PROSPERO | Dicembre 2024

Schede e segnalazioni di volumi che guardano e parlano al teatro e alla danza, raccontano e analizzano la scena. Per questa nuova rubrica ci siamo lasciati ispirare da un altro personaggio shakespeariano: Prospero, nobile naufrago, esperto di arti magiche e avido lettore. Prospero che ha una “biblioteca grande abbastanza quanto un ducato”

In questo numero

FOCUS - Il teatro delle donne

  • La scena delle donne, di Emilia Costantini e Mario Moretti, BeaT (2022)
  • Scenografe. Storia della scenografia femminile dal Novecento a oggi, di Anna Maria Monteverdi, Dino Audino (2021)
  • Piccoli personaggi grandi incanti. Maria Signorelli, il teatro di figura e il suo Novecento, di Giuseppina Volpicelli, Giunti (2023)
  • Marie Taglioni e Giselle in Italia. Migrazioni e traduzioni del balletto romantico nell’Ottocento, di Elena Cervellati, Ephemeria (2024)
  • Sindrome Italia. Storia delle nostre badanti, di Tiziana Francesca Vaccaro e Elena Mistrello, Becco Giallo (2021)
  • Dentro. Una storia vera, se volete; Mio eroe; La fabbrica dei preti, di Giuliana Musso, Scalpendi (2021)

SAGGISTICA

  • Sul mio teatro: contagio e DISintegrazione. Scritti su maiali, tacchini, supereroi e altre bizzarre creature, di Rafael Spregelburd, traduzione Manuela Cherubini, Cue Press (2024)
  • Scrivere con la realtà, di Lorenzo Donati, Cue Press 2023

TEATRO TRA LE RIGHE

  • Figlio di cane, di Attilio Scarpellini, Mimesis (2024)
  • Lettere a Bernini, di Marco Martinelli, Giulio Einaudi Editore (2024)

TEATROTECA

  • Dizionario teatrale, a cura di Margherita Palli, Quodlibet NABA Insights (2023)

PAROLA ALLA DANZA

  • Giulio Mancini, Del origin et nobiltà del ballo, a cura di Alessandro Pontremoli, con un saggio critico di Maria Cristina Esposito, Tab edizioni (2024)
  • Danza, schermi e visori. Contaminazioni coreografiche nella scena italiana, a cura di Elena Cervellati e Silvia Garzarella, Dino Audino (2024)
  • Forme (xing) e visioni (xiang): la screendance tra Europa e Cina, di Xiao Huang, Mimesis (2024)

 

 


 

 

 

Introduzione

Negli scorsi numeri di Prospero ci siamo avventurati in due focus dedicati prima Jon Fosse, in occasione del Premio Nobel, poi al Teatro Nucleo di Ferrara che aveva raccontato di sé con due pubblicazioni strettamente connesse. Con questa uscita natalizia, invece, inauguriamo il formato del focus tematico: una raccolta di pubblicazioni, più o meno recenti, che ci piace mettere in dialogo poiché crediamo possano accompagnare in una visione tematica d’insieme, legando fili narrativi che si rincorrono tra autori e autrici, tra case editrici e collane. Il focus con cui inauguriamo questa pratica è dedicato alle donne, a un teatro delle donne. La scelta del tema non avviene a priori, bensì deriva dall’insieme dei titoli che ci vengono proposti o di cui andiamo a caccia tra le uscite editoriali. Del resto, la contemporaneità si esprime attraverso l’arte e la ricerca portando alla nostra attenzione, talvolta in maniera ricorrente, come in questo caso, quelli che sono i nodi da analizzare e sciogliere più urgentemente. E così ci facciamo suggerire questo approfondimento dai titoli stessi, da quello che la narrazione collettiva sul mondo del teatro ritiene, di questi tempi, qualcosa di cui sia necessario scrivere. Ne è nato un focus eterogeneo che interseca diversi ambiti, diverse delle nostre rubriche, ma che ci restituisce un teatro passato, recente e futuro in cui la femminilità smette di essere una nota a margine, un’appendice, e chiede che il proprio ruolo diventi il titolo e il contenuto di una narrazione completa, paritaria. Apriamo con due titoli che ci propongono una teatrografia aggiornata, che porti rimedio alle ricorrenti rimozioni e indebite assenze, e proseguiamo nella danza e, infine, verso una voce femminile che si impossessa della drammaturgia e che sceglie il teatro come luogo dove esprimere la propria solitudine, dove rompere il silenzio. I testi che trovate qui, inoltre, sono quasi esclusivamente di autrici, studiose, ricercatrici. Anche questa non è una scelta a priori e, anzi, deve costringerci a ragionare su come, tutt’ora, la narrazione del femminile risulti molto spesso, maggioritariamente, appannaggio della femminilità stessa. Come capita spesso, ancora, purtroppo, che il ruolo femminile sia più semplice da definire in contrasto, o a partire da, le figure maschili che comunque continuano ad avere un peso specifico differente. I numeri e le presenze, non solo nel mondo del teatro, stanno cambiando, seppure questi cambiamenti richiedano un tempo e una fatica forse eccessivi. Non donne che parlano di donne, magari per le donne. Bensì autrici, artiste, studiose che con gentilezza e, insieme, una giusta dose di prepotenza, prima e ora, rivendicano il proprio ruolo in quanto tali e ben prima d’esser donne. Il proliferare di pubblicazioni su questo tema è un buon segnale e una pratica che deve essere incentivata e approfondita, e di cui siamo felici di dare un breve assaggio. La strada da fare, tuttavia, verso una narrazione che sappia realmente essere inclusiva e rappresentare il mondo per come è, è ancora tanta. Nei numeri di Prospero ci siamo sempre premurati che le pubblicazioni segnalate seguissero anche un criterio di parità tra autrici e autori così come nei contenuti. Per questo, Il teatro delle donne è ora un focus, ma non diventerà una rubrica per non diventare una cornice separata, un contenitore, una nicchia, per non anteporre, appunto, l’esser donna al contenuto e all’intenzione della scrittura, nella speranza che questi contributi d’approfondimento e dedicati al femminile sappiano diventare sempre più patrimonio di una storiografia e di una narrazione complessiva, sempre più completa dello stato delle arti e del mondo che esse rappresentano.

In questo Prospero inauguriamo anche due nuove rubriche: “Parola alla danza” che, grazie innanzitutto al contributo di Stefano Tomassini, ci accompagna nelle pubblicazioni dedicate al mondo del balletto, della danza moderna e contemporanea; e “Teatroteca“, una biblioteca essenziale di quei titoli, dai vecchi classici alle nuove uscite, che crediamo non possano mancare nei vostri scaffali. Buona lettura!

Tutti gli articoli

FOCUS - Il teatro delle donne

La scena delle donne, di Emilia Costantini e Mario Moretti

Che ci sia una vera e propria sperequazione di genere nel teatro italiano è evidente. Pochissime le registe che possono lavorare ad alto livello, poche anche le drammaturghe, e si pensi all'importante lavoro svolto in questi anni da associazioni come Amleta. E dal punto di vista della scrittura è interessante ricordare quello che è emerso in una intervista da poco pubblicata sulle nostre pagine a Laura Curino, la quale giustamente nota quanto siano presenti le donne in platea e quanto dunque per lei sia importante e ovvio scrivere per loro, anche attraverso storie di cui il genere femminile è protagonista. Conviene allora recuperare anche studi e progetti di qualche anno fa, è tornato ad esempio di recente in libreria (nel 2022 per le edizioni Beat) "La scena delle donne", di Emilia Costantini e Mario Moretti in una seconda edizione trent’anni dopo la prima del 1992, con una prefazione di Dacia Maraini, l’introduzione di Maria Letizia Compatangelo e 271 pagine dedicate alla “presenza e partecipazione della donna al rito scenico occidentale, dalle origini ai giorni nostri”. Aggiornamento che comprende anche gli interventi di Patrizia Monaco, Alina Narciso e Bruna Braidotti, quest'ultima direttrice artistica della Compagnia di Arti&Mestieri di Pordenone, che ha promosso la riedizione del volume. Maraini nel titolo del proprio scritto introduttivo è netta: “una lunga storia di esclusioni” e se nella sua introduzione Compatangelo si dedica proprio ad analizzare la presenza femminile nella scena teatrale di oggi, Costantini e Moretti organizzano i materiali secondo una cronologia storica, dal mondo greco-latino al medioevo, dal rinascimento alle attrici settecentesche nella Francia di Marivaux, l’attività delle donne durante la rivoluzione francese e le attrici e autrici tra Ottocento e Novecento e poi l’affondo nel XX secolo, con le autrici del mondo anglosassone, la centralità della Germania, la Francia, la penisola iberica e naturalmente l’Italia. Questo di Costantini e Moretti è un viaggio nella storia ancora importante, che per molte e molti potrà essere tutt’ora fonte di scoperta. (La scena delle donne, di Emilia Costantini e Mario Moretti, BeaT, 2022)

Scenografe, di Anna Maria Monteverdi

Il volume, pubblicato da Dino Audino nel 2021, si propone come un compendio aggiornato e il più possibile esaustivo delle artiste, scenografe e, spesso, più recentemente, autrici e registe che hanno costruito, arredato, immaginato e abitato la scena teatrale internazionale, da Edith Craig e le suffragette inglesi, dai balletti russi e il teatro d'arte di Mosca, fino alle sperimentazioni più recenti. "Un Novecento teatrale senza donne?", s'intitola il primo capitolo. No, assolutamente. E non soltanto un Novecento, ma una storia della ricerca, dell'avanguardia e della sperimentazione teatrale che ora ci appare incomprensibile se non considerato il contributo costante, irrequieto, irrefrenabile delle numerose personalità femminili qui illustrate. Un manuale breve, un'introduzione, un agile accompagnatore alla rivisitazione della storia della scenografia, dell'immagine teatrale, fino alla luce e ai dispositivi tecnologici, nel tempo sempre più protagonisti e fondanti nel dialogo con autorialità e regia, nella relazione con il corpo performante. Il volume alterna la narrazione tra lo svelamento delle figure che hanno accompagnato l'evoluzione della regia (per cui potremmo riutilizzare il di per sé becero motto e dire "dietro ogni grande regista c'è sempre - letteralmente - una grande scenografa"), ad esperienze d'autonomia artistica femminile nel contesto delle avanguardie, prima, e nei formati contemporanei poi, fino a esperienze dal carattere politico e femminista più rimarcato. Presto l'elemento femminile diviene sfondo, ormai secondario, a una narrazione concisa del divenire teatrale prossimo e attuale, in un susseguirsi di correnti, avanguardie, provocazioni, sperimentazioni, grandi opere, fenomeni e nomi di rilievo mondiale. La bibliografia e la sitografia conclusive, così come un corposo, seppur spesso sacrificato in interlinea, apparato di immagini, ci indirizzano agli archivi dedicati e invitano all’approfondimento di forme che si fanno pensiero materico, struttura portante, fondamenta. (Scenografe. Storia della scenografia femminile dal Novecento a oggi, di Anna Maria Monteverdi, Dino Audino, 2021)

Piccoli personaggi grandi incanti, di Giuseppina Volpicelli

Chi abbia avuto l'opportunità di incontrare Giuseppina e Maria Letizia Volpicelli conosce la meraviglia degli innumerevoli aneddoti e del racconto legato alla famiglia e, ovviamente, alla madre, Maria Signorelli. Sebbene nella storiografia teatrale "ufficiale" si incontri raramente, chiunque abbia frequentato il teatro di figura conosce il ruolo fondativo che l'artista ebbe nell'ambito dell'immagine e delle figure, in avanguardia e in teatro, da scenografa, burattinaia e costumista, certo, ma anche da studiosa, ricercatrice, promotrice dell'arte dell'animazione e di una ricerca legata alle forme e ai materiali. In "Piccoli personaggi grandi incanti", pubblicato l'anno scorso da Giunti, Giuseppina ci accompagna con estrema dolcezza in un racconto sognante di vita e mestiere che parte dai mitologici nonni, Angelo Signorelli e, soprattutto, Olga Resnevič, medici tra i più rinomati, grandi appassionati d'arte e cultura e mecenati, per poi dedicarsi al racconto della vita artistica dei Maria rivisitando diari, riviste d'epoca, epistolari; infine accompagnandoci nel racconto della propria vita di autrice e burattinaia, erede dello spirito d'innovazione della madre, in giro per il mondo. L'affresco che ne deriva, nella prosa affettuosa e incredibilmente ricca di dettagli, è quello di una Roma ormai scomparsa, di un mondo della più alta cultura, del pensiero e dell'arte che si incontra nel salotto di Olga, dove il tè delle 17 è sempre pronto, e che Maria apprende, assorbe, rielabora in una personalissima pratica artistica che dai teatrini "pieni di molti intellettuali" si apre al mondo del popolare pubblico trasteverino, della scuola, delle carceri, fino ai festival internazionali oltre oceano e alle repliche private per l'ultimo Scià di Persia. Un contributo inestimabile ereditato e coltivato dalle figlie, nell'affermazione di un "teatro dei burattini" che sa farsi ora pedagogia, ora arte per un pubblico trasversale, ma che abita gli spazi più disparati, dai teatrini alle grandi mostre internazionali e sempre sa intercettare l'attenzione, l'ammirazione e la penna di grandi critici e artisti. (Piccoli personaggi grandi incanti. Maria Signorelli, il teatro di figura e il suo Novecento, di Giuseppina Volpicelli, Giunti, 2023)

Marie Taglioni e Giselle in Italia, di Elena Cervellati

È una delle massime studiose italiane di balletto nella prima metà dell’Ottocento, e già in passato si era diffusamente occupata della genesi di Giselle, che Vittoria Ottolenghi apostrofava, con giusta cognizione, come «balletto perfetto». Eppure, in questo nuovo volume, Elena Cervellati, che insegna all’Università di Bologna, mette insieme due nomi, due icone, «due eterogenei prodotti culturali» (secondo le sue stesse parole), nati in Francia ma poi subito processati in «una necessaria traduzione interculturale» in Italia, «tra gli anni Quaranta e gli anni Sessanta del XIX secolo», per disseminarsi come esperienze leggendarie del mondo romantico e fantastico e notturno. Unitamente a una puntuale ricostruzione storica e analitica della ricezione italiana del balletto e della geografia che in qualche modo ne ha definito la sua identità europea, si aggiunge una imponente sezione di materiali inediti, che allargano notevolmente l’orizzonte della lettura. E delle conoscenze. Oltre a una prodigiosa bibliografia finale, si aggiungono i libretti (nelle importanti traduzioni che sono veri e proprî adattamenti quando non invenzioni di nuovi immaginarî), le critiche sulla stampa periodica (di penne illustri, come Carlo Tenca e Felice Romani, pure Collodi), le cronologie delle tournée e i numerosi componimenti d’occasione in lode di Taglioni. Così, ad esempio, nel perentorio epigramma di Giovanni Marchetti (poeta e noto dantista) del 1842: «Diva Tersicore | De’ Vati Achei | Fosti una Favola | Sino a Costei». (Marie Taglioni e Giselle in Italia. Migrazioni e traduzioni del balletto romantico nell’Ottocento, di Elena Cervellati, Ephemeria, 2024)

Sindrome Italia. Storia delle nostre badanti, di Tiziana Francesca Vaccaro e Elena Mistrello

C’è una categoria che una consistente parte di questo paese ha battezzato attraverso una formula derivata da un nuovo mestiere, che poi tanto nuovo non è, etichettandolo peraltro unicamente al femminile, compiendo un atto allo stesso tempo di razzismo e sessismo da record (come solo in Italia si sa fare): le badanti, ossia – traduciamo seguendo il pensiero che vi sottace – donne dell’est che affiancano i nostri vecchi, ci passeggiano accanto e gli puliscono il culo. Il fatto che abbiano una vita nel loro paese di origine, o che provino a farsene una ai margini di questa società benestante, è per molti di noi del tutto indifferente: le badanti, le cui storie raccolte da Tiziana Francesca Vaccaro e illustrate da Elena Mistrello sono raccolte in "Sindrome Italia" (Becco Giallo 2021), è un viaggio attraverso il fumetto, insieme a molte donne che condividono un destino negli interstizi d’Italia. Il testo di Vaccaro, che nasce come versione teatrale da lei stessa interpretata e oggi anche con il live drawing di Mistrello, narra di Vasilica, donna rumena che scopre di avere una malattia, appunto la “sindrome Italia”, come viene definito dai medici quell’insieme di disagi invalidanti vissuti dalle donne dell’Est assistenti familiari in Italia (“Più che un lavoro è una malattia”, dirà) le quali, costrette a un adattamento inumano e silenzioso, lontane dalla loro famiglia, lavano i panni sporchi delle nostre. “Ma io a cosa servo?”, si dice a un certo punto Vasilica che non si sente più donna, non si sente più madre, smarrita e chiusa in un armadio come un oggetto riposto da nascondere dietro due grosse ante, per paradosso se lo domanda lei che svolge il compito di donna “di servizio”, come per amore di definizione ancora una volta questo paese ama manifestarsi, affetto da un’altra sindrome, opposta, quella di autoassolversi e gettare la polvere sotto un tappeto steso da un pavimento all’altro di tutte le nostre ampie e belle case. (Sindrome Italia. Storia delle nostre badanti, di Tiziana Francesca Vaccaro e Elena Mistrello, Becco Giallo, 2021)

Dentro. Una storia vera, se volete – Mio eroe – La fabbrica dei preti, di Giuliana Musso

Giuliana Musso appartiene a quella tradizione tutta italiana degli ultimi trenta-quaranta anni che in fin dei conti quasi riattualizza un percorso ottocentesco (e se vogliamo ancor prima appartenente ai comici dell’arte) nel quale il grande attore, per necessità, estendeva il proprio campo di azione al ruolo di drammaturgo (si legga in questo senso Meldolesi e Taviani sul primo Ottocento teatrale). Musso attrice e autrice, dunque, in grado di pensare e scrivere per il proprio corpo, per un talento attoriale che può spaziare dalla narrazione più distaccata al puntuale mimetismo. Ecco che da qualche anno però la scrittura dell’artista vicentina ha trovato anche una collocazione editoriale, come se qualcosa di effimero e sfuggente fosse riuscito a solidificarsi per rendersi disponibile anche al presente, al futuro e alle letture - e dunque alle interpretazioni sceniche - di qualcun altro. Tre dei suoi spettacoli più importanti, "La fabbrica dei preti" (2012), "Mio Eroe" (2016) e l’ultimo, "Dentro" (2020), sono stati pubblicati per Scalpendi Edizioni nel ‘21. Parliamo di una trilogia dedicata al «teatro d’indagine» che affonda il proprio sguardo nella realtà. Nei seminari degli anni ‘50, tra i preti che «fanno il bilancio di una vita, raccontano, ricordano, confessano. Fanno i conti con un’educazione al sacrificio e alla disciplina , che creava sensi di colpa più grandi della colpa stessa». Tra le lacrime - che si fanno “monumento” - delle madri dei militari italiani uccisi in Afghanistan dal 2003 al 2014. E infine in una storia di violenza, arrivata da labbra vive, per reclamare sul palco una possibilità etica, perché il male non va taciuto ma detto ed elaborato. (Dentro. Una storia vera, se volete - Mio eroe - La fabbrica dei preti, di Giuliana Musso, Scalpendi, 2021)

DAL NOSTRO ARCHIVIO

DAL NOSTRO ARCHIVIO

SAGGISTICA

Sul mio teatro: contagio e DISintegrazione, di Rafael Spregelburd

Di recentissima uscita, il 3 dicembre, il saggio/confessione/divertissement/invettiva di Rafael Spregelburd dal titolo "Sul mio teatro: contagio e DISintegrazione. Scritti su maiali, tacchini, supereroi e altre bizzarre creature" è una lucida, irriverente e libera testimonianza del suo pensare e agire teatrale. Edito da Cue Press e pubblicato in occasione del focus che l’edizione 2024 di Teatro Festival Parma ha dedicato all’autore argentino durante il convegno internazionale Giornate d’autore (leggi l’articolo), questo testo è un documento prezioso per chi ama Spregelburd, o lo detesta anche, per chi lo ha incontrato nei seminari o ha visto “solo” i suoi spettacoli. Difficile dare al testo una suddivisione specifica, a leggere l’indice troverete, infatti, capitoli che sono anche manifesti, in sintesi, del suo teatro: da Il teatro era il contagio a Futuri, menzogne e video fino ad arrivare a Presente DIScontinuo e Teatro della DISintegrazione che confermano lo spessore politico dell’autorialità di Spregelburd. Il presente, connesso e disconnesso, la realtà, con le sue verità e menzogne, e il tempo, nella sua relativa frammentazione, sono i poli di un flusso di pensiero che interroga i suoi stessi lavori, da quelli più recenti, come "Inferno" e "Diciassette cavallini" presentati in Prima Nazionale proprio al Teatro Due di Parma (leggi le recensioni) o "Bizzarra" la cui battuta “Com’è triste la prudenza” era diventata, all’epoca, uno dei motti del Teatro Valle Occupato. Il caos, dominatore assoluto, e la disintegrazione come modalità di rappresentazione non scalfiscono però un assunto basilare, ma non banale, che per Spregelburd resta un monito in questi tempi complessi: «L’unica cosa che rimarrà intatta è la dimensione conviviale del teatro. Anche trattasse argomenti impensabili, lo farà sempre dal vivo». (Sul mio teatro: contagio e DISintegrazione. Scritti su maiali, tacchini, supereroi e altre bizzarre creature, di Rafael Spregelburd, traduzione Manuela Cherubini, Cue Press, 2024)

Scrivere con la realtà, di Lorenzo Donati

Comincia con una domanda non da poco Lorenzo Donati nel suo Scrivere con la realtà. Oggetti teatrali non identificati 2000-19: «Come mai alcuni spettacoli ci suonano ‘vecchi’, mentre i linguaggi di altri ci paiono in dialogo con lo spirito del tempo?» Naturalmente la risposta va cercata nel libro, tra quegli spettacoli in cui l’autore ha rintracciato i segni del nostro tempo, sempre nella premesse Donati spiega che la ricerca ha incrociato gli strumenti dell’indagine storiografica con quelli della critica e del giornalismo.«Cosa fa l’arte se tutti attorno pretendono di rappresentare?», interrogativo oggi imprescindibile: al centro della questione dunque c’è la convenzione stessa del teatro, quella che Diderot attribuiva ad Eschilo, qui chiamata «patto rappresentativo». Il critico di Altre Velocità riparte dal Novecento per definire alcuni punti di partenza, richiamando, tra gli altri, Gerardo Guccini, Franco Quadri, Lorenzo Mango, Claudio Meldolesi, Ferdinando Taviani; dal Convegno di Ivrea del ‘67 ai gruppi nati negli anni Novanta, per arrivare a quei fatidici anni Zero, e alla Generazione T di Renato Palazzi. Queste pagine sono quelle che preparano il contesto storico, il terreno, per le successive, proprio quelle della ”scrittura con la realtà”. I capitoli sono divisi per tappe cronologiche e dedicate all’analisi delle opere di Babilonia Teatri, Ariette, Compagnia della Fortezza, Fanny&Alexander, Virgilio Sieni, Gli Omini, Motus, Fibre Parallele, Teatro delle Albe, Sotterraneo, Kepler-452, Dom, per terminare con alcuni casi internazionali, come quelli di Roger Bernat, Rimini Protokoll e Milo Rau. Un percorso nel quale ritrovare o scoprire la scena dei nostri giorni, quella che «reimpasta frammenti drammatici dentro oggetti teatrali non identificati dove una coppia di anziani può interpretare una coppia di giovani, un giovane attore può sovrapporre i caratteri del personaggio alla propria identità reale, senza per questo dismetterla» (Scrivere con la realtà, di Lorenzo Donati, Cue Press 2023)

TEATRO TRA LE RIGHE

Figlio di cane, di Attilio Scarpellini

Vladimir. Ma poi forse nemmeno si chiama così. L’inattendibilità della memoria, la confusa generazione di ulteriore memoria a nebulizzare la prima, è un tema portante di "Figlio di cane", testo per il teatro di Attilio Scarpellini. È il racconto di una mattinata parigina forse anonima, come tutte, forse invece significativa, come tutte. È la storia di un incontro tra AS, giovane curioso delle parole e dei pensieri, e Vladimir Slepian, vagabondo scrittore senza patria e senza opera. La mattina, pur fredda, sembra gentile. Le persone si raccolgono in un'ombra, la neve giungerà a scardinare proprio la memoria e smarginare i ricordi. Vladimir vi appare come una confusa manifestazione, uno stimolo dal passato che riemerge senza una precisa collocazione, né per la figura né tanto meno per i pensieri che esprime. È "un uomo colpito da un fulmine", una presenza necessaria, inequivocabile, ma allo stesso tempo evanescente e segreta. Il dialogo, che si arricchisce per uno sfasamento temporale e dell’interlocuzione, esplicita una forma di conoscenza che via via si sta perdendo, ma che nel ‘68 parigino, tempo e luogo dell’opera, appariva come aspirazione intellettuale: “Parlate con chi vi sta accanto”, recitava uno slogan di allora. Rimasto disatteso. AS, l’autore, si mette in scena come in uno specchio deformato che scuote il passato ma dal presente, allo stesso modo di come fanno le dita di una mano che scuote un paesaggio sottovetro, perché venga giù la neve. Appunto, la neve è elemento primario di questo testo proprio come consistenza, una neve coprente che impressiona per quantità e uniformità, non per il clima che si avverte, anzi, quasi caldo, come se la neve avesse la temperatura della Storia, in un tempo avvolgente in cui si percepisce non il pericolo ma l’eccitazione verso una nuova guerra mondiale. Scarpellini, che raccoglie paesaggi e intenzioni dal Patrick Modiano de "L’orizzonte" o "Nel caffè della gioventù perduta", inarca un racconto come una sonda e scivola indietro, a cercare, ancora oggi, segnali di Novecento. (Figlio di cane, di Attilio Scarpellini, Mimesis, 2024)

Lettere a Bernini, di Marco Martinelli

Preziosa (e rara vista la prossimità con il debutto scenico) questa pubblicazione di Einaudi su "Lettere a Bernini" di Marco Martinelli, drammaturgia che ha mosso i primi passi proprio nella casa delle Albe a Ravenna, con l'interpretazione di Marco Cacciola e la regia dello stesso Martinelli. In un giorno d’estate del 1667 il maestro dell’arte barocca romana ha una giornata nera: possiamo chiudere gli occhi e vederlo, seduto nel suo studio, dietro a una scrivania o in piedi, nei suoi sessantanove anni, con in mano una lettera, la causa della sua visibile acrimonia. Un’abile intagliatrice di pietre dure, Francesca Bresciani, si lamenta di non ricevere quanto pattuito e per questo scrive alle autorità ecclesiastiche. Martinelli affida la vita di Gian Lorenzo Bernini al gesto teatrale - tipico nel monologo - del ricordo, attraverso il filtro epico di un narratore che si alterna alla prima persona del protagonista, in un dentro-fuori dal personaggio che è tutto un ambiguo gioco teatrale. D’altronde che sia un testo scritto da qualcuno che è anche un esperto regista risulta evidente dalla prima didascalia: « Una figura sola in scena / È un narratore, che raccontando di Gian Lorenzo Bernini, ne assume l’eloquio e la figura ghiacciata, o è lo stesso Bernini che si sdoppia, come in un sogno, e arriva a parlare di sé in terza persona?» Non può esserci umiltà nelle parole di chi già sa di essere passato alla storia. Eppure quel rancore nero, il classico schema dell’acerrimo nemico (intelligentemente sfumato e dosato con cura), per il ticinese Francesco Borromini: «bravo a disegnare / Ma capriccioso / Con quella smania di uscire dalle regole». In un italiano sporcato dalle origini napoletane dell'artista e dal romanesco, il testo si lascia leggere con curiosità e ritmo, conducendoci verso un finale segnato dalla pietà, quando Bernini apprenderà la notizia del violento suicidio del rivale. (Lettere a Bernini, di Marco Martinelli, Giulio Einaudi Editore, 2024).

DAL NOSTRO ARCHIVIO

TEATROTECA

Dizionario teatrale, a cura di Margherita Palli

Pubblicato nel 2021 e riedito nel 2023 da Quodlibet per la collana NABA Insights a cura dell'omonima accademia, il Dizionario Teatrale a cura di Margherita Palli si propone come immancabile abitante della nostra biblioteca. In un piacevole quanto tascabile formato quadrato, il volume ci introduce con un bell'apparato grafico all'idea dei "Vocabolari/Nomenclatori", tipici dell'Italia post-unitaria e che usavano raccogliere terminologie e illustrazioni relative a specifici ambiti o mestieri. Il dizionario vero e proprio riporta oltre mille vocaboli in italiano, inglese, tedesco, francese, spagnolo, russo e cinese, tutti afferenti, in modo più o meno specifico, agli ambiti del teatro, della danza, della musica. Si va da vocaboli generici come "abbassare", "manifesto", declinati nel contesto (come "allacciare - il fondale allo stangone), a tutta una serie di termini ricorrenti e specifici (da "esente da tasse", per gli amministratori, a "imbragatura", "note di regia", "piazzato"), talvolta perfino sconosciuti ("ciapparine", "bilancia a cellule", "brocchetta") che si utilizzano per descrivere il palcoscenico, le attrezzature, la recitazione, le relazioni e tanto altro. Avete mai provato a tradurre, per esempio, una scheda tecnica, magari neppure particolarmente complessa? Purtroppo, trovare su internet i termini esatti relativi all'ambito artistico e musicale è un'impresa assai ardua. E poi, molto spesso, dice Palli, in teatro non è scontato trovare connessione di rete. Segue il vocabolario un bel capitolo illustrato, l'elenco alfabetico dei termini e un piacevolissimo capitolo che ripercorre modi di dire, ritualità, scaramanzie tipiche dei diversi paesi e legate al luogo e alle pratiche teatrali. Un must nella biblioteca e valigia di organizzatori, tecnici e attori. (Dizionario teatrale, a cura di Margherita Palli, Quodlibet NABA Insights, 2023).

PAROLA ALLA DANZA

Giulio Mancini, Del origin et nobiltà del ballo, a cura di Alessandro Pontremoli

La dedica che apre il prezioso volume, «alla memoria di Barbara Sparti», collega immediatamente l’edizione dell’inedito trattato "Del origin et nobiltà del ballo" (ca. 1620) scritta dal poligrafo, medico, erudito ed esperto d’arte Giulio Mancini (1559-1630), a una precisa tradizione di studi e ricerche sulla danza antica. Combinata a una costante, mai opzionale, ricerca pratica: si deve poter ‘rifare’ per comprenderlo, il passato che si studia. L’indagine sul testo di Mancini fu infatti avviata già da Sparti, ora la trascrizione del codice è a cura di Alessandro Pontremoli, secondo scelte ampiamente conservative e diplomatiche, e che mantengono intatta la distanza che da esso ci separa. Eppure, grazie a un ampio e utilissimo apparato di note, l’orizzonte dal quale ci si consegna a noi, quello dell’educazione del nobile nel controllo del comportamento, della promozione «ad arte del sapere tecnico e pratico», rafforza l’idea che la cura del corpo attraverso la nobiltà del ballo, porti con sé «sollievo all’anima». Pur essendo «oggetto contemplato all’interno della sfera morale e politica», ma anche dei discorsi medici e del «musico» e del «maestro di ballo». Un paradigma aristocratico e di redenzione (perché distinto, da Mancini, dalla ginnastica) che rilancia con forza l’idea di «benessere nella contemplazione ‘motoria’ della bellezza e della virtù». Completa un intenso saggio critico di Maria Cristina Esposito, che è un vero corpo a corpo con la terminologia antica alla base della tradizione storiografica cui si riferisce Mancini (Giulio Mancini, Del origin et nobiltà del ballo, a cura di Alessandro Pontremoli, con un saggio critico di Maria Cristina Esposito, Tab edizioni, 2024).

Danza, schermi e visori. Contaminazioni coreografiche nella scena italiana, a cura di Elena Cervellati e Silvia Garzarella

È un prezioso volume collettaneo, curato da Elena Cervellati e Silvia Garzella, che fa il punto sulla videodanza. A partire dagli anni Settanta del Novecento fino a oggi, le tecnologie hanno dialogato con vero profitto con le arti performative, determinando «inedite opportunità di dilatazione e potenziamento del corpo danzante». C’è molta Italia in questi contributi, ma ciò che più conta non vengono qui intercettate quelle esperienze di mainstream che fanno mercato della tecnologia, realizzando prodotti visivi di mera spettacolarità, senza pensiero. Al contrario, largo spazio è dedicato alle manifestazioni fondanti della videodanza italiana, agli sconfinamenti tra i generi tra gli anni Ottanta e Novanta (nell’era del videoclip, soprattutto, e chi se lo scorda...), fino alle importanti ricerche di artist* poco inclini all’autopromozione, come Paola Bianchi (nel saggio di Samantha Marenzi) o Ariella Vidach (intervistata da Silvia Garzella), non meno che sulla nascita e sulla vitalità di un archivio come quello di Cro.me (di Enrico Coffetti). Completano utilmente i saggi più teorici, sulla nozione di coreografia nell’era del virtuale, e le sue ricadute in una progettata «architettura liquida» o «mobile» o infine «trasmediale», per facilitare il dialogo interattivo fra diverse tecnologie (Letizia Gioia Monda). E sulle implicazioni della produzione in VR, tra immersione e distacco, tra fascinazione e interrogazione, secondo una manipolazione della percezione del tempo foriera di nuovi confini dell’esperienza sensoriale e percettiva (Ester Fuoco). (Danza, schermi e visori. Contaminazioni coreografiche nella scena italiana, a cura di Elena Cervellati e Silvia Garzarella, Dino Audino, 2024).

Forme (xing) e visioni (xiang): la screendance tra Europa e Cina, di Xiao Huang

Questo poderoso volume di Xiao Huang, che dopo il diploma all’Accademia Nazionale di Danza ha conseguito il dottorato di ricerca all’Università di Bologna, è uno sforzo esplorativo davvero originale sulle forme della screendance tra Europa e Cina. La studiosa utilizza i concetti taoisti di xing e xiang come metodo comparativo diacronico e sincronico tra le opere prese in esame. Ossia contesto e forme che ne derivano; ciò che sta in superficie e ciò che invece le trascende, perché esige una attenzione e una comprensione «a livello molto più alto». Se, da una parte, l’analisi è circoscritta a due mondi di pertinenza biografica della studiosa, dall’altra lo studio in qualche modo decentra le questioni della screendance dalla dipendenza del contesto storico-critico (e produttivo) statunitense. La documentazione è vasta (dalle «eroine dei dance films di fine Ottocento» alle «produzioni cinematografiche maoiste» fino a «Tik Tok») e utilmente ripartita in una cartografia capace anche di sintesi (la screendance come un dispositivo di tutela del patrimonio culturale intangibile). In conclusione, per Huang oggi appare un contesto fortemente conservativo perché spaventato dal rapido progresso tecnologico che porta con sé il pericolo di una omogeneità appiattente e globalizzante. In Cina, la tendenza è al recupero della continuità della tradizione (perché interrotta più volte, nel corso del Novecento), mentre in Europa predomina una tensione alla conservazione dell’eterogeneità culturale garantita dalle plurali identità Nazionali. (Forme (xing) e visioni (xiang): la screendance tra Europa e Cina, di Xiao Huang, Mimesis, 2024).

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