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A Palermo il festival Bastardo e incatalogabile

A ottobre scorso si è tenuta a Palermo la nona edizione del festival “Teatro Bastardo” diretta da Giulia D’Oro e Flora Pitrolo, molto attente alla ibridazione dei linguaggi. Con artisti nazionali e internazionali, il festival è stata, anche quest’anno, un’occasione importante di aggregazione per il pubblico della città affezionato a queste montagne russe di emozioni che il programma riserva. Abbiamo incontrato le direttrici del festival per provare ad attraversarlo tramite il loro racconto, dalle origini alle intenzioni sul futuro.

Ellen Freed e Jasper Cox, Litanies of the Lucciola ph. Stefania Mazzara

Teatro Bastardo ha già nel nome una provocazione, qual è l’origine di questo nome e come in questi anni il termine bastardo” ha assunto nuove sfumature? 

Il festival è stato battezzato bastardo nel 2015 dal suo primo direttore artistico Giovanni Lo Monaco. “Bastardo” cercava di tradurre l’universo semantico della queerness, riferendosi alla qualità generativa ed evolutiva delle ibridazioni nella creazione di identità molteplici, di nuovi linguaggi e pratiche, dentro e fuori la scena. Negli anni abbiamo messo a fuoco ulteriormente l’idea di spettacolo dal vivo come spazio di ripensamento e di invenzione della vita sociale, politica, e culturale di una comunità. 

È una parola che ha in sé la dimensione dell’incatalogabile: non ci sarà mai un bastardo uguale a un altro. Ciò che ci interessa è che, per noi, questo tipo di unicità viene da una costante risintonizzazione dei propri modi di stare al mondo, in una posizione che si interroga costantemente. Questa è una prospettiva che ci interessa, al di là del festival, in un momento in cui siamo appiattiti dalla paura.
“Bastardo” come panorama non ascrivibile a un genere – nel senso della performance sociale o nel senso di quella scenica – che procede per alleanze, collaborazioni istituzionali e indipendenti, pubbliche e private, con l’idea di riattivare connessioni e mettere in circolo spazi di pensiero e pratiche, in una ricerca rivolta ai processi artistici che avvengono fuori dai grandi circuiti, e che si offre come spazio e strumento di sperimentazione.

Panzetti Ticconi, Cry Violet, ph. Stefania Mazzara

La bastardata” di questo festival di fatto è nel suo programma: il calendario è ricco di eventi e spettacoli dal carattere molto diverso, questanno ad esempio si è aperto con una commedia di Ernesto Tomasini e chiuso con la performance di Elisabetta Consonni allArenella. Nonché il teatro per bambini (mai didattico) ha sempre avuto molto spazio senza che ci sia mai stata una separazione netta tra i due generi e target. 

Qual è lo scopo di questa scelta? E c’è stato in qualche modo incontro e contaminazione tra artisti e pubblici tanto diversi? 

Il programma di Tb24 è una lunga conversazione che passa per atmosfere diverse abitate dallo stesso desiderio di approfondire il senso di una dimensione politica, sociale, del teatro. Palermo è la nostra città teatro – un corpo- scena feroce e generatore di vita, che pretende un’altissima intensità dagli spettacoli perché non siano fagocitati al confronto. La Signora Palermo di Ernesto Tomasini ha saputo distillare esattamente questo, come in esergo al nostro programma.
Siamo stati a Palermo e a Sarajevo, all’Aja, in Bulgaria, abbiamo attraversato l’Europa da Losanna a Smirne, siamo stati nel mito, nella tragedia, nell’horror e anche nello Spazio, esplorando i modi in cui abitiamo questo tempo così violento, come stiamo al mondo, in relazione al mondo e agli altri, senza saperlo ma chiedendoci ancora in questo panorama di guerra, di dominazione – di rumore – che valore hanno la cura, l’amore, la vulnerabilità, l’attenzione, il silenzio, forse anche la tristezza.
Fa parte di questa conversazione anche l’infanzia, maestra nel cogliere l’invito alla verità della finzione e quindi splendidamente capace di ri-generare teatro.
Il pubblico in tutto questo ci segue, in una generale predisposizione al conoscere e farsi sorprendere.

Horror Baby Show, Claudia Puglisi_ La compagnia prese fuoco,ph. Stefania Mazzara

Riprendo il discorso sullArenella, quartiere palermitano affacciato sul mare afflitto dal problema idrico innanzitutto e poi vittima di una indifferenza generale da parte della città stessa. Perché a voi interessa l’Arenella e come ha risposto il quartiere alle vostre iniziative? 

A partire dal desiderio di uscire dal centro città e confrontarci con un pubblico nuovo dell’Arenella ci ha sempre affascinato molto il Monte Pellegrino che la sovrasta e che quasi satura l’orizzonte visivo di questa borgata sul mare in cui però il mare non si vede. Una montagna incantata metafora del teatro come oggetto magico che ci mostri il nostro mondo in modo diverso da come lo conosciamo e anche del cambiare prospettiva, forse dell’avvicinarsi al centro delle cose allontanandosi dai centri.
Abbiamo poi conosciuto un quartiere solidale, con diverse associazioni molto attive ed esperienze di vera rigenerazione urbana e sociale dal basso iniziate a fine anni ’90, che davvero al di là delle retoriche, offrono una visione e delle risorse in un contesto complesso. Teatro Bastardo ha ricevuto un’accoglienza di grande entusiasmo e fiducia, che speriamo di poter rinnovare col tempo.

Elisabetta Consonni, Il secondo paradosso di Zenone ph. Simona Scaduto

Facciamo il punto: come vi sentite? A che punto della ricerca siete arrivate? Quali gli obiettivi raggiunti e quali i prossimi passi? 

Non abbiamo ancora fatto un vero e proprio bilancio di questo triennio, complicato da sintetizzare perché è stato sperimentale nel senso più autentico del termine: abbiamo veramente tentato varie strade senza sapere a priori dove ci avrebbero portato, effettivamente reinventando il festival a più riprese, in scena e oltre la scena, e sempre sul crinale tra quello che si vuole fare e quello che si può.
La nostra ricerca continua a volgersi al di sotto dei circuiti più istituzionali, nella performance, nella danza e nelle forme performative più sperimentali. Da quest’anno stiamo anche lavorando ad altri progetti che si basano sul cinema e sulla radio, nonché a delle piccole produzioni che vorremmo fare circuitare, e continuiamo ad approfondire il discorso infanzia sul quale abbiamo ancora molto da esplorare. Il ventaglio si allarga, ma si tratta in verità di scelte coerenti con un’idea di festival vivente, curioso, profondamente interdisciplinare e profondamente metropolitano. Le arti dal vivo sono una materia scivolosa, che scappa nel momento in cui la acchiappi. Lavoriamo con la coscienza, gioiosa, di questa scivolosità, cercando di rimanere bastarde e non incasellarci in nessuna modalità predefinita di quello che un festival debba o non debba essere.

Silvia Maiuri

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