaglio. La mia non vuole essere una polemica ( e mi auguro che non lo diventi, non avrei neanche il tempo) ma difesa del mio lavoro. Perciò la prego, se dovesse rispondere, di sostenere con fatti, date, cifre, motivazioni serie e comprovate, i suoi argomenti, altrimenti è meglio lasciare tutto così. Chi legge si farà un’idea… Ci si dovrebbe ricordare che al di là’ delle voci, delle fazioni e nel disordine delle cose, ci sono “persone”, uomini e donne che lavorano con passione e merito conquistato con le proprie capacità nel corso degli anni. Non si può sparare sul mucchio perché fa notizia. La scrittura è verità, diceva Leonardo Sciascia, e allora diciamo la verità. Le assicuro che chi scrive è la persona meno “folkloristica” che lei possa immaginare.

    • Gentile Gaetano, comprendo che per la prima volta la città sia stata oggetto di un’osservazione critica esterna e che giustamente questo determini malesseri. Purtroppo, non solo dall’offerta del Palacongressi ma anche dalle sue stesse parole, si evince un’idea di teatro lontana dal dibattito contemporaneo in merito. Cita Gifuni; orbene, il problema non è il singolo spettacolo, ma la logica che soggiace alla proposta che avanzate: un ragionamento che procede in termini di catalogo, e non di visione artistica coerente. Esiste una differenza, nemmeno troppo sottile, tra popolare e nazional-popolare; esistono anche validissimi artisti siciliani (penso ai Collovà, ai Palazzolo, ai Carullo Minasi e l’elenco potrebbe proseguire), esistono anche splendide visioni che la danza contemporanea siciliana è in grado di offrire, sistematicamente esclusi. Esclusi nella difesa di una prassi teatrale, visto che di fare teatro lei mi parla, testardamente anacronistica, con vaghi sussulti da Grande Attore il quale, ad Agrigento, non sembra mai essere tramontato per persistere in discutibili e banalizzanti forme. Sono spiacente che la critica l’abbia turbata, ma se è un professionista sarà al corrente del fatto che il dibattito critico è dato caratterizzante, inalienabile del fare arte

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here