Questa recensione fa parte di Cordelia di gennaio 25
Qualcuno sul fondo, in camicia, pantaloni grigi e cravatta; all’improvviso suona una sveglia, poi la suoneria di uno smartphone, il pubblico si tace. Ora la riconosciamo meglio, è una donna; nel centro del palco una scala con una sorta di lampadario sferico, la performer – è l’italiana Paola Taddeo – si avvicina a una batteria ma invece di suonarla si accorge che è il proprio corpo a risuonare. È come se qualcosa le invadesse gli arti, i muscoli e il tentativo allora è quello di fuggire: più volte tornerà in questo Void – creato da Wim Wandekeybus in stretta relazione con i performer – il tema di una sorta di possessione del singolo dentro la comunità di riferimento e la danza allora diventa vera e propria lotta o danza di liberazione da spiriti interni. Nell’incontro post spettacolo il regista e coreografo belga ha spiegato come abbia avuto la necessità di ricominciare dal vuoto del titolo dopo un’opera dalla costruzione imponente come Infamous Offspring, dominata dalla scrittura. In questo caso invece l’idea era di ripartire dall’essenzialità, dai performer: la creazione è nata proprio parlando con l’ensemble e cercando nelle biografie degli interpreti. Uno di questi, Adrian Thömmes, aveva una nonna finlandese poi emigrata a New York, che in seguito è tornata in patria, in scena con un caratteristico vestito blu incarna il ricordo di quella nonna con una grazia superlativa. Poi c’è una giovane che non vuole essere lasciata da sola in casa mentre i genitori escono, Lotta Sandborgh, c’è l’animalità del corpo di Iona Kewney, danzatrice esperta con incredibili doti da contorsionista e una attitudine recitativa di primo piano; il dinamismo e la fisicità di Hakim Abdou Mlanao. Questi fili si intrecciano e poi si sciolgono, tutto si fonde nella danza, nei diversi caratteri coreici: un’altra meraviglia è nell’approccio della hongkonghese Cola Ho Lok Yee, si libra senza gravità con l’ariosità e la precisione di una ninja. Nell’ora e mezzo di spettacolo c’è spazio anche per una sessione ritmica tenuta con dei piatti rotti a martellate, e poi vere e proprie epifanie tra prese acrobatiche e i classici soli in mezzo al cerchio. Rimane in mente il passo a due pieno di ironia e sfida – anche amorosa – tra Kewney e Thömmes. (Andrea Pocosgnich)
Visto al Teatro Storchi regia e coreografia Wim Vandekeybus creato ed eseguito da Iona Kewney, Lotta Sandborgh, Cola Ho Lok Yee, Paola Taddeo, Adrian Thömmes, Hakim Abdou Mlanao assistente artistico e drammaturgia Margherita Scalise musica originale e sound design Arthur Brouns scenografia Wim Vandekeybus realizzato da Pepijn Mesure disegno luci Wim Vandekeybus, Benjamin Verbrugge costumi Isabelle Lhoas assistente ai costumi Juliette Lejeune tecnici Schröder, Pepijn Mesure, Benjamin Verbrugge distribuzione Julia Bouhjar produzione Heleen Schepens, Kenneth Raemaekers musicisti Kristofor Parvanov – violino, Fil Caporali – contrabbasso, Simon Leleux – percussioni, Daniel Jonkers – tamburo altre musiche di Hihats In Trees – Lander Gyselinck Obsequies
coproduzione KVS Brussels’ Flemish city theatre, Danseu Festival, Theater im Pumpenhaus, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale con il supporto di Tax Shelter measure of the Belgian Federal Government, UfundUn ringraziamento speciale a Thi-Mai Nguyen, Jerry Killick, European Theatre and Film Institute
Ultima Vez è supportata da the Flemish Community & the Flemish Community Commission of the Brussels Capital Region
nell’ambito di CARNE focus di drammaturgia fisica
foto di Danny Willems