Giuliana Musso appartiene a quella tradizione tutta italiana degli ultimi trenta-quaranta anni che in fin dei conti quasi riattualizza un percorso ottocentesco (e se vogliamo ancor prima appartenente ai comici dell’arte) nel quale il grande attore, per necessità, estendeva il proprio campo di azione al ruolo di drammaturgo (si legga in questo senso Meldolesi e Taviani sul primo Ottocento teatrale). Musso attrice e autrice, dunque, in grado di pensare e scrivere per il proprio corpo, per un talento attoriale che può spaziare dalla narrazione più distaccata al puntuale mimetismo. Ecco che da qualche anno però la scrittura dell’artista vicentina ha trovato anche una collocazione editoriale, come se qualcosa di effimero e sfuggente fosse riuscito a solidificarsi per rendersi disponibile anche al presente, al futuro e alle letture – e dunque alle interpretazioni sceniche – di qualcun altro. Tre dei suoi spettacoli più importanti, “La fabbrica dei preti” (2012), “Mio Eroe” (2016) e l’ultimo, “Dentro” (2020), sono stati pubblicati per Scalpendi Edizioni nel ‘21. Parliamo di una trilogia dedicata al «teatro d’indagine» che affonda il proprio sguardo nella realtà. Nei seminari degli anni ‘50, tra i preti che «fanno il bilancio di una vita, raccontano, ricordano, confessano. […] Fanno i conti con un’educazione al sacrificio e alla disciplina […], che creava sensi di colpa più grandi della colpa stessa». Tra le lacrime – che si fanno “monumento” – delle madri dei militari italiani uccisi in Afghanistan dal 2003 al 2014. E infine in una storia di violenza, arrivata da labbra vive, per reclamare sul palco una possibilità etica, perché il male non va taciuto ma detto ed elaborato. (Dentro. Una storia vera, se volete – Mio eroe – La fabbrica dei preti, di Giuliana Musso, Scalpendi, 2021)