Un flashback alle giornate di attraversamento della XVII edizione del Periferico Festival, l’appuntamento con le pratiche performative site specific curato dal collettivo Amigdala a Modena. L’atto performativo come pratica comunitaria mai scissa dal suo significato sociale e politico.
Sconfino, infesto, genero scomodità, abito fessure, non bado ai confini, insisto. Esisto nelle intercapedini, nelle zone d’ombra, riscrivo l’abitudine, resisto all’addomesticamento. A Modena Ovest l’arte performativa parla in prima persona, respira insieme alla vita di un’intera comunità e sboccia durante le giornate di Periferico Festival. In coda a un flusso ininterrotto di festival che dal principio dell’estate fino all’autunno inoltrato animano la penisola (spesso) di prime e debutti, Periferico da anni si distingue per sostanza, scopi e forme della proposta grazie al pensiero e al lavoro del collettivo Amigdala. L’attività artistica e di curatela del gruppo modenese diretto da Federica Rocchi e Serena Terranova si fonda sull’integrazione della performance allo spazio urbano nella sua accezione alta e complessa di sistema umano, focalizzandosi sui processi piuttosto che sulle opere, sulle pratiche piuttosto che sulle esibizioni. Gli artisti che animano la rassegna sono invitati ad abbracciare questa filosofia, immergendo la propria pratica in un contesto che non si limita ad ospitarli per il tempo di una performance, ma vuole esserne partecipe, protagonista. Ciò che accade a Periferico non potrebbe accadere altrove e chi partecipa agli eventi di Periferico non può limitarsi a osservare: è chiamato a farsi contaminare, a prestare il proprio corpo, il proprio pensiero, le proprie emozioni.
OvestLab, officina creativa e centro nevralgico di Amigdala, è uno spazio vivace, accogliente, nel cuore del Villaggio Artigiano di Modena Ovest. Quell’utopia urbanistica dei primi anni cinquanta vive con Amigdala una nuova occasione e vede in OvestLab l’epicentro, residenza artistica destinata prima di tutto alla comunità del quartiere, multiculturale e artigiana. Come si legge sulla Guida del Villaggio Artigiano di Modena Ovest, pubblicazione nata dal progetto editoriale collettivo Fionda e redatta dalla comunità con il coordinamento editoriale di Amigdala, «ci possono essere quartieri come questo, dove la patina ex industriale è più un limite che un’attrattiva, dove non è facile trovare cose oggettivamente belle, dove mancano i marciapiedi e dove le strade trasudano abbandono e desolazione, che però ti entrano nelle ossa e ti lasciano addosso un senso di vita e insieme di vuoto che vale la pena». A riempire quel vuoto, a riscrivere il senso di quella desolazione o a scoprirne il volto vitale, un mormorio continuo di attività che hanno l’arte per mezzo e non per scopo: attraversare il festival Periferico concede il privilegio di ascoltare da vicino quel brusio di vita a prima vista filtrato dal cemento.
Accade così di trovarsi seduti vicini e stretti, chiamati per nome da Daniele Ninarello, che con un sorriso saluta e ringrazia ciascuno, con il respiro ancora rapido della sua danza di liberazione. Nobody Nobody Nobody It’s ok not to be ok ha inizio con una lettera, consegnata a ognuno, una confidenza detta sottovoce, un appello di complicità: quel corpo riverso a terra si animerà di una vita fatta di gesti che si ripetono, di tensioni rilasciate, di molteplici versioni di sé specchiate negli occhi e nel giudizio degli altri. Chi osserva è insieme il bullo e il bullizzato, rapito nel flusso liberatorio di una danza che continua anche quando il danzatore è fuori scena: sembra dire vieni, lo spazio è anche tuo, c’è anche per te una seconda possibilità.
All’ora dell’appuntamento, una piccola comunità si ritrova all’incrocio tra i vicoli del centro storico di Modena per Letters from Attica di Begüm Erciyas. Condotti sotto i tipici portici emiliani e posti in fila, ci facciamo tramite delle parole che il nostro vicino ci suggerisce, trasportiamo con cura un messaggio segreto, che tenta di sfuggire alla censura e di resistere intatto fino al destinatario. Si tratta delle lettere che Sam Melville ha scritto tra il 1969 e il 1971 dal carcere di Attica, dove si trovava in regime di isolamento per le sue azioni di protesta contro la guerra del Vietnam. Il dispositivo dell’artista turca nella sua semplicità ha il potere di innescare un processo automatico di cura dell’attenzione, dell’ascolto empatico e di riflessione sulla responsabilità della parola nella sua articolazione labiale, nei gesti minuti che la accompagnano. Così lo spettatore, messo attivamente e senza forzature nella posizione dell’attore, assorbe una condizione di urgenza e protezione della parola: con la serietà di un gioco infantile ascolta e ripete i frammenti di un discorso di libertà e rivendicazione, resistenza e solidarietà.
L’eco dell’esperienza continua a risuonare anche quando, tornati nel quadrante ovest di Modena, aspettiamo sul pianerottolo di un secondo piano il nostro turno per entrare nell’appartamento dove è stato allestito Dear Laila dell’artista palestinese Basel Zaraa, istallazione interattiva che ripercorre una storia famigliare di resistenza, identità, memoria del popolo palestinese. La visita privata ha un’intimità amplificata dal luogo scelto per l’installazione. Mentre si attende il proprio turno fuori dalla porta, nel silenzio sorvegliato da chi gestisce gli ingressi, si ascoltano le vite nascoste negli altri appartamenti dello stabile, la loro semplice routine, voci di bambini, stoviglie che apprestano la cena. Ogni casa è una storia, è viva, sempre in evoluzione, le pareti pensano, osservano e custodiscono.
Disposte attorno a un grande tavolo nel soggiorno di una casa privata, dieci donne si guardano negli occhi e si raccontano sotto la guida della drammaturga e regista Tolja Djokovic. A più voci (quaderno proibito), prima che una performance, è un progetto laboratoriale che per quattro mesi ha portato un’ampia comunità di donne modenesi a esplorare la relazione tra creatività e lavoro domestico. Djokovic ha condotto il lavoro partendo dalle suggestioni provenienti dalle opere di autrici come Alba de Cespedes, Marlene Haushofer, Louisa May Alcott e declinandone l’esito in quattro episodi corrispondenti alle diverse forme della riflessione. Nell’episodio Economy, sistemati su sgabelli o in cima alle scale, ascoltiamo come dal buco della serratura una conversazione privata, fatta di riflessioni ampie e piccole confessioni. La luce calda illumina un’occasione eccezionale nella sua normalità: il vissuto di ognuna delle partecipanti, fortemente distinto e insieme amalgamato, compone un mosaico di possibili declinazioni dell’esperienza femminile. Potente e rivoluzionario, come una cospirazione gentile e pacifica, il discorso attraversa e riscrive i luoghi topici della narrazione del femminile: che cos’è casa? cosa maternità? che significato ha la cura, il rapporto con la madre, con il partner, con il mondo esterno, con il potere? Non esiste una risposta univoca. Non c’è rappresentazione, ma neanche intenzione documentaristica: la performance è la vita, il modo in cui l’arte vi si installa per amplificarne il senso, per supportarne la fatica, per illuminare gli angoli bui del non detto, del dato certo.
Gli ospiti escono e portano con sé quell’intimità condivisa, sapendo che persisterà a lungo perché si è radicata nelle vite di quelle donne, ne ha abitato le case, ha sporcato i pavimenti e le lenzuola. Ha sabotato con grazia l’abitudine. Ed è ancora la parola, grumo denso di coscienza e conoscenza, a trasportare calore, ad avvicinare corpi: succede ancora e ancora a Periferico, durante In-Con-Tra, dispositivo concepito dal collettivo Amigdala come riflessione sugli scenari che si aprono nel cortocircuito tra parole e significati; succede entrando nell’universo magmatico e inafferrabile di Patrizio Esposito, fotografo, intellettuale, artista che sfugge alle etichette e risucchia nel suo vortice durante gli Esercizi di Allerta curati da Isabella Bordoni. Succede nel dialogo potente tra la giornalista Maria Nadotti e Laila Sit Aboha, giovane scrittrice e militante italopalestinese attorno all’idea stessa di identità, di appartenenza, di rivendicazione, nella collisione tra due visioni confinanti eppure inesorabilmente distanti per generazione, esperienza e destino.
Cos’altro possiamo chiedere all’arte oggi se non di aiutarci a restare vigili, in ascolto del presente, con il pensiero e i sensi aperti all’incontro, capaci di vedere noi stessi tramite l’altro e finalmente riscoprirci umani? A Periferico la domanda è tutt’altro che retorica, la risposta è tangibile, viva, piena di senso e dunque politica.
Sabrina Fasanella
Periferico Festival – Modena, ottobre 2024