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Cinema Cielo. Il teatro fuori dal tempo e i cinema a luci rosse

Recensione. È tornato otto anni dopo l’ultima tournée e ventidue anni dopo il debutto del 2003, quando vinse il Premio Ubu per la Miglior Regia. Abbiamo visto Cinema Cielo di Danio Manfredini all’Arena del Sole di Bologna. Lo spettacolo sarà in scena anche a febbraio al Teatro Menotti di Milano e al Teatro degli Impavidi di Sarzana.

Foto Daniele Ronchi

È accovacciata in proscenio, prima di alzarsi e mostrare le piccole ali rosse, la parrucca nera con un taglio di capelli un po’ anni Novanta, i tacchi e una minigonna cortissima fatta di penne nere (le cui sfumature di colore cambiano con la luce); dietro di lei, a chiudere la quarta parete un velatino su cui è proiettata la fotografia di un vecchio cinema, “Film per adulti” campeggia sulla parte di edificio che dà sulla strada.  «Ho cercato l’amore dell’anima mia. Gesù cosa ci sto a  fare a questo mondo?», si chiede la donna interpretata da Danio Manfredini prima di farci entrare, con un leggero accento brasiliano, nel suo mondo, dentro storie in cui l’amore è sempre una bugia da rincorrere.

Quando il velatino si apre come un sipario ecco di fronte a noi lo spazio interno del cinema: dalla platea dell’Arena del Sole guardiamo un’altra platea. Vecchie poltroncine rosse, pareti rosate, a destra il wc, vero luogo dell’osceno, il fuori scena in cui consumare. Dall’entrata centrale il contrasto dell’azzurro: è un altro spazio, visivamente solo accennato ma teatralmente pieno di vita immaginaria, con la cassa a sinistra e a destra un foyer da cui provengono gli spettatori.

Foto Daniele Ronchi

A Milano l’ultimo cinema “a luci rosse” ha chiuso nel 2019, il nome era esplicito, Pussycat; in un articolo di Repubblica di quell’anno si contavano una decina di sale per adulti sparse in diverse città d’Italia, a Roma, ad esempio, vicino alla Stazione Termini ce n’è ancora una, il Cine Ambasciatori Sexy Movies, su Google Maps è possibile leggere anche qualche ironica recensione o tentativo di adescamento. Il fenomeno dei cinema dedicati al porno, cominciato sul finire dei ‘70, con lo storico Majestic di Milano, da subito ebbe a che fare con la morale pubblica e i blitz della buon costume ma anche con un successo impressionante: nel capoluogo lombardo nel giro di un anno aprirono una ventina di sale dedicate alle pellicole esplicite; un paio di decenni di importanti incassi e poi la parabola discendente, «A dare l’ultima mazzata furono i Dvd e la fine della leva obbligatoria», ha raccontato l’ultimo gestore di Udine.

Foto Daniele Ronchi

Gli spettatori delle ultimissime sale sono soprattutto anziani, persone lontane dalle pratiche del porno online, oppure in cerca di un luogo di incontri e sesso occasionale. E forse non sono personalità così distanti da quelle messe in scena da Danio Manfredini nel suo spettacolo del 2003 (premio Ubu per la miglior regia), ora allestito nuovamente grazie alla produzione di Sardegna Teatro e Teatri di Bari (dopo un’altra ripresa del 2017). Cinema cielo era una sala già presente a Milano dagli anni ‘20 con il nome Esperia, ospitava proiezioni cinematografiche e spettacoli di rivista, dopo la ristrutturazione del ‘41 prese il nome che dà il titolo allo spettacolo; poteva contare su una platea e una galleria, per un totale di 1200 posti. Solo alla fine degli anni ‘70 quella che era una sala di seconde e terze visioni lasciò il posto alle proiezioni a luci rosse, fino alla chiusura avvenuta nel 1997.

Foto Daniele Ronchi

A Manfredini però non interessa il tema dal punto di vista storico-sociale – nonostante lo spettacolo sia comunque la fotografia poetica di una realtà – ma le possibilità evocative di un sistema chiuso come quello del cinema per adulti: la capacità di questo spazio di farsi luogo limite, frontiera dell’umano in grado di accogliere spiantati, erotomani, marginalità varie, dando così accoglienza alla diversità, all’omosessualità, al transgenderismo e a quelle esperienze che la società non riesce a contenere nei rigidi perimetri della morale quotidiana. Un uomo col trench, il cappello e gli occhiali se ne sta fermo in piedi in attesa di incontrare qualcuno con cui infilarsi nel bagno, da qui spunta spesso un altro manichino a petto nudo, e poi quelli, in gran parte uomini, seduti in platea, sono fantocci, gli attori in carne ed ossa li muovono e li usano in grottesche scene di meccanici amplessi. Non può non tornare alla mente La classe morta di Tadeusz Kantor, non solo per i manichini che si mescolano con gli uomini, ma anche per una certa costruzione emozionale dell’opera. Come accadeva negli spettacoli dell’artista polacco Cinema Cielo è una macchina evocativa:  il piano visivo si fonde con quello uditivo dato soprattutto dalle voci fuori campo che fanno apparire brandelli di discorso, brevi dialoghi con i quali intuiamo di corteggiamenti e altri incontri che accadono in qualche salotto borghese. Sono voci appartenenti a una linea narrativa altra, che però esprime un mondo prossimo a quello del vecchio cinema milanese, nella quale si raccontano le vicende di Notre Dame des Fleurs, romanzo di un autore molto caro a Manfredini, Jean Genet. Possiamo lasciarci trasportare dalle voci dei personaggi di Genet e immaginare un vero e proprio continuum tra questi e l’umanità grottesca del cinema.  D’altronde il teatro di Manfredini – oggi fuori dal nostro tempo presente, lontano dalle etichette, dalle estetiche e dalle mode del contemporaneo – è sempre un teatro di evocazione poetica, nel quale le parole non hanno valore drammatico, non servono a mandare avanti l’azione, ma hanno un valore lirico ed emotivo come gli altri segni, come i suoi disegni dal tratto espressionista o come quando lo spazio si riempie con la musica dei Pink Floyd. L’attrice e gli attori (Patrizia Aroldi, Vincenzo Del Prete e Giuseppe Semeraro), tutti esemplari nello sforzo rappresentativo di dare corpo a commoventi maschere umane, sono gli stessi di 21 anni fa. C’è una cassiera con una riccia e gonfia capigliatura, cerca di tener fuori quelli che tentano di entrare senza biglietto e quelli che si fanno vedere in platea alle prese con disperati tentativi sessuali; c’è un immigrato dell’est che piange la propria condizione di escluso e vorrebbe rimediare qualche soldo nei bagni del cinema; apparirà anche un Cristo sui trampoli, forse simbolo kitsch di tutta questa umanità tradita dalla vita. In fin dei conti la donna transgender incarnata da Manfredini, filo conduttore drammaturgico dell’opera, più volte si chiede dove sia Dio in un mondo di tale disperazione.

Foto Daniele Ronchi

«C’è gente che non si adatta. Ma non si adatta perché c’è un’unicità che viene manifestata. È molto importante per me rivendicare l’individualità, rivendicare il fatto che ognuno di noi è portatore di uno specifico che non può essere massificato. È un delitto massificare l’umano.» Queste parole, pronunciate da Manfredini in una intervista di un paio di anni fa, erano utilizzate per parlare di un altro suo storico spettacolo, Al presente. L’unicità di cui parlava l’artista milanese era riferita agli ospiti della struttura psichiatrica in cui aveva lavorato con un atelier di pittura e dai quali sarà ispirato per la creazione di quello spettacolo. Lo sguardo che tenta di abbracciare l’individualità dei malati lo ritroviamo anche sui poveri cristi del cinema, sgorbi con le facce di plastica e il trucco esagerato.

Foto Daniele Ronchi

Allora diventa ancora più evidente quanto questo mondo delle sale cinematografiche per adulti, visto come un altrove dimenticato, una sorta di escrescenza della società in via di espulsione, con le sue luci, i suoi misteri e tutto l’inevitabile patetismo, sia lo specchio nel quale guardare qualcos’altro, l’allucinazione in cui perdersi per cercare di colmare un doloroso bisogno d’amore.

Andrea Pocosgnich

Bologna, Arena del Sole, gennaio 2025

Prossime date in calendario tournée

13-16 febbraio Milano Teatro Menotti
21,22 febbraio Sarzana Teatro degli impavidi

Cinema Cielo

ideazione e regia Danio Manfredini
con Patrizia Airoldi, Vincenzo del Prete, Danio Manfredini, Giuseppe Semeraro
scenografia, maschere, manichini, costumi Danio Manfredini
luci Maurizio Viani
suono Marco Olivieri
produzione Sardegna Teatro, Teatri di Bari
2004 Premio UBU con Cinema Cielo (miglior regia)

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Andrea Pocosgnich
Andrea Pocosgnichhttp://www.poxmediacult.com
Andrea Pocosgnich è laureato in Storia del Teatro presso l’Università Tor Vergata di Roma con una tesi su Tadeusz Kantor. Ha frequentato il master dell’Accademia Silvio D’Amico dedicato alla critica giornalistica. Nel 2009 fonda Teatro e Critica, punto di riferimento nazionale per l’informazione e la critica teatrale, di cui attualmente è il direttore e uno degli animatori. Come critico teatrale e redattore culturale ha collaborato anche con Quaderni del Teatro di Roma, Doppiozero, Metromorfosi, To be, Hystrio, Il Garantista. Da alcuni anni insieme agli altri componenti della redazione di Teatro e Critica organizza una serie di attività formative rivolte al pubblico del teatro: workshop di visione, incontri, lezioni all’interno di festival, scuole, accademie, università e stagioni teatrali.   È docente di storia del teatro, drammaturgia, educazione alla visione e critica presso accademie e scuole.

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