Questa recensione fa parte di Cordelia di dicembre 24
Alla fine dello spettacolo, all’uscita dai piccoli camerini dell’Argot, gli dico che non ricordavo molti dei momenti comici, non ricordavo tutta quell’ironia. L’indomani mi risponderà che gli anni hanno forse aggiunto un certo disincanto e dunque una facilità alla risata che dunque risulta ancora più tragica. Per i suoi 40 anni di attività il teatro diretto da Francesco Frangipani e Tiziano Panici, tra le altre cose (mostre, proiezioni di film e festeggiamenti) si è regalato – regalandolo così ai fortunati che nelle poche repliche si sono stretti, spalla a spalla, nella piccola sala trasteverina – un’opera preziosa creata nel 2007, Jago di Roberto Latini. Carne e ossa dell’attore/autore, trucco per le lacrime nere, pelle per lo spolverino, stoffa, per i pantaloni neri e la camicia bianca, cuoio per le scarpe usurate in 16 anni di repliche – per quella specie di balletto sul posto con cui Jago friziona le suole sul pavimento mentre contorce l’Otello di Shakespeare riscrivendoselo addosso -, gli ambienti musicali di Gianluca Misiti e luci di Max Mugnai (due fattori che concorrono vividamente a fare di questa apparizione un’immagine che rimane inchiodata nella memoria), la plastica e il metallo dei due microfoni – uno per la voce senza effetti, quella di Jago soprattutto, l’altro per ricreare le voci di chi in fin dei conti altro non è che una proiezione del maligno alfiere. Eccola l’opera teatrale, performativa incarnata; non ha senso recensirla qui, se non per riportare quella vibrazione, quello sconcerto dello spettatore di anni fa che scoprì – in meno di un’ora, come in una folle corsa notturna – la possibilità di un teatro altro attraverso questo spettacolo, e che ora ritrova in quel corpo avvolto dal buio la capacità di farsi opera intera, di essere uomo-concerto, uomo-teatro e dunque uomo-libro. Katia Ippaso nel volume Io sono un’attrice evidenziava il potere erotizzante di Latini, che va oltre la questione di genere, ed è evidente in Jago quanto il potere della parola sia seduzione pura, un’energia che dalla testa arriva al ventre e viceversa. Si spera in un ritorno, meriterebbe qualsiasi palcoscenico. (Andrea Pocosgnich)
Visto al Teatro Argot di e con Roberto Latini musiche e suono Gianluca Misiti luci e direzione tecnica Max Mugnai