Questa recensione fa parte di Cordelia di gennaio 25
Resuscitare i morti. Un’attività sfiancante, di cui è lecito chiedersi la ragione. Soprattutto se necessita tanto dispendio, tanta rabbia. È proprio questo il sentimento che The Angry Man, di Michele Mariniello, regia di Luigi Maria Rausa e dell’autore, sembra volere rievocare insieme alla vicenda di Jimmy Porter. Look back in Anger, di John Osborne, è infatti il punto di partenza, seguito con relativa fedeltà lungo i primi due atti. Lo squallido appartamento in cui si svolge il dramma è dapprima celato da un grumo di luce pulviscolare nel quale il protagonista, interpretato dallo stesso Rausa, giace dopo essere stato folgorato da uno squarcio luminoso. Gradualmente prende vita l’asfittica routine di Jimmy, Allison (Maria Elena Iozza), Cliff (Giancarlo Latina), Helena (Alessandra Falanga). Un’insofferenza eccedente riempie la scena, alleggerita soltanto dai gradevoli interventi di Cliff; ma il temperamento di Jimmy è brutale, sferzante di un cinismo lucido e allucinato. I dialoghi hanno ritmo, sono puntellati da un’ironia convincente: è soprattutto questa a declinare con intelligenza la rabbia che gli Angry Young Men rivolgevano, negli anni Cinquanta, al ceto medio britannico. Ma adesso, viene da chiedersi, quale dovrebbe esserne il bersaglio? Nell’inevitabile nichilismo di ogni possibile risposta, non rimane che il disvelamento dell’inganno: il personaggio si riduce a sagoma pirandelliana, da cui infine emerge l’attore. Si appella al pubblico, com’è d’uopo, e denuncia la difficoltà di una scrittura realmente nuova. L’escamotage è senz’altro usato, abusato, usurato; ma nella sala dello Spazio Franco, riesce comunque a creare disagio nella sua iterazione. Il dramma si disintegra per scendere “nel performativo”: una successione di quadri rarefatti compongono l’atto conclusivo, che è un fatto puramente immaginativo. Nel subconsio lunare in cui il protagonista infine si muove, si dissolve anche la rabbia: quella di una generazione che, parafrasando Umberto Eco, più di tutte avverte la condizione di essere parola già scritta (Tiziana Bonsignore).
Visto allo Spazio Franco. Di Michele Mariniello Con Alessandra Falanga, Maria Elena Iozza, Giancarlo Latina e Luigi Maria Rausa Idea e progetto Luigi Maria Rausa Regia Luigi Maria Rausa e Michele Mariniello Scene Marzia Francolino Assistente alla regia Gabriele Giammancheri Sound designer Giancarlo Latina Luci Michele Ambrose Foto Marzia Francolino Produzione Babel Crew. Foto di Marzia Francolino