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LA SIGNORA DELLE CAMELIE (regia di Giovanni Ortoleva)

Questa recensione fa parte di Cordelia di novembre 24

Foto Giulia Lenzi

La signora delle Camelie, di nuovo, questa volta nella versione teatrale per la regia di Giovanni Ortoleva. Siamo abituati a sentircela raccontare così: la misteriosa mantenuta, tanto avvenente quanto malata, con il suo mazzolino di camelie a segnalarne la disponibilità, spezza il cuore al giovane Armando Duval (Alberto Marcello), abbandonando la loro vita in campagna, per poi rivelare sul letto di morte di essere stata costretta dal padre di lui a rinunciare alla felicità di un futuro insieme. Come nelle storie più classiche, c’è un narratore (Gabriele Benedetti) che, con le sue parole, evoca ambienti lussureggianti dove, nella realtà, non c’è nulla, un palcoscenico spoglio animato dalla sola presenza dei cinque personaggi in scena, se non fosse per un palchetto mobile, dove fa la sua comparsa, nel suo abito candido, Margherita (Anna Manella). Distante, remoto oggetto idealizzato del desiderio, la donna trasuda il fascino letale di un buco nero che si spalanca di fronte agli occhi di chi sta per esserne inghiottito, una traviata che può solo far deragliare dal percorso prestabilito e risucchiare le risorse dell’amante di turno: è così che viene presentata Margherita dalle dicerie del demi-monde parigino, che si perpetuano negli sguardi e nelle parole della protettrice Prudenza (Nika Perrone) e dell’amico Gastone (Vito Vicino). Parole che compromettono la reputazione di Armando, il quale, geloso e possessivo, nel momento in cui la sua amata fugge, viene animato da propositi di vendetta in un crescendo delirante di sonorità elettroniche e luci intermittenti. Ma non viene permesso ad Armando (o, sarebbe meglio dire, Alexander Dumas figlio) di riscattare ancora una volta la sua porzione di colpe tramite il sacrificio di Margherita. Nella versione di Ortoleva la donna scende dal suo piedistallo, puntando il dito contro l’autore che l’ha trasformata in un immortale simbolo di perdizione per redimere la sua anima. Ancora, dunque, la storia di Margherita Gautier, ma anche di Alexander Dumas e di una maschera fragile che, dietro pretese di possesso, cela un profondo senso di inadeguatezza. (Letizia Chiarlone)

Visto al Teatro della Tosse, sala Aldo Trionfo. Liberamente tratto dal romanzo di Alexandre Dumas figlio drammaturgia e regia Giovanni Ortoleva dramaturg Federico Bellini scene Federico Biancalani costumi Daniela De Blasio musiche Pietro Guarracino movimenti Anna Manella disegno luci Davide Bellavia

Cordelia, novembre 2024

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Letizia Chiarlone
Letizia Chiarlone
Classe 2001, è studentessa di Lettere, indirizzo Musica e Spettacolo, presso l'Università di Genova. Comincia ad avvicinarsi alla critica teatrale nel 2023, accolta nell'aia dell'Oca Critica. Nel giugno 2024 partecipa al laboratorio di critica teatrale diretto da Andrea Porcheddu con Roberta Ferraresi presso la Biennale Teatro. Nell'agosto dello stesso anno prende parte al workshop di critica teatrale di Teatro e Critica condotto da Andrea Pocosgnich nel contesto del Festival Orizzonti di Chiusi. Collabora con Teatro e Critica da ottobre 2024.

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