Questa recensione fa parte di Cordelia di dicembre 24
Delude il nuovo lavoro di Aristide Rontini, Frammenti di infinito. Tre atti per le lucciole, visto all’Arena del Sole di Bologna. Diviso in tre parti (volutamente) disuguali, ma (irreparabilmente) inconciliate, ha come punto di partenza l’«articolo in cui Pier Paolo Pasolini denunciava la scomparsa delle lucciole dal cielo di Roma»: per distruzione dell’habitat, e continuità dei fascismi. Il primo frammento è un assolo dello stesso Rontini, tutto fermo al centro, in una continua ricerca tra curve che inseguono linee e geometrici scatti (traiettorie di lucciole?). Confonde tanta inaspettata ossessione estetizzante, in fondo conformista che neutralizza ogni emersione di forze più luminose e pure brutali di mille nuovi possibili corpi che la scena può rendere oggi visibili. Il secondo frammento è un trio (Silvia Brazzale, Orlando Izzo, Cristian Cucco), tutto all black e mascherato da vibratili lucciole, ma la composizione che si vorrebbe intuitiva e irrazionale, «corpi sottratti alla luce diretta del riflettore», riesce invece molto elementare. Il terzo frammento è una pratica di comunità tutta risolta in una lenta e semplice frontalità (ispirata a Il quarto stato di Pellizza da Volpedo, dipinto nel 1901), ed è molto difficile riconoscere i valori che vi si vorrebbero ascritti: «l’essere insieme, l’attesa, l’essenzialità e l’ascolto». Il montaggio delle tre parti prevede lunghe pause, da morirne; sono scandite da una musica di scena originale (di Vittorio Giampietro) anche bella ma a getto continuo, che infine allaga le orecchie. La sensazione allora è che nel disegnare e progettare e sperimentare troppo i formati, spezzettando e poi (ri)assemblando la performance come su di un menu, si finisca per perdere la ragione più vera del proprio lavoro, e della propria ricerca. L’«istinto e l’irrazionale» non sono mai solo quel che si è già. Ciò che nella performance emerge nascosto e intimo e ignoto e latente nella forma luminosa di un coleottero, deve poter ingaggiare le lotte di domani, e prendere a calci il mondo. (Stefano Tomassini)
Visto al Teatro Arena del Sole. Coreografia e regiaAristide Rontinid anza (in o.a.)Silvia Brazzale, Cristian Cucco, Orlando Izzo, Aristide Rontini con la partecipazione di Kamila Burban, Valentina Cavagnis, Marieva Vivarelli, Annalisa Frascari, Roberto Penzo, Delia Adele Salsi, Sonia Salsi, Christopher Serebour, Julian Soardi musiche originali Vittorio Giampietro dramaturg Gaia Clotilde Chernetich disegno luci Lampyris Noctiluca Giulia Pastore
tecnica e luci Angelo Generali, Lucia Ferrero
costumi Back Eye Black Orlando Izzo
assistente al laboratorio di comunità Gaia Germanà
cura e produzione esecutiva Elena De Pascale
amministrazione Roberto Berti
organizzazione e logistica Miriana Erario
ufficio stampa Nexus Michele Pascarella
collaborazione produttiva Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, Oriente Occidente nel progetto Europe Beyond Access co-finanziato Creative Europe e Nexus Factory
con il sostegno di Versiliadanza, Masque Teatro, Onassis AiR nell’ambito del progetto Europe Beyond Access cofinanziato dal programma Europa Creativa, Progetto Residenze Artistiche 2022/2023 Area Cultura Comune di Imola, Danza Urbana – Rete h(abita)t / MUVet e Northern School of Contemporary Dance
“Back Eye Black” è stato sostenuto da Open Dialogo, un progetto di scambio culturale bilaterale curato da Stopgap Dance Company e commissionato dal Ministero della Cultura italiano (Direzione Generale Spettacolo), dall’Arts Council England, dall’Istituto Italiano di Cultura di Londra e dal British Council
nell’ambito di CARNE focus di drammaturgia fisica
Le repliche di Bologna sono nell’ambito del progetto “Teatro e fragilità. Verso una comunità danzante” realizzato con il contributo di Fondazione Carisbo
foto di Monia Pavoni courtesy of Oriente Occidente
foto dello spettacolo Lampyris Noctiluca di Federica Musella