Questa recensione fa parte di Cordelia di gennaio 25
Un interno sontuoso, ma asettico come la fredda luce da sala operatoria che lo illumina, privo di ogni effetto personale che non sia conservato alacremente dietro il vetro spesso di una teca. Quattro entrate, due su ogni lato, e una porta a doppio battente sul fondo che dà su un giardino la cui illusione è creata da proiezioni di alberi dal fogliame autunnale. È la casa di Arpagone (Ugo Dighero), noto per la sua avarizia, così esacerbata da opporsi alla felicità dei suoi stessi figli, Elisa (Elisabetta Mazzullo) e Cleante (Stefano Dilauro), intrappolandoli in matrimoni combinati che hanno il solo obiettivo di riempire ulteriormente le sue tasche. Ma per quanto i figli strepitino e tentino di dissuadere il padre dalla sua decisione, l’unica vera voce che riesce a penetrare il cuore avido di Arpagone è quella suadente dei soldi sonanti che gli si manifesta in forma di un ologramma di un coro di voci bianche, proiettato in corrispondenza della porta sullo sfondo, il quale cantilena minaccioso di tasse e spese imminenti. Alle spalle del coro, il giardino, dove Arpagone custodisce il suo più grande segreto: seppellita lì, vi è infatti una cassetta contenente diecimila scudi in argento di cui nessuno sa dell’esistenza. I fili dell’intreccio si annodano, sempre più stretti tra di loro, con cambi di scena resi possibili dalla prontezza degli attori e dagli spostamenti celeri delle teche, in modo da ampliare lo spazio o creare zone separate per rendere possibile lo svolgimento di scene in simultanea: Anselmo (Cristian Giammarini), l’amico di famiglia a cui Arpagone voleva dare in sposa Elisa, si scopre essere il padre a lungo perduto di Valerio (Fabio Barone) e Marianna (Rebecca Redaelli), rispettivamente gli innamorati di Elisa e Cleante. Con il contributo economico di Anselmo, tanto i desideri di Arpagone quanto quelli dei figli possono essere soddisfatti. La cassetta, sottratta impunemente dal servo di Cleante (Mariangeles Torres), ritorna al suo posto. Tra selfie rubati e un numero canoro finale sulle note di Money dei Pink Floyd, L’Avaro di Luigi Saravo strizza l’occhio alla generazione zeta, pur restando intrinsecamente millenial. (Letizia Chiarlone)
Visto al Teatro Gustavo Modena Produzione Teatro Nazionale di Genova, Artisti Associati Gorizia, Teatro Stabile di Bolzano, CTB Centro Teatrale Bresciano Traduzione e adattamento Letizia Russo Regia Luigi Saravo Personaggi e interpreti Scene Lorenzo Russo Rainaldi Luigi Saravo Costumi Lorenzo Russo Rainaldi Musiche Paolo Silvestri Movimenti coreografici Claudia Monti Luci Aldo Mantovani Assistente alla regia Cristian Giammarini
ARPAGONE padre di Cleante e di Elisa, innamorato di Marianna | Ugo Dighero
CLEANTE figlio di Arpagone, amante di Marianna | Stefano Dilauro
ELISA figlia di Arpagone e sorella di Cleante, amante di Valerio | Elisabetta Mazzullo
VALERIO figlio di Anselmo, amante di Elisa | Fabio Barone
MARIANNA amante di Cleante, amata da Arpagone | Rebecca Redaelli
ANSELMO padre di Valerio e di Marianna | Cristian Giammarini
FROSINA ruffiana | Mariangeles Torres
MASTRO SIMON faccendiere | Cristian Giammarini
MASTRO GIACOMO cuoco e cocchiere di Arpagone | Paolo Li Volsi
SAETTA servo di Cleante | Mariangeles Torres
COMMISSARIO | Luigi Saravo