Questa recensione fa parte di Cordelia di gennaio 25
C’è un momento dello spettacolo in cui Danilo Giuva e Giandomenico Cupaiuolo duettano, uno dei pochi botta e risposta dello spettacolo, vera e propria jam session in cui la recitazione si fa musica. Ma potremmo citare anche la malinconia di Roberto Magnani che riesce sempre a farsi rappresentazione credibile dei mondi di Pier Vittorio Tondelli; oppure il bellissimo e potente incipit di Licia Lanera, tutto trattenuto quasi fino all’implosione ,una sorta di prologo che ci porta al 1980, l’anno di pubblicazione del romanzo. Perché è tutto nella prova attoriale questo spettacolo, non c’è colpo di regia che possa fungere da rete di paracadute, i monologhi si stagliano nello spazio, e la scrittura scenica traccia linee immaginarie tra i personaggi dei vari racconti: in questo sta l’atto più autoriale di Lanera, nel cercare un intreccio prima drammaturgico, tra le storie che compongono il romanzo e poi scenico tra le tensioni dei corpi. E dopo quell’abbrivio la regista rimane in scena con gli altri sottraendosi quasi sempre però alla presa di parola in un tentativo quasi kantoriano di abitare lo spazio, da regista interna: segue i suoi con lo sguardo, sorride, talvolta gode con loro per qualche uscita funambolica, oppure il suo volto si fa specchio di un dolore universale. Noi spettatori accecati di tanto in tanto dai fari puntati sulla platea del Teatro Rasi (tornano in mente le luci di certi spettacoli di Antonio Latella di qualche anno fa) seguiamo i racconti di poveri cristi, di amori non ricambiati, di viaggi in cui perdersi, di studenti e spiantati in lotta con l’affitto e il mondo intero. Siamo con Miro – anzi tutti siamo stati Miro – abbandonato sull’autostrada da Andrea, il suo grande e impossibile amore. E allora forse lo comprendiamo quel bisogno di Lanera di trovare un ponte tra dimensioni lontanissime: le vite di quei malandati che negli anni ‘70 agognavano le mille lire per un panino, tra utopie, alcol, buchi e bestemmie e noi in un’epoca sterilizzata, ma in cui il dolore è ancora lo stesso, nelle stesse solitudini, forse ancora più vuote. (Andrea Pocosgnich)
Visto al Teatro Rasi. Di Pier Vittorio Tondelli adattamento e regia Licia Lanera con Giandomenico Cupaiuolo, Danilo Giuva, Licia Lanera, Roberto Magnani luci Martin Palma sound design Francesco Curci costumi Angela Tomasicchio aiuto regia Nina Martorana tecnici di compagnia Massimiliano Tane, Laura Bizzoca “Sono un ribelle mamma” suonata dai Sunday Beens produzione Compagnia Licia Lanera in coproduzione con Albe/Ravenna Teatro si ringrazia Compagnia La Luna nel Letto
Il testo “Altri Libertini” è edito da Feltrinelli