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[…] KZ (di Paola Bianchi)

Questa recensione fa parte di Cordelia di dicembre 24

Già nel titolo è incisa una contrazione, un acronimo dell’orrore: KZ sta per Konzentrationslager, cioè campo di concentramento, quindi “KZ” è un sostantivo “concentrato” di un concentramento. Cavilli linguistici a parte, Paola Bianchi presta con coerenza, progressione e cura, la sua ricerca al progetto Voci dalla storia per cui ha ascoltato le testimonianze delle persone deportate nei campi di sterminio nazisti e le ha fissate, come se dal supporto audio passassero a un supporto fisico, in una partitura di gesti. […] KZ quel segno di punteggiatura nel titolo – che indica in una citazione la scelta di un’omissione di una parte di testo originale – è un tratto distintivo a ribadire che ciò a cui assistiamo è una traccia, una stratificazione di memorie scelte, di tipo narrativo, uditivo, corporeo, ognuna delle quali è stata selezionata. Non c’è memoria senza selezione e per questo la contrazione è sia nel contenuto che nella forma: i movimenti della coreografia sono incidentali, frammentati, ruvidi e netti, introversi e estroversi, concavi verso l’interno, contorti, a fatica, e liberati con coraggio. A questi si alterna il voice over di Bianchi che alla partitura coreografica fa corrispondere una vocale sulla memoria, sulla persistenza di una storia, sull’eternità di un trauma che si fa sentimento osseo, incastonato nel midollo della nostra esistenza. «Ricordare vuol dire dimenticare» dirà più volte e lo farà attraverso un lavoro pregiato e rispettoso dell’orrore e dolore tout court, non solo di quello dell’Olocausto, ma di tutte le violenze e i genocidi della storia, passati e presenti. Simbolo di questo esercizio di archivio, una lampadina che con movimenti circolari scende gradualmente sulla scena restringendo sempre di più la porzione di spazio illuminata; e scendendo ancora gira attorno al corpo della danzatrice, alle sue parole e ai gesti che si fanno impercettibili, fino a quando tutta la sala resta immersa nel buio e resta acceso solo un cerchio di luce, che non dovrebbe spegnersi mai. (Lucia Medri)

Visto al Teatro India, Teatri di Vetro: coreografia e danza Paola Bianchi, sound design Stefano Murgia, lighting design Paolo Pollo Rodighiero, residenza creativa Teatro Galli di Rimini produzione PinDoc, coproduzione Liberty / Stagione Agorà con il contributo di MIC e Regione Siciliana, realizzato nell’ambito del progetto Voci dalla storia ideato da Liberty e sostenuto da Unione Reno Galliera, Città Metropolitana di Bologna, Comuni di Baricella, Granarolo dell’Emilia, Malalbergo e Minerbio, Parco della Memoria Casone del Partigiano “Alfonsino Saccenti”, con il contributo di Regione Emilia Romagna. Foto di Margherita Masé

Cordelia, dicembre 2024

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Lucia Medri
Lucia Medri
Giornalista pubblicista iscritta all'ODG della Regione Lazio, laureata al DAMS presso l’Università degli Studi di Roma Tre con una tesi magistrale in Antropologia Sociale. Dopo la formazione editoriale in contesti quali agenzie letterarie e case editrici (Einaudi) si specializza in web editing e social media management svolgendo come freelance attività di redazione, ghostwriting e consulenza presso agenzie di comunicazione, testate giornalistiche, e per realtà promotrici in ambito culturale (Fondazione Cinema per Roma). Nel 2018, vince il Premio Nico Garrone come "critica sensibile al teatro che muta".

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